Opere minori 1 (Ariosto)/Poesie attribuite/Rinaldo ardito/Canto IV

Canto IV

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Rinaldo ardito - Canto III Rinaldo ardito - Canto V
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CANTO QUARTO.




1 Chi1 spegner può la Fada a Amor nemica,
Ai piacer suoi e al suo giojoso regno,
Fassi la madre sua Venere amica,
E modo trova ad ogni suo disegno;
Ma sol la pazïenzia e la fatica
Pôn far l’amante di tal grazia degno:
Queste son l’armi vere2 e scuto* 1 e spada,
Che estinguer ponno la nemica Fada.

2 Io vi lassai il franco Ferraguto
Con gran fatica e somma pazïenza
Innanzi al car’ di Citeréa venuto,
A cui prostrato fece riverenza.
Vener, dappoi che allor l’ebbe veduto
Con tanta umilitade a sua presenza,
Accarezzòllo assai, e come Dea
Previde quel che per lei fatto avea.

3 E vôlta a lui con soave guardatura:
— Felice nell’amor (disse) sarai;3
Poi che la strada mia fatta hai sicura,
Lieta e propizia a te sempre mi arai:
Nelle trame d’amor lieta ventura
Sempre, baron, vivendo troverai;

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Chè un ver servo d’Amor giammai non cade,
Con fatica, pazienzia e umilitade. —

4 E allor la Diva grazïosamente
Baciar gli fece il bello aurato pomo;
Quello ch’in man tenea, se ancor vi è a mente,
Che far puote in amor felice l’uomo.
Gran virtude da quello* 2 e grazia sente
Chi in servitù d’Amore al giogo è domo,
E bacia il pomo che già diede in mano
Elena bella a Paride trojano.

5 La turba che dintorno a Vener stava,
Ebbe di quel barone invidie estreme,
Vedendo quanto lui accarezzava
La lor regina, che molti altri preme:
Nè poco altri amatori antiqui aggrava
Ch’esca tal frutto di sì nôvo seme,
Che un sì novello amante a Vener gionto
Tenuto sia da lei in tanto conto.

6 Ella, ch’intende il cuore, essendo Dea,
Come uom che sopra li altri ogni altro vede,
Lor secreti penser tutti intendea,
Chè l’alto e divin lume il nostro eccede;
Con celeste parlar così dicea:
— Dàssi secondo il merto ogni mercede:
A voi ciechi non par, ma a me, che a lui
Mi dimostri benigna or più che altrui.

7 Taccio la causa; e a render* 3 non son stretta,
Io che son Dea, ragione a vui mortali.
Come esso al fine vuol, sue grazie assetta* 4
Ciascun Iddio,* 5 e non come voi frali:
Anzi, flagello e gran tormento aspetta
Chi ai Dei ascrive le ingiustizie e i mali.
Costui me e voi ha preservato solo;* 6
Nè gli può Amor spiacer, sendo spagnuolo.* 7

8 Ebbe compiuto appena il parlamento
L’alta regina, che li ardenti cuori,
E ogni servo d’Amor restò contento,
Mostrandolo con rose ed altri fiori:
Mostravano al baron loro odio spento

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Con canti, con fioretti e con odori:
Ciascun l’onora, reverisce e loda,
E par che del suo ben gioisca e goda.

9 Poi che fu da ciascun tanto onorato,
Da ogni schiera d’amanti in suo ben mossa,
Da Vener fu il baron licenzïato,
Che ad ogni suo piacer partir si possa;
E il partire al baron fu molto grato,
Desideroso di mostrar sua possa
Fra li erranti baroni, e a tempo e loco
Goder felice in amoroso giôco.

10 Accompagnato fu per via secreta
Dalla nudata ninfa a lui compagna;
E pose quella a accompagnarlo mêta,
Poi che condutto l’ebbe alla campagna;
Ch’ora è spaziosa e di verdura lieta,
Nè della Fada più si duole e lagna:
Più il palazzo non vi è, ma il fiume, il quale
Per fatagion non fu, ma naturale.

11 La ninfa allor da lui prese licenza,
Con riverente cura e bel sembiante:
Così il baron da lei fece partenza,
Sperando a tempo esser felice amante;
E come cavalier di gran coscienza,
Ringrazïò Macon di grazie tante;
E fece voto, d’ogni menda netto,
Andar dove sepulto è Macometto.

12 E prima che d’Amor mai cerchi frutto,
Nè di Venere assalti impresa alcuna,
Rivolse al suo Macon l’animo tutto,
Poi che difeso l’ha da tal fortuna;
Chè quando in l’acqua al fondo fu condutto,
Pensò non veder mai più sole o luna,
E stimòssi, cadendo, al tutto morto;
Or ne ringraziò Dio, poi che gli è sorto.

13 Così verso la Persia il cavaliero
Va armato a piedi, e non si mostra lasso;
Che, se vi è in mente, già quel suo destriero
Dentro al palagio si converse in sasso:
Di replicarlo più non fa mestiero,
Ma vada Ferraù, che quivi io il lasso:
Di andare adagio assai tempo gli avanza;

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Sonan le trombe, e son chiamato in Franza.

14 Già son vicini l’uno e l’altro campo,
Come, signor, vi dissi in l’altro canto:
Di assalirse ciascun menava vampo,
E già incresce a ciascuno il tardar tanto:
E come il ciel della tempesta il lampo
Manda per segno, così Uggiero il guanto
Mandò in segno di guerra allo inimico;
Ma quel lo accetta, e non lo estima un fico.

15 La schier’ dell’avanguardia era innante;
Già per tutto di trombe il suon si odea:
Da un lato Uggier, da l’altro Balugante,
Al combatter con pregii4 ognun movea:
Or viene Artiro e Salomone aitante
L’un contra l’altro, come si solea
Ciombattere in quel tempo a schiera a schiera,
E sempre il capo il primo a ferir era.

16 Percosse Artiro il franco Salomone
Al scudo, e del destrier lo stese in groppa;
Ma alla visiera il cristian barone
L’inimico pagan con l’asta intoppa,
E la schiena5 piegar lo fe allo arcione,
Tal che fu di cader più volte in forse:6
Ma l’uno e l’altro immantinente sorse,
E a ferirse col brando a furia corse.

17 Tra costor cominciòssi allor gran zuffa,
E mescolòssi l’una e l’altra schiera:
Crebbe in instante la mortal baruffa,
Chè l’una e l’altra gente è ardita e fiera;
E questo quello, e quel questo ribuffa;
Alcun non è che non combatta e fêra:
Come prima d’un fuoco talora esce
Un vampo, e un tratto poi súbito cresce.

18 Artiro e Salomon fan mortal guerra,
E quello a questo il forte elmo martella:
Al primo colpo il gran cimier gli atterra,

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E quasi il tolse a quel colpo di sella;
Ma un gagliardo non va sì presto a terra:
Ira e vergogna il paladin flagella,
E sopra all’elmo l’inimico tocca,
Che gli fece tremare i denti in bocca.

19 Ma tanto fu degli altri la gran calca
Che sopra a’ dui baron con furia abbonda,
Che l’un da l’altro presto si defalca7
Come due navi sparte il vento e l’onda.
Oh quanta gente allora si scavalca!
Ogni cosa* 8 di sangue intorno gronda;
A chi è tagliato ed a chi suda il pelo,
E il gran rimbombo suona insino al cielo.

20 Va Salomon correndo fra’ Pagani,
Come lupo fra il gregge o in paglia fuoco:
Artiro atterra* 9 e uccide li Cristiani,
E chiunque accoglie, o môre o campa poco.
Una gran pezza stettero alle mani,
Chè l’uno a l’altro non concesse il loco;
Ma pel vigor di quei di Salomone,
Si rincularo8 alfin quei di Macone.

21 Sforzasi Artir difender la bandiera,
Vedendo di Cristiani il valor grande;
Ma in rotta fugge ormai tutta sua schiera;
Chi qua chi là per non morir si spande:
Minaccia Artir, biastema e si dispera,
Ma attender non puote egli a tante bande;
E Balugante, che tal cosa vide,
Di soverchia ira e di vergogna stride.

22 E subito comanda al franco Odrido,
Che la schiera seconda a guerra mova:
Mossesi quello, e credo alzasse* 10 il grido
Insino al cielo allor la gente nôva;
Ma Uggier, di Carlo capilanio fido,
Visto che l’ebbe, ai suoi gente rinnova;
Mossesi Astolfo e centra Odrido corse,
Ma alcun di loro ai colpi non si torse.

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23 Trasse Pomella9 il valoroso Inglese,10
Poi che ebbe fracassata allor la lanza,
E sopra a un amirante la distese,
Che, allo inferno maodòllo a tôr la stanza;
Gridando: — State, gente, alle difese,
Ch’io sono il fior de’cavalier di Franza,
Che per parol’ non resta far de’ fatti: —
E già tre morti n’avea ’n terra tratti.

24 Partenio occise, Validoro e Iverso.
Al primo fêsse il capo insino al petto,
E il secondo tagliò tutto a traverso,
Sì come al terzo spiccò il capo netto:
L’un Medo, Arabe l’altro e l’altro Perso;
Vecchi i dui primi e il terzo giovinetto.
Nè resta Astolfo, ma ferisce forte,
E chi scavalca e chi conduce a morte.

               (Manca la continuazione.)

25 Maravigliòsse assai Orlando allora
Di tal nazion di gente e sua natura:
Ma qui di lui vi lasserò per ora,
Che anco di Carlo mi bisogna cura.
Stava l’imperator festivo ancora
Della vittoria avuta, e sol procura* 11
Adunar genti per la santa impresa,11
Nè fatica risparmia o guarda a spesa.

26 Fra li altri, un giorno fece un gran convito
Con onorevol pompa alla regale;
E di tutti i signor fu fatto invito,
Senza altra differenzia, universale;
Ove fu ognun trattato e riverito
Secondo il grado suo maggiore o eguale,
E tanto da re Carlo accarezzato,
Che ognun se ne partì ben contentato.

27 Dopo il convito, il sacro imperatore
Mostrò cesárea liberalitade,

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E in varî modi dimostrò l’amore
Che ai suoi portava; a chi con dignitade,
A chi con roba,* 12 a chi con altro onore:
A chi dona castella, a chi cittade;
E a varii mostra variamente il cuore,12
Con tal misura e tal provvedimento,
Che ognun di lui quel dì restò contento.

28 Mentre era questo* 13, nella regia sala
Si vide un messaggiero in fretta entrare,* 14
Quale era appena al sommo della scala,
Che Carlo il vide e a lui il fece andare:
Súbito quel li espose, come cala
Gualtier dal monte, e affretta il camminare,
Perchè inteso ha che Carlo è in gran periglio,
E di affrettarsi ha preso per consiglio.

29 — Con lui è Desiderio di Pavia,
Che al Sepulcro seguirti si dispone,
Con altri gran signori in compagnia;
E seco viene ancor papa Leone,13
Con cardinali e magna chierichia,
Per annullar la legge di Macone:
Tutti, signore, vengono a ajutarti,
E mi han mandato avanti ad avvisarti.—

30 Così disse il messaggio, e da poi tacque,
Per non passare del suo uffizio il segno.
A Carlo molto la novella piacque,
Per sua onoranza e sicurtà del regno:
Bench’i Pagani ormai sian messi all’acque,14
Pur temea ancor non li movesse a15 sdegno
A rifar testa e ritornare a drieto;
E con più gente, sta col cuor più quieto.

31 Iddio ringrazia, e per molto cattolico
Loda Leone allor sommo pontifice,

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Che a lui conduca favore apostolico,
Chè così spera fare opre mirifice;
E il culto di Macon, qual è diabolico,
Male ordinato e di peggiore artifice,
Estinguere ivi almen dove si vede
Sepulto il Fondator di nostra fede.

32 E súbito rivolto ai baron tutti,
Comanda lor che in punto ognun si metta,
E l’altro giorno a corte sian ridutti
Per andar contra16 il pastor santo in fretta.
Non pur li gran signor, ma donne e putti,
Ciascun di andarli si provvede e affretta;
E par che Iddio dal cielo e i benedetti
Angeli insieme ognuno in terra aspetti.

33 E così far si deve, e potea farse
In quella età che avea fedel pastori;
Ma se or son l’alme di conscienzia scarse,
Causa ne sono i papi e loro errori,
Che a’ nostri tempi attendono a ingrassarse
Tra le spurcizie e i vani adulatori,
Con spesse simoníe, con tali imprese* 15
Che a vender son forzati insin le chiese.17

34 Così18 in punto si mosse19 il gran re Carlo,
E contra al papa andò con la sua corte,
Per farli reverenzia* 16 e accarezzarlo,
Come a pastor convien di simil sorte.
Andò lontan sei miglia ad aspettarlo,
E farli compagnia dentro alle porte
Di Parigi, che aspetta a grande onore* 17
Veder de’ Cristïan l’alto pastore.

35 Andònli incontra fuori di Parigi,
Col vescovo Turpino, e preti e frati,
Con le lor croci, neri, bianchi e bigi,
Con ricche20 veste ben tutti addobbati;

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E d’ogni sorte* 18 ch’ai divin servigi
S’usano paramenti ricamati;
Belle pianete21 e adomi pivïali,
Con reliquie, con calici e messali.* 19

36 Intanto ecco trombette e tamburini
Mandare insino al cielo orribil suono:
Carlo l’udiva e tutti i paladini,
E quanti giunti dove è Carlo sono;
E udendo par che ognor più s’avvicini
Dove era Carlo il spaventevol tuono;
Quando a lui giunse22 un altro messaggiero,
Qual disse che vicino era Gualtiero;

37 Qual conduceva genti italïane
In ajuto di Carlo e del suo regno;
Genti fedeli, e tutte cristïane,
Che hanno Macone e chi l’adora a sdegno;
E che dipoi seguivan le romane
Genti, dove era Leon papa degno.
Possibil non fu allora che restasse
Carlo, sì allegro fu, che non gridasse.

38 Con gravità però Carlo gridava:
— Viva la buona gente italïana; —
— Italia, — dopo lui, ciascun* 20 chiamava;
— Viva l’Italia e la gente romana23
L’Italïani ogni baron lodava,
Che ora è stimata gente ignava e strana;
Barbari soli son che or prove fanno,
Nè Italïani ormai più credito hanno.24

39 Già tutto il mondo dominâr Romani;
E chi fusse Lucullo e il gran Pompeo,
Li Asïatici il sanno e li Affricani,

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Mitridate, Tigrane e Ptolomeo.
Cesare in Franza ed altri popul strani,* 21
E in tutta Europa gran prodezze feo;
E Sertorio e Camillo ed altri molti,
Che qui per brevità non ho raccolti.

40 Or persa è tutta la memoria antiqua,
Nè quasi è più chi lor vittorie creda:
Colpa di sorte di signori iniqua
Che a’ barbari l’Italia han data in preda,
Per lor discordie, e per seguir l’obliqua
Strada, in voler che l’uno a l’altro ceda.
Usurpar quel d’altrui senza ragione,25
Di rovinar l’Italia oggi è cagione.

41 Lodò l’Italia assai Carlo, che stato* 22
Vi era più volte a difensar la Chiesa,
E l’italo valore avea provato,
Ch’era di gran contrasto e gran difesa;
E se ben Desiderio26 avea domato
Con altri assai, fu per lor dura impresa.
Contra la Chiesa, e per commesso errore,
Spesso ai gagliardi Iddio tolle il valore.

42 Or se ne vien Gualtier da Monlione,
Qual fu gagliardo e nobil paladino,
Sollecito e al suo re fedel barone,
E molto il loda nel suo dir Turpino.
Visto re Carlo, dismontòe d’arcione
Per onorar il figlio di Pipino:
Carlo abbracciòllo e gran feste gli fece,
Come fare alli suoi a un signor dece.27

43 E così fece a tutti li signori
Ch’erano con Gualtier, con lieto viso.
Io non potrei narrare i grandi onori
Ch’a lor fûr fatti, e le gran feste e il riso.

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Intanto, ecco il pastor delli pastori,
Ch’apre a suo modo e serra il paradiso:
Carlo, che con le chiavi il gran stendardo
Vide, a smontare a piedi non fu tardo;

44 E al pontifice andando, inginocchiòsse,
Ed umile baciògli28 il sacro piede.
Il papa ad abbracciarlo allor si mosse,* 23
E la benedizion dappoi gli diede;
E, sorgendolo29 il papa, alfin levòsse,
E a ciò che li comanda assente e cede;* 24
E per entrar con quel dentro a Parigi,
Sopra il destrer montò senza litigi.30

45 Così verso Parigi ognun s’invia;
E il primo fu Gualtier da Monlione,
Che avéa re Desiderio in compagnia
E tutta la lombarda nazïone;
Poi delle guardie l’ordine seguia:
Dalla man destra è quella di Leone,
Dalla sinistra sta quella di* 25 Carlo,
Ch’il suo segue ciascuna e vuol guardarlo.

46 Da un canto stan le guardie, e non intorno,
E fan come due corna in quel confino.
Da destra stava,* 26 di belle armi adorno,
Al papa un stormo di Roman vicino:
Poi si vedeva dal sinistro corno,
A lato a Carlo, ogni suo paladino
Allora alla sua guardia deputato,
Ciascuno adorno e di belle armi armato.

47 PoiFonte/commento: correz. del trascrittore seguiva Leon con viso lieto,
Armato in sella in abito viandante;31
E Carlo appar con lui, ma pur più indrieto
Tanto, ch’il papa si può dir più avante:
Così fu allor quello ordine discreto32

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Con misterio e ragion molto importante;
Chè minore è del papa, ma maggiore
D’ogni altro al mondo è poi l’imperatore.

48 Armato stava in abito pomposo
Re Carlo allora* 27 riccamente adorno,
E sembrò in vista degno e glorïoso
Re de’ Romani e imperator quel giorno;
Parlando insieme, e ognun di lor giojoso,
Del danno de’ Pagani e di lor scorno,
Della vittoria da re Carlo avuta;* 28
Chè sempre Cristo chi in lui spera ajuta.

49 Dopo seguíano insieme i cardinali,
Adorni d’armi per la Fè di Cristo;
Non, come a questa età, per strazi e mali
D’innocenti signori33 e ingordo acquisto;
Per scacciar di lor terre i naturali
Signori, a fin d’uno appetito tristo:
Seguían il papa; e dopo, un capitano,
Quale era vicesenator romano.

50 Era di Orlando34 quel locotenente,
Che era in quel tempo roman senatore;
E lassava in sua vece, essendo assente,
Un patrizio roman di gran valore,
Il qual guidava tutta la sua gente:
Giovene ardito e di animoso cuore,
Di quella proprio illustre nazïone,* 29
Che era il suo nome eccelso Scipïone.* 30

51 Vinti milia e seicento avea costui
Sotto il stendardo della santa Chiesa,
Che tutti andavan volontier con lui
Per scudo della Fede e sua difesa;
E non per usurpar stato d’altrui,
Ma contra l’infedeli è loro impresa.

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Di tutta l’altra gente deretani,
Sì come un retroguardo, eran Romani.

52 Così van tutti, e sol Leone e Carlo* 31
Fra lor si grida, si desidra e noma.
Questo l’ordine fu, nè da me parlo.
Ma in scriverlo Turpin prese la soma:
La colpa è sua, se ben non seppe farlo.
Non saprei dir se a questi tempi in Roma
Li esperti mastri delle cerimonie
Tali ordinanze stimaríano idonie.35

53 Gionsero in fine alle sbadate36 porte
Di Parigi, città magna e regale,
Ove è, con preti e frati d’ogni sorte,
In abito Turpino episcopale;
Tutti cantando salmi ed inni forte
Tanto, che sino al ciel la voce sale:
Innanzi a tutti si vedean* 32 cantare,
Come in processïon si suole andare.

54 Dentro a Parigi si sentían campane
Con segno di allegrezza al ciel sonare;* 33
Tante trombe e tambur’ che lingue umane* 34
Non bastarian, volendolo esplicare;
Arpe, liuti ed altre cose strane
Si udivano con grazia armonizzare;
Musiche con canzoni,* 35 e bei mottetti
Con arie belle, e contrappunti37 eletti.

55 Grande allegrezza fan fanciulle e donne,
E al beato pastor debiti onori:
Adorne eran le dame in belle gonne
Con diversi ornamenti e bei colori;
E quante lo vedean, serve e madonne,
Spargevano in suo onor diversi fiori,
Con odorifere erbe e naturali,
Sopra il capo a Leone e i cardinali.

56 Entrati in la città, súbito andaro

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Alla prima lor chiesa cattedrale;
E Dio, come si suol, prima onoraro
Carlo, il pastore ed ogni cardinale:
Nè si volse mostrar di grazia avaro,
Se ben veste non ha pontificale,
A quel populo* 36 allor papa Leone,
Chè a tutti diede la benedizione.

57 Doranio, fatto poco anzi cristiano,
Di tal cospetto non si può saziare;
Nè vorrebbe esser, come già, pagano
Per quanto tien la terra e cinge il mare:
Il viver de’ Cristian gli pare umano,
Natural, giusto, come dêssi usare,
Con cerimonie che hanno in sè ragione;
Qual non si trova in quelle di Macone.

58 Poi38 che fu reso a Dio debito onore,
L’entrata fêro nel real palagio
Carlo e Leone, e ogni altro gran signore
Fu consegnato ove può stare ad agio.
Alloggiò parte drento e parte fuore,
E non fu chi patisse alcun disagio.
Ma posino a lor modo, chè piacere
Hanno essi di posare, io di tacere.




Note

  1. Questa stanza fu pubblicata dal Baruffaldi come parte del Canto III.
  2. Errava il Baruffaldi leggendo: Queste son le mie vere.
  3. Il MS.: serrai.
  4. Così la prima edizione; e pare da intendersi, per mala grafia, come preghi. A chi il supposto non piace, può permettersi d’interpretare: promesse di pregio o riconpensa.
  5. In questa ottava, corre altrove spesso, il Codice ha destrer, visera, schena.
  6. Verso con rima sbagliata. — (A.-G.)
  7. Cioè, si distacca, si divide. — (A.-G.)
  8. Il MS.: Si riculoro.
  9. Nome della spada d’Astolfo.— (A.-G.)
  10. Il MS.:Anglese.
  11. Cioè, la conquista di Gerusalemme e del santo Sepolcro. — (A.-G.)
  12. Verso di soverchio alla stanza. — (A.-G.)
  13. Leone III. — (A.-G ) — Se non che taluno porrà qui mente all’abuso che poeti e romanzieri sempre fecero della storia; tra’ quali abusi il più grave nè il più pernicioso non è certamente quello di aver posto Carlo Magno e re Desiderio tra i crocesegnati.
  14. Cioè, ridotti a mal punto — (A.-G.)
  15. Questa particella è nel Manoscritto, ma (come sembra) per mero scorso di penna.
  16. Per incontro.— (A.-G.) Vedi anche il ver. 2 della seguente stanza 51.
  17. Zara a chi tocca; ma il colpo sembra diretto contro i pontefici della stirpe dei Medici.
  18. Questa stanza fu prodotta dal Baruffaldi come parte del Canto III.
  19. Leggeva il Baruffaldi: si mise; indizio di una terza e più vera lezione: pel modo di si misse o messe.
  20. Il MS: ricce. E vedi la sottonotata variante al verso ottavo, anche pel modo di scrivere reliquie.
  21. L’autografo: pianede; come già Fada, che non mutammo, trovandolo ancora immedesimato colla rima.
  22. Il MS., in questa ottava: odiva e odendo, gionti e gionse. E così in altri luoghi.
  23. Il ricordo della virgiliana esclamazione, e l’ingenua caldezza giovanile, chiari appariscono, chi ben consideri, in questo sfogo d’affetto verso la patria comune.
  24. In questo lamento della perduta reputazione degl’Italiani, l’autore del Rinaldo consuona alle cose discorse dal Machiavelli in più e diversi luoghi dell’Arte della guerra.
  25. Allusione agli sforzi fatti da più pontefici per togliere agli Estensi lo stato di Ferrara. Anche di queste stanze (xxxvii-xl) si valsero i primi editori per confermare che il Rinaldo sia parto legittimo di Lodovico.
  26. Della guerra di Carlo Magno contro Desiderio e suoi collegati parla l’Ariosto nel I e II dei cinque Canti aggiunti al Furioso. Qui dice che il re longobardo fu vinto non per valore de’ nemici, ma per gastigo divino, tenendo egli le parti contra la Chiesa. — (A-G.)
  27. Conviene. I Vocabolari ne danno esempi soltanto d’autori antichissimi.
  28. Il MS.: bassògli.
  29. Cioè, sollevandolo da terra, facendolo sorgere. Modo nuovo di usar questo verbo attivamente. — (A.-G.)
  30. Allusione alle dispute che più tardi insorsero per conto delle precedenze.
  31. In abito da viandante, o da viaggio. Modo non saprei se bello, ma nuovo.
  32. Compartito.
  33. I primi editori credettero qui alludersi all’impresa di Leone X contro il duca d’Urbino nel 1517. Noi pensiamo che vi si accenni alle guerre e alle difficoltà mosse in tempi diversi da tre diversi pontefici contro lo stesso duca di Ferrara; come nella precedente stanza XL, e nella susseguente LI.
  34. In tutti i romanzi e poemi di cavalleria, Orlando è chiamato senator romano. — (A.-G.)
  35. Allusione del genere che abbiamo osservata nel ver. 8 della st. XLIV.
  36. Cioè mal custodite. — (A.-G.)
  37. Accompagnature. Senso non osservato; anzi, nemmeno Accompagnatura è, col musicale suo senso, nella Crusca.
  38. Il Baruffaldi pubblicò questa stanza come parte del Canto III.

Note * (varianti)

  1. * lanza.
  2. * dal pomo.
  3. * non vi rendo.
  4. * Come Idio vole sue mercede assetta.
  5. * Come Dio vole — Come esso alfine.
  6. * difeso ha con sua mano.
  7. * essendo Ispano.
  8. * Di sangue.
  9. * occide.
  10. * andasse.
  11. * a gran ventura.
  12. * Chi cum offizi.
  13. * Mentre che questo.
  14. * Facea re Carlo, gionse un messaggiero.
  15. * a gran rapine.
  16. * onore.
  17. * Della adorna cittade di Parigi.
  18. * Di tutte sorte.
  19. * Rellique sante e in man ricci messali.
  20. * E dopo lui ognun forte chiamava — Italia, Italia.
  21. * Cesar la Franza e Mario li Alemanni.
  22. * spesso.
  23. * Nè prina il sacro imperator levosse.
  24. * In piede, e a ciò che vole il papa cede.
  25. * quella di re.
  26. * Stavano de’ Romani.
  27. * Carlo quel giorno.
  28. * avuta da re Carlo.
  29. * E fu di chiara e nobil nazione.
  30. * Come di nome, detto Scipione
           Nato di quell’illustre nazione.
  31. * nè tra lor si noma.
  32. * andavano.
  33. * Tutte sonare in guisa di allegrezza.
  34. * Tamburi e trombe et altre cose strane.
  35. * mottetti.
  36. * Papa Leone.