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nota 441


Con tutto questo, riprodurre diplomaticamente l’edizione del 1535 non sarebbe stato di alcuna convenienza: tanto valeva allora una ristampa anastatica come quella del Gebhardt, che presentasse, in una con la selva degli h, degli j, degli apostrofi e accenti distribuiti senza risparmio proprio dove non se ne sente il bisogno, e di altrettali peculiaritá tipografiche, almeno anche la pagina e la stampa cinquecentesca. Ho adottato invece, sulle orme delle migliori edizioni moderne del Bruno e del Campanella, il criterio (che ritengo possa agevolmente essere universalizzato, e che del resto è proprio di questa collezione) di presentare nella grafia moderna il testo originale in modo che si legga oggi esattamente come veniva letto nel ’500 con la grafia cinquecentesca. Et ed & sono resi da e o ed a seconda dei casi: dico resi, e non sostituiti, perché ormai è risaputo che quell’et nella prosa del ’500 non era piú se non un infelice scioglimento tipografico della sigla & usata indifferentemente per e o ed; e perché nell’edizione del 1535, a eliminare ogni scrupolo, si ha quasi sempre & e non et. Ma son rimaste intatte forme come de lo, de la, de li e simili (poiché rappresentano nel testo un uso costante e quasi esclusivo), essempio accanto a esemplo, escetto, escedere (da ex-ceptum, excedere; e da leggersi quindi, credo, in conformitá dell’etimo), sapienzia, spezie, desiderarebbe (accanto ad amerebbe), oppinione, tornono, robba, razo, sapiamo, doppo, godeno, ecc.: ossia tutte quelle che rappresentano una tendenza caratteristica, o in senso umanistico o in senso popolaresco, dello scrittore; il qual criterio mi ha, naturalmente, guidato anche lá dove si trattava di scegliere, a scopo di uniformitá, tra due forme concorrenti.

Cosí delettabile, che si alternava nell’edizione principe con dilettabile, ha avuto da me la preferenza, perché la seconda forma generalmente vi compare solo in presenza di diletto e dilettazione, ossia di forme giá modificate dall’uso. E ho preferito dubio a dubbio, perché il primo, come latino o spagnuolo, era piú naturale alla penna di Leone. Né mi trattengo a enumerare molti casi consimili.

Unico punto in cui mi sono arrischiato a venir meno a queste regole è il sonno (per sono, 3ª pers. plur.), che dell’edizione romana rappresenta forse la piú singolare peculiaritá. Questo sonno è voce cosí tipica di una circoscritta area dialettale, e cioè della parlata senese e aretina fino dai primordi della lingua volgare, da non potersi attribuire ad altri che a un compositore della stamperia