grigio scuro. La pietra che sta sul davanti porta tre forature,
come mortai, parallele all’obelisco stesso, ed una quarta al
centro avanti alle altre. Rende poetica ed artistica la posizione
un secolare sicomoro, di cui il tronco è quindici metri in circonferenza,
e che fra le sue sporgenti radici tiene abbracciato
un’altro obelisco minore. Nei dintorni molti altri ne stanno di
colossali e lavorati, ma caduti e fatti a pezzi: molti riposano
presso le stesse pietre che li circondavano, e che portano le
stesse forature. Parecchi ne stanno ancora nella loro posizione
verticale, ma di minore importanza; alcuni appena regolarmente
tagliati o levigati, altri rozzi pezzi di granito a forma di lingua,
qualche volta con rigature orizzontali o calotte sferiche in leggero
rilievo. Lascio allo studioso il decifrare questi muti testimoni
della civiltà d’altri secoli, e mi permetto solo di aggiungere
che dalla poca esperienza fatta visitando altre reliquie sorelle,
mi pare questo abbia tutta l’apparenza di una necropoli o
di una località consacrata al culto. Gli Abissinesi, non potendosi
spiegare con quali mezzi siansi potuti innalzare pezzi così
grandi e pesanti, ne attribuiscono il merito al diavolo che voleva
costruire una gran torre per dare la scalata al cielo. Il nostro
bravo Zaccaria, che fra i suoi è certo il più istrutto, non può
credere a questo lavoro diabolico, ma non sa neppur immaginare
che vi abbiano riuscito uomini come lui, e pretende che
a quei tempi si sapesse sciogliere poi rimpastare il granito, e
con questo sistema si costruissero gli obelischi a pezzo a pezzo.
L’ingenuità è per lo meno ingegnosa. Proseguendo a nord è
un recinto circolare destinato ad erigervi una chiesa, poi quasi
a terminare la città da questo lato, un altro spazio circolare racchiuso
da una cinta, sede reale. Si accede per un’apertura coperta da una tettoia di paglia a metà rovinata. L’interno è diviso
in due parti da un piccolo muro. Al centro sorge un’edificio
circolare di una dozzina di metri di diametro, sormontato