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16. Il controverso ruolo del MIT


Era Aaron Swartz, dunque, l’utente che aveva acceduto alla rete del MIT come ospite – si era registrato ben cinque volte nel 2010 – e stava cercando di scaricare su un hard disk l’intero archivio di articoli di JSTOR.

Il giovane aveva approfittato di una politica del campus, con riferimento alla connessione alla rete, che era, per tradizione, molto aperta, come si confaceva a quella che era considerata “l’università degli hacker”: chiunque poteva entrare in quell’ateneo e collegare il proprio computer a una porta della rete universitaria o, a sua scelta, connettersi alla rete wireless.

Per connettersi alla rete cablata, e ottenere automaticamente l’accesso, era necessario registrare il proprio computer in occasione della prima volta in cui veniva collegato; la connessione alla rete wireless non richiedeva, invece, alcuna formalità.

Anche l’accesso al servizio di articoli scientifici JSTOR era tendenzialmente aperto e senza particolari vincoli. In altre parole, prima di quel fatidico gennaio 2011, qualsiasi computer collegato alla rete del MIT poteva accedervi; in seguito all’incidente, i vertici delle biblioteche e lo staff di sicurezza informatica del campus decisero di implementare un sistema di autorizzazione specifico, denominato “eControl”, da loro progettato per limitare in un’ottica restrittiva l’accesso da parte della comunità studentesca e di ricerca a determinate banche dati elettroniche.

Una volta installato eControl, le richieste di accesso a JSTOR avrebbero domandato anche un certificato valido del MIT e sarebbero state verificate in base all’elenco delle risorse umane dell’ateneo, tanto che l’accesso sarebbe stato concesso solo a docenti, studenti o personale e, ad esempio, non agli ospiti. Gli ospiti che desideravano accedere a JSTOR avrebbero dovuto utilizzare i computer delle biblioteche del MIT, recandovisi di persona.

Aaron non era né un membro del personale del MIT, né uno studente iscritto o ex studente né, tantomeno, un membro della facoltà. Era, semplicemente, un visitatore abituale del campus, che da anni interagiva e collaborava con persone e importanti gruppi di ricerca, sia in ateneo, sia fuori.

I suoi legami con il MIT erano, pertanto, sempre stati molto stretti, anche se non c’era mai stato un “riconoscimento formale”.

La sua prima startup di web-publishing era stata sviluppata proprio grazie all’aiuto di un boot camp organizzato da una società di accelerazione dell’imprenditorialità, che gli aveva permesso di essere ospitato nel campus del MIT già nell’estate del 2005.