quel che dice ’l diverbio che «de rebus
que male diviserunt?wn gaudebis
tertius heredes». Crisaulo Va’; sta’ pur discosto:
meco non partirai. Pilastrino Oh che dolcezza
a maneggiar queste patacche gialle!
Ne giova piú che del fuoco l’inverno
e del fresco l’estate e d’un buon greco
quando son riscaldato nel parlare.
i Oro, piú dolce che ’l zuccaro e ’l mele
e piú assai che ’l mangiare a la taverna
e poi dormire! perché, senza questi,
quel paradiso è chiuso e ne intraviene
com’a’ viandanti, ne’ tempi di peste,
senza la fede. Io non vorrei qui, ora,
il piú bel cui che mai mostrasse augello
pelato ne lo spiedi o ver di donna
vergine abbracciamenti. Questo è degno
piú d’ogni cosa e tanto dolce e amabile
che mi fa tutto qui struggere in oglio.
Or non mi meraviglio se quel vecchio
tanto è vivuto piú che non deveva
senza mangiare o ber; perché mi penso
che si pascesse d’está dolcitudine,
come farebbe ognun. Crisaulo Guarda che in te
non facciano il contrario; che, anzi ’l tempo,
non ti faccin morir con un capestro:
che sai ben che a la fin... Pilastrino Tu hai poco ingegno.
Dch! Non mi ricordare i morti, a tavola.
Or credo ben che quel Giupiter, Giove,
quando s’innamorò, si rivolgesse
in questa forma. Guarda gran fatica
ch’ebbe, a far ch’una donna l’abbracciasse!