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xxiv - pieraccio tedaldi 37

IV

Quello, che soffre, quand’è lontano dalla sua donna.

Quando vedrai la donna, ch’io mirava,
raccomandami a lei come fuss’io,
e contale che ’l debile cor mio
4ne va piangendo con l’anima prava:
per che, quando il bel viso io rimirava,
ne la mia mente pingeva un disio,
che riparava ad ogni pensier rio
8da me, per la dolcezza, che mi dava.
Poi che partito son da tanta gioia,
di me stesso mi duole, essendo privo,
11e ciò, ch’i’ veggo o sento, m’è a noia.
E poco mi diletta essendo vivo,
tanto è’l dolor, che dentro par ch’io muoia,
14e gli occhi miei di pianto fanno un rivo.

V

Amando, supplica di essere corrisposto.

O vita di mia vita, quando io penso
sopr’a la vostra gran piacevolezza,
nel pensiero mi giugne una dolcezza,
4che mi fa stupefatto stare intenso;
la qual si sparge per ogni mio senso
e dá di voi amar al cor fortezza:
e chi nel cor mi pinse tal vaghezza,
8ubbligato gli son di render censo.
Per che d’amarvi, donna, io pur sormonto,
e pure addoppio a guisa di scacchiere,
11per modo, quasi far non si può conto.
Deh dunque, poi che Amor cosí mi fère,
movete vostro core ad esser pronto
14a clarini quella gioia, c’ho mestiere.