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ATTO III

SCENA I

Flamminio solo.

O notte da me disiata si lungo tempo, o notte a me più che tutti i giorni lucente e chiara, notte dolce, notte beata, già sei pur finalmente venuta doppo tanti amari. Chi fia, notte, più aventuroso di me? poi che s’avicina l’ora che io debbo goder di colei la quale io sopra tutte le cose amo e senza la quale io non potrei vivere lungamente. Ma che dico io? Che mi porge questa fiducia? chi sa che tra la spiga e la mano non s’abbia ancora a metter qualche muro? chi è quello a cui sia ascoso quanto, il più delle volte, riescano vane le promesse d’Amore? Io credo che Livia m’ami; credo che, questa notte, il suo disegno sia d’esser meco. Ma chi mi assicurarà che non possano sopravenir mille impedimenti, di maniera che quello che, doppo tante fatiche, sarebbe venuto a questa volta non abbia forse più a far ritorno già mai? Ma chi è colui cosi aveduto che si possa schermire da’ colpi invisibili di fortuna? Siami favorevole, tu, che puoi turbare come a te piace la tranquillità d’Amore. Non ti opporre alle mie gioie; che io non temerò che mi si tolga il frutto che è promesso, questa notte, alla mia pura e salda fede. Cosi, pian piano, prenderò la strada verso il caro albergo dove abita il mio bene.