Pagina:AA. VV. – Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Vol. II, 1920 – BEIC 1928827.djvu/55


xxiv - pieraccio tedaldi 49

XXVIII

Non vuol piú saperne delle donne.

Del tutto a la ricisa io sbandeggio
ciascuna mala femmina di pregio,
però che sempre mai dal!or collegio
4me n’iu) veduto male e me ne veggio.
E, s’io mai piú nissuna ne richieggio,
ch’io sia tenuto a vile ed a dispregio;
e I buon notai’ ne faccia privilegio,
8ed io ne strò contento, per ch’io deggio
E scriva ch’io rinunzio al benefizio
di lor lusinghe, piacere o diletto;
11a ciò mi obligo insino al die giudizio.
E, se io non seguisco quel, c’ho detto,
che io sie preso e menato a l’ospizio
14d’Amor, che mi punisca del difetto.

XXIX

Ormai, ch’è quasi vecchio, non vuol piú giacere con alcuna femmina.

Corretto son del tutto e gastigato
di non giacer con femmina nissuna,
o bella o brutta, o bianca o rossa o bruna,
4infino che io avrò punto del fiato.
Cosi mi fuss’io tosto riposato,
ch’i ’ebbi quarantanni, in ciascaduna;
e la mia opra ne fussi digiuna
8ben quindici, che io v’ho poi peccato.
Però che saria bene a l’alma mia
e poscia al corpo, ed anche al mio boi sello,
11se raffrenato avessi mia follia.
Ch’io l’ho per un gran matto ed un gran fello
chi non corregge sé di tal risia
14in prima, ch’e’ diventi vecchiarello.
Ond’io dolente son gramo e pentuto,
ch’io mi son cosí tardi ravveduto.