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14 xxiii - tenzoni di rimatori perugini


2 — SER CECCO
Ma è a temere che la loro fortuna risorga.

Non se credea che mai discolorasse
l’orata petra fuor del franco muro,
con l’agiur campo, nel qual raffiguro;
4ma che vigore e forza raddoppiasse.
E, ben che mò ritrosa si voltasse
sua prospera fortuna, poco curo,
sperando sempre; ché’1 tempo futuro
8subito fa salir quai son piú basse.
Tu vederai, se Morte non l’adombra,
farne voltar com’altra volta el tergo,
11e tremar piú, che non fa la codombra,
fuggendo coni’el pesce innanzi a mergo:
non ci varrá recar pietre né ombra;
14di cotal chiosa mia risposta vergo.

3 — GILIO
No, se il loro abbassamento è voluto da Dio.

Se l’antica potenza ritornasse,
che strusse Catenina dal conzuro,
s’io guardo ben con l’intelletto puro,
4non credo che cosí vittoriasse;
ma par che Dio tal opra destinasse,
si, che non vale altrui Tesser maturo,
né signoria, se bene il ver misuro,
8che, com’è suo voler, noi permutasse.
Chi crede ch’altro sia, dico ch’è ombra;
e può dir chi reggea: — S’io pur sommergo,
11colpo de vostra spada non m’adombra.
Ma, se speranza, con la quale io pergo,
da Táspera fortuna me disombra,
14disfatto sia s’ancor non vi dispergo. —