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nota 73


poco dopo la battaglia di Montaperti, gl’indirizzò il Favolello, dove dice d’aver appreso dal comune amico Pallamidesse Belandoti (cfr. qui, pp. 76-7) che, per il suo «trovato», era «’n cima saluto» (Monaci, Crest. ital. dei primi secoli, pp. 239-40): cosí che il fiorire della sua attivitá poetica si deve circoscrivere tra il 1260 e il ’90. Politicamente R. fu ghibellino (Davidsohn, Gesch. von Flor. II, i, 620-1): eredi delle opinioni paterne, Lippo e Guccio furono banditi da Firenze al tempo della discesa di Enrico VII (Federici, p. 58, doc, 3). Su lui cfr. anche T. Casini, Scritti danteschi, Cittá di Castello, 1913, pp. 225-55; I. Del Lungo, in Riv. d’It., a. II (1899), in, 193 sgg., 425 sgg.; E. Pèrcopo, in Rass. crit. d. lett. it., XII (1907J, 49-59.

A 58 sonetti è in A premesso il nome di R. (n.i 623, 813-49, 851-60, 919-28), due dei quali solamente (xxxiii e lviii) si trovano anche in altri codd.; il lviii, che fa parte di una tenz., comparisce con attribuzioni diverse (a Giacomo da Lentini nel Marciano IX it. 529; al Bellindoti nel Magliabechiano VII 1040; adespota in B, 370), tutte senza valore di fronte a quella di A. Lo stesso dicasi per il son. di risposta (a Bondie Dietaiuti in A, 624; a Giacomo da Lentini nel Marc.; adespota in B, n.° 371, e nel Magliabechiano).

Nell’edizione del Federici furono accolti 60 sonetti; ma il xlix, anonimo in A, non contiene elementi interni, che permettano di attribuirlo a R. (senza valore le ragioni addotte dall’editore, quantunque sembri persuadessero il Del Lungo); e il lx, tratto da fonte impura e scorretta, e giuntoci in pessimo stato di conservazione, parve dubbio allo stesso Federici (p. 41). 11 Pèrcopo avanzò, con qualche buon argomento, l’ipotesi che sia di R. anche il Fiore, ma in complesso non persuase.

Per l’ordine dei sonetti il Federici seguí A: io invece ho messo in principio (i-xxix) i sonetti burleschi e lasciato ultimi gli amorosi, informandomi per l’ordinamento di ciascun gruppo alle analogie del contenuto o agli eventuali indizi cronologici.

II, 8 «or dio ci menovasse»: con l’inversione s’evita l'ipermetria; — 12e 14: terminano con la medesima parola in rima, del che non mancano altri esempi in R. (XIII, 10 e 12; XXXVII, 10 e 14).

III, 2 «vi s’acomanda», 9 «si cruc[i]a», 13 «a tanto»: sopprimo «vi», «si» e «a» per la misura.

IV, 3 «la nuta»: e «Nuta» (= Benvenuta) potrebbe andare; ma, poiché in questo sonetto e nel sg. si parla della stessa fanciulla (cfr. p. 121),