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TERZO CANTARE
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Piangendo poi ficcò in terra la spada,
e diceva, adorando a quella croce:
— Poi che di tèrmi la vita t’aggrada,
pregoti Cristo con pietosa voce
che la mi togli qui, si ch’io non vada
a morte sofferir tanto feroce. —
In quella venne un cervio per la valle,
bussando colle corna e colle spalle.
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Giugnendo il cerbio inanzi a lui, soggiorna.
Il re teme che fosser cavalieri;
ed apparigli un angiol fra le corna,
dicendo: — O re, non ti dar piú pensieri:
arditamente alla cittá ritorna,
e colla sposa fa’ ciò eh’è mestieri,
ché tu se’ maschio per grazia di Dio,
ed hai ciò che bisogna; — e poi spano.
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E ’l re pose la mano a sua natura,
com’ebbe inteso l’angiol prestamente,
e ritrovossi si fatta misura,
che comparir poteva arditamente.
Di che molto nel cor si rassicura,
e cominciò a cantar divotamente:
— Te Deum laudamus-, —e, poi si fu armato,
partissi da quel luogo ov’ era stato.
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Lo ’mperador, che noi trova la sera,
a Roma fe’ bandir senza dimoro
che ’l si cercasse con gran luminerá
per quella selva, la notte, ogni foro;
e chi ’l trovasse in alcuna maniera,
da corte arebbe poi mille once d’oro;
si che gran gente la selva cercava,
e la sua sposa, che piangendo andava.