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nota 79


col n.° 863. Se ne avvide bensí il Grion ( Propugn ., III, 1, 110); ma del suo avvertimento i piú recenti studiosi (cfr. p. e. Monaci, pp. 263 e 275) non tennero conto.

1, 1 «Venuto»; — 5 «mise»: ma la rima va ristabilita; — 7 e 12 «si» suppl.

2-3, 3 «volgliono»: contratto per guadagnare una sillaba; — 10 «afetto», ma l’a è ritoccata; — 25 «vene», mutato in «va» per la misura; — 26 «n’» suppl.

V. — Di Monte e di ser Cione s’è giá discorso. Notaio fu anche ser Beroardo, l’autore del miglior son. della serie, ch’è decisamente avverso a Carlo d’Angiò; onde cadrá l’identificazione (Casini, in Propugn ., N. S., I, 1, 118-20; e cfr. Monaci, p. 263) col guelfissimo ser Guglielmo Beroardi, giudice e notaio fiorentino (cfr. su lui Davidsohn, Gesch., II, 11, 30; Forsch., IV, 148-9). Piú probabile l’altra con un «Benovardus (Berovardus?) quondam Ruggerini notarius», rogatario d’un atto del 28 aprile 1267 (Del. d. erud. tosc., VIII, 215-7).— Federigo «domini Gualterotti de Florentia» commerciava nel 1274 in Francia (Zaccagnini, op. cit., pp. «9-30). Probabilmente ghibellino moderato, non è pertanto da confondere, come fecero il Monaci fp. 263) e il Torraca (pp. 226-7), col nipote Federico di messer Mainetto Gualterotti, che alla sua fede piú accesa dovè l’esilio. — Dei due individui di nome Chiaro Davanzati, vissuti in Firenze nella seconda metá del secolo, risulta ormai che il rimatore famoso fu quello appartenente al popolo di San Frediano. Combattè a Montaperti (1260), fu per qualche mese capitano d’Orsanmichele nel 1294, e morí tra il 20 agosto 1303 e il 27 aprile 1304 (Debenedetti, op. cit., pp. 15-9; R. Palmieri, in Zeitschr. für roman. Philol., XXXVIII, 447 sgg.). — Messer Lambertuccio di messer Ghino Frescobaldi occupò un posto cospicuo nella vita politica e commerciale fiorentina dell’ultimo trentennio del Dug.: morí nell’agosto del 1304 (Debenedetti, in Misc, di studi crit. pubbl . in on. di G. Mazzoni, I, 19-55; Zaccagnini, pp. 30-1).

La tenz., in A, n.i 882-98, col titolo «tenzone XVIII», ridotto poi il numero a «XVII», quanti sono i sonn. superstiti; andò certamente smarrita la risposta di Pallamidesse Bellindoti, il cui parere appunto vien chiesto da Monte (son. 1, 14). L’artificio metrico, che per gareggiar di bravura i rimatori fanno diventare sempre piú complicato (messer Lambertuccio giunge a tre rime interne