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16. Il controverso ruolo del MIT     149

sconosciuta, con comportamenti e azioni che rischiavano di mettere in crisi l’intero funzionamento del sistema.

Il MIT non avrebbe, infine, mai domandato direttamente ed esplicitamente l’avvio di un procedimento penale contro Aaron e avrebbe assunto sin dall’inizio, lo si ribadisce ancora, una posizione neutrale, con un coinvolgimento, a suo dire, contenuto, limitandosi a produrre documenti in giudizio e senza mai rilasciare dichiarazioni pubbliche sul caso.

Come si diceva, una simile interpretazione, delineata nel documento conclusivo del MIT, non fu condivisa da tutti.

A un certo punto, i familiari, i legali e due professori del MIT domandarono all’ateneo di schierarsi apertamente a favore di Aaron, ma l’ateneo si rifiutò. Informò, però, la procura e gli investigatori che non era intenzione del campus richiedere una punizione per Swartz né alcuna forma di risarcimento civile.

Nel rapporto, in un passaggio, vi è, a un certo punto, una chiara posizione di dubbio e di autocritica – una sorta di “opinione dissenziente” che si è voluta in qualche modo verbalizzare con il senno di poi – che appare, comunque, interessante.

Tra i fattori che non sono stati presi in considerazione – si legge in questo passaggio – vi è il fatto che l’indagato fosse un collaboratore apprezzato, e noto, alla costruzione della tecnologia alla base di Internet; che il Computer Fraud and Abuse Act fosse una normativa penale mal formulata e discutibile se applicata al quadro tecnologico attuale, che ha un impatto sulla comunità di Internet nel suo complesso e che è ampiamente criticata; e che il governo degli Stati Uniti stesse portando avanti un’azione penale apertamente aggressiva. La posizione del MIT può essere stata prudente, ma non ha tenuto in debito conto il più ampio contesto di politica dell’informazione in cui si è svolto il processo e quel quadro digitale nel quale i membri del MIT sono, tradizionalmente, leader appassionati.

Per chiarire meglio questo punto cruciale, l’autore del rapporto indica, nel dettaglio, alcuni dei problemi che il caso di Aaron aveva sollevato e che meritavano una profonda riflessione.

In primis, le sfide in corso per preservare gli ambienti digitali aperti, e il libero accesso, in un mondo digitalmente connesso, che era sempre più preoccupato per i crimini informatici e l’uso improprio delle informazioni. Il legislatore e il governo stavano chiudendo l’ambiente digitale, che era sempre stato caratterizzato da un amplissimo livello di libertà, con la collaborazione delle grandi multinazionali. A tal fine, le norme sui crimini informatici, la tutela della proprietà intellettuale, la lotta alla pornografia e alle minacce interne ed esterne alla sicurezza nazionale venivano utilizzate come leve per avviare azioni esemplari a fini deterrenti, anche nei confronti di adolescenti curiosi. Il problema del libero accesso a informazioni e documenti era diventato cruciale, ma il governo spingeva verso la chiusura e minacciava sanzioni per chiunque agisse per garantirlo.