Pagina:Abrabanel, Juda ben Isaac – Dialoghi d'amore, 1929 – BEIC 1855777.djvu/434

428 nota

questo nome per l’interlocutore non solo per omaggio all’umanesimo, ma per memoria di Filone di Alessandria, suo grande antecessore nel sincretismo1. Filone di Alessandria si chiamava ebraicamente Jedidjah, che vuol dire «amico di Dio»: e cosí il Filone dell’Abarbanel non è soltanto «l’amante», ma corrisponde esattamente al Teofilo e Filoteo del Bruno. Sofia è «la sapienza»: né solo la sapienza greca, ma la sapienza dello gnosticismo giudaico, e prima di tutto la sapienza salomonica, perché il suo compito principale è di dubitare. Come donna, apprendiamo via via che essa è estremamente intelligente ma non bella: sí che la sua bellezza è esclusivamente spirituale. Ella mostra di possedere, almeno quanto la filosofia, anche le arti della civetteria: e giustamente è stato notato che i dibattiti in cui Sofia si nega e Filone protesta il suo disperato amore costituiscono ai Dialoghi una cornice artistica degna del Rinascimento2. Ma piú originale forse, per quanto meno appariscente, è la tessitura stessa della discussione, che pone le basi del futuro dialogo bruniano e spinoziano, poiché si svolge attraverso continui dubbi, negazioni e antitesi, cui Filone si affatica a superare, con un procedimento ben diverso da quello del dialogo platonico, ma non ignoto a chi abbia qualche familiaritá con la scolastica arabo-giudaica (basti rammentare il Fons vitae di Ibn Gebirol, ben noto al nostro) e che del resto anche ricorda le sottili contrapposizioni di Abelardo e dei grandi Scolastici, divenute qui materia d’arte.

I Dialoghi dovevano essere quattro, dedicati successivamente alla definizione e determinazione di amore e desiderio, all’universalitá o comunitá dell’amore, al problema fondamentale della sua origine, infine agli effetti dell’amore. Senonché dopo i tre che abbiamo (D’amore e desiderio; De la comunitá d’amore; De l’origine d’amore), invano si desidera il quarto, come invano lo desiderarono i contemporanei3; del suo argomento si ha quasi



  1. Il ravvicinamento è giá in Joseph Salomon del Medigo, l. c. (Pflaum, p. 151)
  2. G. de Ruggiero, in «Critica», XXV (1927), p. 396.
  3. Dalla dedica (datata 1540) dell’Institutione di tutta la vita dell’uomo nato nobile (Venezia, 1542) di Alessandro Piccolomini a Don Diego Mendoza (lo stesso che poi indusse probabilmente il Montesa a tradurre i Dialoghi in ispagnuolo), appare che il Mendoza, allora ambasciatore di Spagna a Venezia, molto desiderava il ritrovamento del «Quarto dialogo di Filone e Sofia», o, se non si trovasse, che almeno il Piccolomini lo aggiungesse lui. Questi giudicava che fosse «meglio d’aspet-