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Capitolo sesto. | 103 |
reale; lo si riduce in rombi di venti centimetri di lunghezza per
cinque di larghezza al centro, e tre di spessore, che sono messi
in commercio e corrono come moneta, aumentandone il valore
a misura che si allontana dalle miniere. Così, mentre a Sokota
se ne possono avere da 25 fino a 30 per un tallero, ad Adua
non se ne avevano che 18 a 20, a Gondar da 8 a 12 e nel Goggiam
alle volte non se ne danno che quattro.
Del resto come moneta in paese non è noto che il tallero di Maria Teresa, e per gli spiccioli si usano i pezzi di sale o cambi di prodotti. Come misura si usano dei recipienti in legno, scavati entro un pezzo di tronco, più rozzi e certo meno precisi, ma presso a poco come si adoperano da noi per le granaglie. Per misura di lunghezza è adottata quella del braccio, dall’estremo delle dita al gomito, molto variabile quindi a seconda degli individui, ma a tali piccolezze non guardano i commercianti di questo paese.
Il sabato 8 siamo in grande aspettativa, desiderosi di assistere al primo mercato.
La mattina, la piazza o meglio lo spazio a ciò destinato, comincia a popolarsi; gente arriva da ogni lato, chi a piedi, chi colle mule, chi colla modesta aria del commerciante, chi coll’aspetto baldanzoso del compratore o del dilettante che viene a divertirsi, seguito dai suoi servi e dagli armati. Diversi capannelli si formano, parecchi gruppi cominciano a stabilirsi in diversi punti; quell’atmosfera di silenzio e di desolazione che pesa su questa disgraziata città, comincia ad essere rotta da qualche lampo di vita. Verso le dieci l’andirivieni degli accorsi ci pare abbastanza importante e noi pure scendiamo fra loro.
Comincia la noia dell’essere circondati, seguiti, assediati da una massa di curiosi che, non paghi di importunare col chiudere il passo, coi loro commenti e col tenerci fissi gli occhi, ci rivolgono domande e spingono le mani a toccarci gli abiti; ma