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atto terzo 67


Messer Ligdonio. Orsú! Io me voglio comprovare n’autra volta, piano, da me medesimo. «L’eterno Dio vi salvi...».

Panzana. Gli è essa, per Dio! A voi, a voi, a voi, padrone.

SCENA III

Margarita, Agnoletta, Messer Ligdonio, Panzana.

Margarita. Fa’ presto, Agnoletta.

Messer Ligdonio. Quanno essa serra vicina, méttete a no cantone, che non te vegga.

Panzana. Lassate pur far a me.

Messer Ligdonio. Oh! Sta molto alla porta sola.

Panzana. Padrone, fate a mio modo; andatela affrontar, ora che gli è sola, che potrete meglio dire el fatto vostro. E chi sa? Potrebbe ancor venirle voglia di tirarvi dentro nel ridotto.

Messer Ligdonio. Non parli male; ma non me arrisco.

Panzana. Oh! voi tremate! Bisogna far buon animo, qui.

Messer Ligdonio. In fine, lo boglio fare. «Audaces fortuna prodest». Fermate ca, tu. «L’eterno Dio ve salvi» et cetera. Eh! Io le saperò bene, si.

Panzana. Stiamo a udir quel che dirá. Oh che bella sberrettata! oh che sfoggiato inchino! Sii! che dirai? Zi! zi! zi!

Messer Ligdonio. L’eterno Dio, madonna, Giove del cielo le soventissime lagrime sopra vostra beltade o bellezza, per dicer meglio. Vostra Signoria me ave fatto fra l’eloquenzia de’ concetti... Oh Dio! Non mi ricordo. Volete annare allo monistero?

Panzana. Ah! ah! ah! ah! ah!

Margarita. Che anfanate voi? Andate a fare i fatti vostri. Mi parete un manigoldo, vecchio briccone!

Messer Ligdonio. Perdonatime: me burlava. Venga lo cancaro! Non m’è rinzuta niente bona.

Panzana. Ah! ah! ah! Ora sfamatevi, donne, de’ vostri poeti, di questi bellacci. Eccovi le riuscite che fanno! Ho caro dieci scudi che abbiate visto co’ vostri occhi le pruove valenti