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102      Aggiustare il mondo

quel che è certo è che fu un evento importantissimo, anzi, clamoroso, che finì su tutti i giornali, nei forum e negli ambienti tecnologici e politici.

L’attacco informatico portato contro il sistema PACER fu, in realtà, molto articolato, e con diverse prospettive interessanti. Merita, pertanto, di essere approfondito.

In primis, le motivazioni degli attaccanti. Vi erano alcune ragioni alla base, non solamente collegate all’idea, pur centrale, di liberare quei documenti, ma anche volte a dimostrare e denunciare una cattiva organizzazione e gestione di quel sistema, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista della protezione della privacy dei soggetti che si ritrovavano coinvolti in vicende giudiziarie e i cui dati finivano inevitabilmente in quei documenti.

Questo aspetto di auditing di sicurezza (però, non richiesto…), che metteva sotto alla lente del microscopio il rispetto della privacy del sistema, era portato avanti soprattutto da Carl Malamud. Fu un’azione assai efficace: contribuì, ad esempio, a rendere pubblica la necessità di una protezione della privacy molto più rigorosa per i documenti legali e per i sistemi di e-filing – ossia l’immissione elettronica di atti giudiziari nel sistema – e costrinse giudici e funzionari a intervenire concretamente per rimediare a tali errori.

L’azione principale di attacco fu un’operazione essenzialmente di scraping, ossia di raccolta automatizzata e indiscriminata di dati e documenti da un sistema.

Lo stesso team iniziale, composto da Swartz, Malamud e Schultze, accennava informalmente a un vero e proprio “PACER scraping project”. La loro intenzione dichiarata era di trovare un modo per portare una forte pressione al sistema giudiziario nordamericano, affinché consentisse finalmente un libero e pubblico accesso all’intero database.

Schultze, in particolare, sin dal 2008 aveva messo il sistema PACER al centro del suo lavoro, dei suoi studi e dei suoi interessi: aveva scritto diversi articoli, in cui domandava che fosse abbattuto il paywall di quel sistema. Secondo lui, senza usare mezze parole, i tribunali stavano violando la legge, addebitando quasi dieci centesimi a pagina per documenti pubblici, anche se la tassa in questione era stata autorizzata, nel 2002, da un E-government act, che consentiva di caricare dei costi in capo ai cittadini, ma soltanto “per quanto fosse necessario per coprire i costi di fornitura del servizio”.

La normativa sull’e-government, sulla carta, era meritoria: voleva incoraggiare il sistema giudiziario a migrare da un sistema di archiviazione dove gli strumenti utilizzati erano finanziati dalle tasse degli utenti verso una struttura dove i documenti fossero disponibili gratuitamente a più cittadini possibile.

Nella realtà, denunciava Schultze, nel corso degli anni, la raccolta di fondi da parte di PACER con questo sistema aveva superato, e di molto, la necessità di semplice copertura dei costi del sistema stesso. Gli utenti avevano pagato quasi 120 milioni di dollari, ma gestire PACER per il sistema giudiziario aveva un costo, soltanto, di venti milioni. Questa differenza, sosteneva l’attivista, era