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150 | Capitolo ottavo. |
Malgrado questo, quando si acconsente a qualche loro richiesta o si fanno dei regali, non fanno mai atti di stupore per la novità dell’oggetto, nè segni molto evidenti di riconoscenza. Un paio di inchini, portando la destra da terra al fronte, ma con tutta freddezza, quasi mostrando che la cosa è meno di quanto si aspettavano e che era dover vostro il privarvene per loro.
Un intercalare, se così si può dire, di tutti gli Abissinesi, è la parola Isci che pronunciano in segno di adesione, di aggradimento e quasi di approvazione a quanto dice un altro. È tanto comune e ripetuta questa parola, che subito l’osserva chi si trova in paese, e per questo mi piace ora ricordarla.
Uno degli inconvenienti delle frequenti visite che si hanno a subire, oltre certi piccoli ma molesti compagni che lasciano in abbondanza, è quello che nell’adempiere una semplicissima funzione, per la quale noi adoperiamo un fazzoletto, loro si servono delle dita che poi puliscono nel primo coso che capita sotto mano. Il re volle una notte andarsene incognito in una chiesa per spiare se si compivano con tutta formalità i sacrificii, ed ebbe ad osservare che i fedeli che entravano, facilmente insudiciavano le sacre pareti, senza riguardo alcuno alle pitture che spesso le ornano. Indispettito, fece subito pubblicare la proibizione del tabacco sotto pena del taglio del naso. Vuolsi per altro sia stata questa una finezza, tanto d’avere un pretesto di togliere l’utile all’Egitto, da dove per la maggior parte si importava il tabacco stesso.
In Abissinia esiste un sistema di spionaggio veramente modello. Qualunque cosa si dica od avvenga, subito ne corre la voce ed il re ne è immediatamente avvertito. Invece del telegrafo, accendono fuochi alle vette dove sono villaggi, e con voci acutissime si trasmettono le notizie da un punto all’altro. Ci dicevano i missionarii di Keren che seppero della battaglia di Gura molto più presto di quello che avrebbe potuto impiegare qualunque corriere a percorrere la strada.