Opere minori 2 (Ariosto)/Lettere/Lettera II

Lettera II

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II.1

Al cardinale Giovanni de’ Medici2

Reverendissime Domine, D. mi Colendissime.

La servitù ed observanzia mia, che da molti giorni in qua ho sempre avuta verso Vostra Signoria Reverendissima, e l’amore e benignità che quella mi ha dimostrata sempre, mi dànno ardire che, senza adoperare altri mezzi, io ricorra ad essa con speranza di ottenerne ogni grazia. E quando intesi a dì passati che Vostra Signoria Reverendissima aveva avuta la legazion di Bologna, n’ebbi quell’allegrezza che averei avuta se il padron mio cardinale da Este fosse stato fatto Legato; sì perchè d’ogni utile e d’ogni onore di Vostra Signoria sono di continuo tanto desideroso e avido quanto un vero ed affezionato servitore deve esser d’ogni esaltazione del patron suo; sì anche perchè mi parve che in ogni mia occorrenza io fosse per avere quella tanto propizia e favorevole, quanto è debitore un grato patrone ad un suo deditissimo servo. [p. 533 modifica]

Supplico, dunque, Vostra Signoria Reverendissima de volermi per Bolla dispensare ad tria incompatibilia, ed a quel più che ha autorità di fare, o ch’è in uso, ed a più dignitade, insieme con quelle ampie clausule che si pônno fare; et de non promovendo ad sacros ordines,3 per quel tempo che più si può concedere. Io son ben certo che in casa di Vostra Signoria Reverendissima è chi saprà far la Bolla molto più ampla che non so dimandare io.

L’arciprete di Santa Agata, presente esibitore, il quale ho in loco di patre, ed amo per li suoi meriti molto, venirà a Vostra Signoria per questo effetto.4 Esso tôrrà la cura di far fare la supplicazione di quello che io dimando. Supplico Vostra Signoria Reverendissima a farlo espedir gratis: la qual mi perdoni se io li parlo troppo arrogante; chè l’affezione e servitù mia verso quella, e la memoria che ho delle offerte fattemi da essa molte volte, mi darebbono ardire di domandarle molto maggior cose di queste (ancorchè queste a me parranno grandissime), e certitudine d’ottenerle da Vostra Signoría. Si ricordi che deditissimo servo le sono: alla quale umilmente mi raccomando.

Ferrariæ, xxv novembris MDXI.
D. V. Reverendissima

Deditissimus et humilis servus   
Ludovicus Ariostus Ferrariensis.


Fuori — Reverendissimo in Christo Patri et Domino
          D. meo col. D. Cardinali de Medicis,
               Bononiæ Legato dignissimo.


Note

  1. Dall’edizione del Pitteri (Venezia, 1783), per cura di Gio. Andrea Barotti, tomo VI, pag. 387; e dalla Vita dell’Ariosto scritta dal Baruffaldi, pag. 271. Il Barotti, che nel tomo già citato aveva raccolte diciotto lettere familiari del nostro autore, ci ebbe ancora informati di alcune anteriori pubblicazioni che delle medesime eransi fatte, come pure dei manoscritti ond’egli stesso potè ricavarle, con la nota che qui ci giova di riportare: — «Poco più si può dire su queste Lettere, oltra il dar conto de’ luoghi donde si sono levate. La prima — (per noi II) — al cardinal de’ Medici, è copiata dalla Raccolta d’Angelo Maria Bandini, stampata in Arezzo nel 1754, intitolata Collectio veterum aliquot monumentorum ad Historiam præcipue litterariam pertinentium; alla pag. 56. La seconda — (qui VIII) — si levò da un antico manoscritto di parte della Commedia Il Negromante, appresso i signori conti Malaguzzi di Reggio. La quarta — (IX) — si trova tra le Lettere di diversi a Pietro Bembo, raccolte da Francesco Sansovino, e stampate in Venezia nel 1560. La sesta, ottava, nona, decima, undecima, duodecima, tredicesima, quindicesima e diciassettesima — (XIII, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXII, XXIII e XXIV) — a Giovanfrancesco Strozzi, gentiluomo ferrarese, esistono originali nell’archivio di casa Bentivoglio in Ferrara. Il buon genio del signor marchese Don Guido Bentivoglio ne ha permessa la copia che qui si stampa. Dove nella prima edizione delle Opere dell’Ariosto fatta dal Pitteri nel 1741, due sole di quelle dieci se ne diedero, cioè l’undecima e la quindicesima; in questa seconda edizione si dànno per la prima volta le altre otto, che son tutte quelle che fino ad ora si sono trovate tra una farraggine innumerabile di lettere che si conservano confuse nel suddetto archivio.»
  2. Che fu poi pontefice col nome di Leone X.
  3. Perciocchè, com’egli dice di se parlando nella Satira prima: «Io nè pianeta mai nè tonicella, Nè chierca vô che in capo mi si pona.» (v. 113-114).
  4. Si è già mostrato altrove come questa Lettera e la precitata Satira I possano a vicenda rischiararsi.