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lettera del vescovo, procurata forse da qualcuno dei loro protettori, li rimise in libertá. Ma difettavano assolutamente di mezzi e, senza la generosa offerta di un ricco signore ad essi prima di allora sconosciuto, non avrebbero potuto provvedere ai bisogni piú urgenti. Senonché alla fine Iddio si ricordò di loro — come scrisse Olimpia al Curione (lett. XLII) — e venne in aiuto dei poveri malcapitati per mezzo del conte di Reineck e poi dei signori di Erbach. Il conte Eberardo di Erbach, marito di una figlia del conte Palatino, dopo di averli sottratti dalle angustie in cui versavano (la contessa volle personalmente assistere Olimpia ancora febbricitante), procurò a Grunthler una cattedra di medicina nell’Universitá di Heidelberg. In quella cittá, famosa anche allora per gli studi, si ridussero i coniugi infelici col piccolo Morato verso il i° agosto del 1554 e prima loro cura fu di rifarsi la casa distrutta. Generositá di amici, editori e autori, e sopratutto del Curione, consenti alla povera Olimpia di ricostituire la biblioteca perduta a Schweinfurt. Poi Grunthler si dette a preparare il suo corso di lezioni, mentre la Morato badava all’educazione del fratello e s’interessava alla sorte dei profughi di Schweinfurt, venendo come meglio poteva in loro soccorso. Senonché la sua debole costituzione aveva troppo risentito delle ansie e dei patimenti sofferti perché potesse resistere piú a lungo. Giá, durante le peregrinazioni, che seguirono alla distruzione di Schweinfurt, Olimpia era stata assalita dalla febbre. Nuovi sintomi della malattia comparvero nell’autunno del 1554; ma la nostra scrittrice superò quella crisi. Non altrettanto accadde dell’altra manifestazione, che il terribile male ebbe nella primavera dell’anno seguente. Scrivendo in quel tempo agli amici, la Morato diceva di essere affetta da febbre continua. «Giorno per giorno, cosi al Curione il 7 luglio 1555 (lett. XLV), mi sento consumare sempre piú dalla forza del male, né passa quasi un’ora sola che non abbia la febbre». E in altra lettera dello stesso periodo scriveva: «Quid de me fiet nescio: ego me totam Deo trado et committo, cupioque dissolvi et esse cum Christo» (lett. XLI). Le stesse parole che si leggono nell’ultima lettera scritta al Curione poco tempo prima della morte (lett. L). Ho ricordato i fatti piú notevoli della vita di Olimpia, quali ci sono offerti dalle lettere. Ma esse hanno non minore importanza per la storia della Riforma. Le convinzioni luterane della scrittrice