amaro tòsco; perché, alfin, tai frutti
si ricoglie di voi e di tai fiori
tai fronde e rami suol vostra radice
I produr fra noi. Pianta empia, rea, mal nata!
1 Che ’l ciel la sterpi. Ma di Giove l’ira
a tanta iniquitá punire è tarda.
Venga almen, poi, cosí grave e focosa
che n’arda anco il terren con le radici.
Voglio, prima, di questo consigliarmi
con Sofomide mio. E, se ci è via
che la possa lasciar, che a l’onor mio,
mancando, non mancassi, anzi morire
son risoluto che mi ponga in casa
un drago tal, si velenosa vipera
m’allevi in seno.
Pilastrino Io sono stato un’ora
a sentir questo pazzo. Che può avere?
Tanti lamenti e tante bravarie!
Debbe esser, certo, a la fenestra Lucia,
che fa lo squartator. Vo’ fare anch’io
l’amore. È quella? Sta’. Non è? È pur dessa.
Dico non è, potta de la fortuna!
ch’è, credo, una pignata. Oh! co! co! co!
Io so che l’è col manico. La voglio
puor fra le cose del piovano Arlotto:
come quell’altra che fece Listagiro
per uscir di prigion; che si fé’morto
e, quand’il portar fuori a sotterrarlo,
se ne fuggi, pestato prima il volto
a un di quegli sbirri che ’l portavano
con un gran pugno. Or veggio ben che Amore
fa travedere appunto a questi sciocchi
come fa ’l vino a me. La vo’ contare
in piú di cento luoghi, anzi ch’io dorma.
Io lancio de la fame; che ho cercato
quest’altro parasito tutto il giorno.