Osservazioni di Giovanni Lovrich/De' Costumi de' Morlacchi/§. 5. Capanne, ed utensili

§. 5. Capanne, ed utensili

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§. V.

Capanne, ed utensili.

L
E capanne de’ Morlacchi sono assai rozze, e poco comode; Elleno sono per lo più, o quadrate, o rettangole, ma tutte fabbricate col seguente gusto. Ne’ quattro angoli della casa ànno quattro trabi forti, e secondo il bisogno ne’ lati ancora. Queste trabi si profondano per cinque, o sei piedi entro la terra, e verso l’apice si dividono in due per un palmo in circa, e sono i fondamenti, ed i sostegni delle case. Fra gli spazj da trabe a trabe si fabbricano le muraglie, che di ordinario sono di bacchette incrocicchiate, ed intrelciate, o di sassi, rozzamente aggrumati a secco l’un sopra l’altro. La calcina de’ Morlacchi è la creta, o lo sterco de’ Bovi, mescolato colla cenere. I coperti delle case sono di canne palustri, come quelle de’ contadini Italiani, senza la pulizia, e l’ornamento degli ultimi. Non v’à d’altri appartamenti, che il terreno, onde, com’è ben chiaro, cucina, camera da letto, camera da ricevere sono una cosa istessa. Ma pazienza anche questo. Vi sono certe capanne, che servono d’infelice Tugurio ugualmente agli animali, che agli uomini, senza che li divida, che alle volte solamente un trammezzo delle suriferite bacchette. Simili abitazioni una volta, suppongo io, saranno state comuni presso che a tutti i Morlacchi, la maggior parte de’ quali presentemente à una casa per la famiglia, e l’altra per gli [p. 85 modifica]animali, chiamando la prima cuchia, e la seconda pojata. Il focolare è nel mezzo della capanna per quanto riguarda alla larghezza; in quanto poi alla lunghezza è poco distante da uno de’ lati della capanna istessa. Sopra il focolare nel vertice della cala v’è sempre un bucco, a cui si connia spesso una specie di cilindro di legno scavato, che fa le veci di un fumaiuolo. Le mura delle capanne sono molto affumicate al di dentro, e ciò proviene, che non mai, od assai di rado le si puliscono, e la causa, che le rende tali è continua. I Morlacchi usano cenare presso il focolare per tutto il tempo del Verno, ed è vero quel, che dice il Fortis, che dormono allungandosi nel luogo medesimo, ove cenarono; non tutti però, ma chi in un cantuccio, e chi nell’altro, e molto più, quando vi son parecchi matrimonj in una stessa famiglia. È vero, che gli Sposi in molti luoghi soglion farsi un camerino a parte, ma non tutti lo fanno. I loro letti sono due Schiavine provenienti dalla Turchia, una servendo di strammazzo, e l’altra di coperta. Un poco di paglia suol essere ancora il loro strammazzo, e la coperta più pelli de’ Castrati, unite insieme, ma non ànno veruna difficoltà dormir sovente sul nudo suolo, coprendosi s’è Verno colla propria Kadbanizca1, e s’è tempo di State esposti all’aria, senza verun riparo. Non ispogliano comunemente dal dosso, che le sole calzette dai piedi, fatte a guisa di coturni, e ciò fanno presentandosi loro l’occasione di asciugarle al foco. Spogliansi talora della giubba, e del cintolo, a cui sta attaccato il coltello, e li fanno servir di guanciale, [p. 86 modifica]sotto cui ripongono ancora, se l’ànno seco, una, o più pistole. DormonoFonte/commento: Pagina:Osservazioni di Giovanni Lovrich.djvu/269 in questo modo sdrajati più saporitamente forse, che gli effeminati, e molli sopra il più tenero, ed il più perfettamente battuto letto di bombagio. Non è da ommettersi, che quelli, a cui mancano altri mezzi per ripararsi dal freddo, si pongono in dosso le schiavine, sicchè i propri letti fanno diventar portatili. Vi è chi si ricorda, che già mezzo Secolo, alcuni de’ Morlacchi usavano anche alcune capannuccie condur quà, e là a loro piacere sopra i carri. Questa cosa potrebbe servire di prova in parte, quando altre non vi fossero, della loro discendenza dagli antichi Sciti, o Geti, presso i quali erano in voga queste costumanze; e parlando Orazio di essi ne fa un panegirico2 quando ciò non fosse, ch’egli da Poeta faceto, e Satirico si contentasse d’innalzar i Forestieri a spese della sua Patria. Ciò, che deve poi far istrabiliare i più colti Popoli si è, che abbrucciandosi la capannuccia a qualche Morlacco, per una certa natural obbligazione, concorrono tutti i Nazionali a risarcirlo, nè un simil suffragio è circoscritto entro i limiti di una Villa, ma passa da Territorio in Territorio. Succede alle volte, che chi soggiacque alla disgrazia dello incendio, oltre il risarcimento de’ danni, cangia le condizioni in migliori assai di prima. Chi si farebbe mallevadore, che fra le colte Nazioni molti non si abuserebbono di questo sistema sociale? Eppure fra Morlacchi, nessuno, o pochi se ne abusano. Fra le loro [p. 87 modifica]virtù morali, se questa non è la prima, le si avvicina moltissimo, e resto fortemente meravigliato, che il Fortis (in cui su certi propositi si può temere qualche benigna esagerazione) non ne abbia fatto un minimo cenno. Lo stesso accade in occasione della mortalità de’ Bovi: Scambievolmente fra’ Morlacchi si ripara al danno sofferto.

Usavano una volta i Morlacchi incavare nella terra certi granai schiacciati a guisa di cipolle, come gli antichi Germani, forse perchè, (per le continue guerre, che avevano) non fosse ritrovato il grano dal nemico, cui potesse servir di nutrimento. Pochi passi distante da Sign si trova ancora un granajo di questa sorte, che quando fu scoperto, dava moltissima lusinga di racchiuder qualche cosa di prezioso, ma fu trovato voto. I granai di oggidì, che si chiamano da’ Morlacchi Cosci, sono fatti in forma di canestre ovali, od altra forma, che si pongono dalla parte opposta de’ focolari, o sopra i focolari stessi in una soffitta, fatta da taluni non solo a questo fine, ma perchè ella serva ancora di Guardarobba. I granai de’ più benestanti sogliono alle volte fabbricarsi all’aperto, come una picciola capanna senza fondamenti, sicchè si possono trasportare da un luogo all’altro. Questi granai sono fatti di tegole, che in nostra lingua si chiamano Scimle, e non Zimble, come scrive il poco fido Interprete Fortis.

Quasi tutti i vasi inservienti alla cucina de’ Morlacchi sono pentole di terra, e tanto i mobili, che adoprano essi per mangiare, come quelli per bere, sono tutti di legno. V’è una specie di bariletto, che si chiama Fuçia, in cui le Morlacche, o legandoselo con una fune dietro le spalle, o ponendoselo sopra il capo, vanno a prender l’acqua da’ luoghi più vi[p. 88 modifica]cini.3 Le scheggie di sapino sono i loro lumi di notte: Anno delle lucerne, in cui in vece di oglio ardono il burro, ma queste si riservano per gli Ospiti, e per gli ammalati specialmente. Quando poi dice il Fortis, che il fumo del sapino contribuisce molto a render neri i mostacci de’ Morlacchi4 esso probabilmente vuol far ridere i Leggitori a spese altrui, altrimenti ragionerebbe, come chi dicesse, che la biacca contribuisce molto a render bianco un Moro. È vero, che i leggiadri visi di quelle femmine, che s’imbellettano, ponendovi su la biacca, diventan bianchi, ma un pocolino di acqua li riduce allo stato di prima. I Morlacchi, purchè sieno sani, non si alleggeriscono mai delle immondizie del loro ventre ne’ proprj tugurj, cheche talora infetti delle feci de’ loro animali. Il Fortis dice, che anche i moribondi sono portati fuori per far all’aperto questa funzione, ma ciò si lascia dire, e credere, a lui solo, che si lasciò persuadere, che chi bruttasse le ca[p. 89 modifica]panne de’ Morlacchi col liberarsi dal soverchio peso degl’intestini, correrebbe gran rischio della vita.5 Non arrivano i Morlacchi a questo eccesso di brutalità. Certamente chi lo facesse per isprezzo, dovrebbe temer di tutto. Ma sarebbe questi esente forse fra gl’Italiani?

I Morlacchi siedono le più volte per terra, o sopra sedili composti di tavolette, sostentate da tre piedi, alte da terra una spanna in circa, o poco più. Quando essi ànno questa sorte di sedili, non invidiano il Tripode di Apollo.

  1. Kabanizca significa il feraiuolo.
  2. Campestres melius Scithæ
    Quorum plaustra vagas rite trahunt domos
    Vivunt, & rigidi Getæ.

    Horat. ed. 24. v. 11.
  3. Ovidio ci lasciò scritto, che anche a’ suoi tempi le Morlacche usavano portar acque sul capo
    Femmina pro lana cerealia munera frangit
    Impositoque gravem vertice portat aquam.
    I doni di Cerere, che dice Ovidio, che adopravano le Morlacche in vece di lana, era una specie di ciambella fatta di paglia, e posta sopra il capo, per portar con minor aggravio il peso dell’acque. Ma l’asserzione di Ovidio della paglia in vece di lana, sembra provarci, che le serve Romane adoperassero le ciambelle di lana sul capo, per portar l’acqua come usano le Morlacche a’ giorni nostri.
  4. Fort. Vol. I. p. 86.
  5. Vol. I. p. 86.