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qualsiasi. Le edizioni spicciolate, che di essi vennero in luce dal 1860 al 1880 ,non avevano altra pretesa fuor che quella di fornire dei testi di lingua, cioè semenzai di parole e di frasi del Trecento, ai cruscanti e ai linguaiuoli : nessuno dei vecchi editori pensava che l’importanza dei cantari consiste anzitutto nella materia e che, frantumandoli in infinite edizioni spicciolate, se ne distruggeva tutto il valore. Raccogliendoli invece insieme, come mi accingo ora a (are, si rende loro l’originaria coerenza e unitá, e si illuminano di luce nuovissima, perché essi rappresentano tutto il tesoro di leg- gende che il nostro popolo ci ha tramandato. Se non che una «raccolta» non può essere un fascio disor- dinato di opere diverse Un libro organico richiede un ordine pre- ciso e sicuro; e quest’ordine i cantari non avevano di certo, ra- cimolati com’erano dalle miscellanee mss. del Tre e Quattrocento e dalle stampe popolari del Quattro e Cinquecento. Come ordinare e disciplinare in un libro quella disordinatissima e indisciplinatis- sima materia? Poiché l’Italia non ebbe nel medio evo un libro organico di materia leggendaria, ho vólto gli occhi alla Francia, e ho preso come modello l’opera compiuta alla fine del sec. xn da una affascinante poetessa anglo-normanna, Maria di Francia. Ai dodici lais di Maria metto di fronte i dodici cantari di questo volume: al lais di Lanval corrispondono i cantari del Bel Gherar- dino, della Pulzella gaia e di Liombruno ; al lais di Fraisne il cantare di Gibello , ecc. Non tutti i dodici cantari appartengono al medesimo tempo: il primo è della prima metá del Trecento, l’ultimo forse dei primi decenni del Cinquecento. Ma, come tutta l’arte primitiva, la poesia dei cantári è impersonale, sicché tutti ci appaiono quasi della me- desima mano e del medesimo tempo. Forse per questo i critici di qualche tempo fa li attribuivano tutti quanti ad Antonio Pucci. I cantári non erano destinati alla lettura individuale, ma alla recitazione al pubblico. Della recitazione serbano traccia nelle for- mole con le quali essi si aprono e si chiudono, che sono sempre uguali, come uguali sono tanti elementi tradizionali del teatro. Ogni cantare ha un’ottava al principio e una in fine, nelle quali è contenuta l’invocazione a Dio e ai santi. Queste invocazioni potevano mutare, mutando le circostanze della recitazione, sicché è frequente il caso di cantári con duplice o triplice inizio, oppure di cantári senza inizio o senza fine. Questo spieghi il fatto che i cantári di Bruto e di Gismirante hanno la prima ottava comune.