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150      Aggiustare il mondo


Vi era, poi, un dilemma costante, soprattutto nelle facoltà scientifiche come il MIT, su come comportarsi nei confronti di membri della comunità particolarmente curiosi che, a causa delle loro competenze, si mettevano nei guai con la giustizia. Non vi era ancora stato un dibattito serio, internamente, sui confini tra hacking e criminalità informatica e su come valutare azioni di ingresso in sistemi, non motivate da volontà criminale ma da curiosità, sfida o dall’idea di portare avanti la scienza e la libertà.

Anche il tema dell’etica diventava, a tal punto, centrale. Come diffondere l’idea di un uso etico delle tecnologie e delle proprie competenze? Come aiutare dei piccoli (o grandi) geni dell’informatica a orientarsi in quelle scelte etiche, che comunque dovrebbero accompagnare un programmatore o un informatico in tutto quello che fa? A grandi poteri tecnici dovrebbero corrispondere non soltanto grandi responsabilità ma, anche, una visione chiara dei limiti etici, deontologici (ossia correlati alla professione di informatico o di programmatore) e giuridici.

Ultimo, ma non ultimo, il caso di Aaron aveva evidenziato come fosse necessario introdurre corsi e competenze specifiche in tema di diritto e politica dell’informatica, a tutti i livelli, nei campus.

Cosa ci lascia, quindi, la lettura accurata di quasi duecento pagine di rapporto interno del MIT sulla vicenda Swartz e sulle investigazioni correlate?

Da un lato, la più grande università tecnologica al mondo, il luogo dove erano nati e avevano operato i primi hacker, che ospitava regolarmente Aaron e la sua famiglia, aveva chiaramente deciso di non entrare nella vicenda dopo l’arresto del giovane, ma di mantenere un atteggiamento neutrale, cautamente lontano dall’opinione pubblica, considerando quella vicenda come una controversia legale in cui non voleva essere parte in causa. E ciò, nonostante quello specifico fatto – il download dalla rete del campus di milioni di documenti – ponesse evidentemente problemi tecnologici, sociali e giuridici, che erano chiaramente nel dominio di quella che si presentava al mondo come l’università degli hacker, all’avanguardia per idee di libertà e di apertura.

Questo portò, inevitabilmente, alla diffusione di una percepita mancanza di attenzione dell’intera comunità del MIT nei confronti di un caso che evidenziava, sin dai primi momenti, un conflitto tra etica hacker, ideali open access, leggi discutibili e procedimenti giudiziari aggressivi. E quel caso era nato, e si stava sviluppando, proprio dentro quell’università.

Inutile ricordare, pertanto, come commentatori, giuristi, tecnici, attivisti e l’intero mondo tecnologico si aspettassero, dal MIT, un intervento di ben altro tenore e autorevolezza.

Che, però, non ci fu mai. E Aaron fu lasciato, anche in questo caso, solo, nel momento in cui stavano per iniziare ben due importanti procedimenti penali, uno statale e uno federale.