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328 iii - de l’origine d’amore

corporee, ed egualmente si dilettarla di quelle e l’amaria, perché tutti hanno occhi e orecchie. Perché tu vedrai molte cose belle che da molti chiari occhi non sono conosciute, né porgeno a quelli che le veggono dilettazione né amore; e quanti uomini di buono audito vedrai che non gustano la musica, né li pare bella né l’amano, e altri che li belli versi e orazioni li pareno inutili: pare adunque che il conoscimento de le bellezze corporee e la dilettazione e amore di quelle non consista negli occhi e orecchie, donde passano, ma ne l’anima, dove vanno.

Sofia. Ancora che in questo tu favorisci il mio dubio, t’interromperò la risposta, fin che mi dica la ragione perché tutte l’anime egualmente non hanno cognizione dilettazione e amore del bello, poi che tutti gli occhi e orecchi il porgeno.

Filone. La risposta di questa vedrai insieme con la soluzione del tuo dubio, se mi lascerai dire. Tu sai che le bellezze corporee sono grazie formali; e giá t’ho detto che tutte le forme astratte in ordine unitivo si truovano spiritualmente ne l’anima del mondo, de la quale è immagine l’anima nostra razionale, però che l’essenzia sua è una figurazione latente di tutte quelle spiritual forme per impressione fatta in lei da l’anima del mondo, sua esemplare origine. Questa latente figurazione è quella che Aristotile chiama potenzia e preparazione universale ne l’intelletto possibile a ricevere e intendere tutte le forme ed essenzie, però che, se non fussero in lei tutte in modo potenziale ovvero latente, non potria riceverle e intenderle ognuna di loro in atto e per preesistenzia. Dice Platone che ’l nostro discorso e intendere è reminiscenzia de le cose antesistenti ne l’anima in modo d’oblivione: che è la medesima potenzia di Aristotile, e il modo latente ch’io ti dico. Adunque conoscerai che tutte le forme e spezie non saltano de li corpi ne l’anima nostra, ché migrare d’un suggetto ne l’altro è impossibile: però, representati per li sensi, fanno rilucere quelle medesime forme ed essenzie che innanzi erano latenti ne l’anima nostra. Questa rilucenzia Aristotile la chiama atto d’intendere, e Platone ricordo; l’intenzione è una in diversi modi di dire. È adunque la nostra anima piena de le bellezze formali, anzi quelle sono sua propria