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cose e il loro rapporto con lo spettatore, creando un cortocircuito fra presente, passato e memoria: in Senza titolo (Simultaneità dei luoghi, di tutti i paesi che sappiamo...) il lampadario trovato nella prima casa milanese abitata dall’artista, segnato dal lento stratificarsi della polvere, sembrava conservare memoria di tutte le case in cui è stato trasferito successivamente; in Senza titolo (forks, dust) (2006-2008) l’artista rimuoveva le stoviglie d’epoca dal tavolo riccamente apparecchiato nella sala da pranzo in stile barocco (Palazzo Tozzoni, Imola), creando un gioco di impronte che trasformavano l’assenza in presenza; in Senza Titolo (Oggetti dipinti)(2009) dava una seconda superficie ad un oggetto, un’arancia modellata dal tempo quasi protetta, adesso, da una patina di grafite simile a bronzo.


Se le sue opere hanno sempre aggiunto qualcosa alla realtà presistente, in questo ultimo progetto Oberti sembra diventare ancora più silenzioso, sembra fare un passo indietro, e limitarsi a predisporre una situazione con l’obiettivo di dare visibilità ad un meccanismo, svelare un dispositivo, sottolinearne la complessità e la bellezza, forse tenendo a mente le parole di Giuseppe Penone pubblicate nel noto Rovesciare gli occhi1. Penone riporta lì alcune immagini della sua mostra Indicazioni per uno spazio del 1969 e in nota aggiunge "Allestire una mostra presuppone: avvicinare le gente al soffitto, trasportare le finestre all’interno dello spazio e allontanare la superficie del muro" a sottolineare le potenzialità di una scultura capace di rivelare lo spazio e la realà in modo nuovo e diverso.

Chiara Agnello Milano, settembre 2010


1 Si passava attraverso 3 macchine utilitarie di colore nero, una Ka, una Twingo, una Panda, poste ognuna in corrispondenza di uno degli ingressi di Careof.


2 Manara Valgimigli sottolinea che "Altro è interpretare, altro è tradurre: interpretare è analisi, tradurre è sintesi. Chi interpreta guarda al particolare in sè; chi traduce lo vede nei suoi rapporti con il rimanente [...]. Anche tradurre è, come far musica e poesia, come dipingere un quadro e scolpire una statua, sforzo e anelito di conquistare e di possedere la propria realtà.

  1. Giuseppe Penone, Rovesciare gli occhi, Einaudi, Torino,1977.