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larne la servitù. E son doti ignote a quanti in oggi governano, e contese ad essi dall’educazione, dalla diffidenza perenne, dall’atmosfera corrotta in che vivono, e, com’io credo, da Dio che matura i tempi all’Era dei Popoli.

Nè le mie opinioni erano diverse quand’io scriveva quella lettera. Allora Carlo Alberto saliva il trono, fervido di gioventù, fresche ancora nell’animo suo le solenni promesse del 1821, tra gli ultimi romori d’una insurrezione che gl’insegnava i desideri italiani e i primi di speranze pressochè universali che gl’insegnavano i suoi doveri. Ed io mi faceva interprete di quelle speranze, non delle mie. Però non aggiunsi a quelle poche pagine il nome mio. Oggi, se pur decidete ripubblicarle, proveranno, non foss’altro, a quei che si dicono creatori e ordinatori d’un partito nuovo, che essi non sono se non meschinissimi copiatori delle illusioni di sedici anni addietro e che gli uomini del Partito Nazionale tentavano quel ch’essi ritentano, prima che delusioni amarissime e rivi di sangue fraterno insegnassero loro di dire ai concittadini: Voi non avete speranza che in voi medesimi e in Dio.


Vostro

Gius. Mazzini.




Londra, 27 Aprile, 1847.