Opere minori 1 (Ariosto)/I Cinque Canti/Canto V

Canto V

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I Cinque Canti - Canto IV Frammenti in ottave
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CANTO QUINTO.




ARGOMENTO.


               Mentre a battaglia il barbaro già stringe
          Carlo, Marfisa ancor contra lui move:
          E Malagigi i rei demon costringe
          A palesar di Gan l’inique prove.
          Contra Rinaldo, intanto, Orlando spinge
          L’esercito, e fan guerra insieme altrove.
          L’imperador vien rotto; e alfin, cascato
          Nel fiume, a riva è dal destrier portato.

1 Un capitan che d’inclito e di saggio
E di magno e d’invitto il nome merta,
Non dico per ricchezze o per lignaggio,
Ma perchè spesso abbia fortuna esperta;
Non si suol mai fidar sì nel vantaggio,
Che la vittoria si prometta certa:
Sta sempre in dubbio ch’aver debbia cosa
Da ripararsi il suo nimico ascosa.

2 Sempre gli par veder qualche secreta
Fraude scoccar, ch’ogni suo onor confonda;
Che pur là dove è più tranquilla e queta,
Più perigliosa è l’acqua e più profonda:
Perciò non mai prosperità sì lieta
Nè tal baldanza a’ suoi desir seconda,
Che lasciar voglia gli ordini e i ripari
Che faría avendo uomini e Dei contrari.

3 Io ’l dirò pur, sebbene audace parlo,
Che quivi errò quel sì laudato ingegno,
Col qual paruto era più volte Carlo
Saggio e prudente e più d’ogni altro degno:
Ma il vincer Cardorano, e vinto trarlo,
Glorïoso spettacolo, al suo regno,
Quivi gli avea così occupati i sensi,
Ch’altro non è che ascolti, vegga e pensi.

4 Nè si scema sua colpa, anzi augumenta,
Quando di Gano il mal consiglio accusi.

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Per lui vuol, dunque, ch’altri vegga o senta,
Ed ei star tuttavia con gli occhi chiusi?
Dunque l’alloppia Gano e lo addormenta,
E tutti gli altri ha dai segreti esclusi?
Ben saría il dritto che tornasse il danno
Solamente su quei che l’error fanno.

5 Ma, pel contrario, il popolo innocente,
Il cui parer non è chi ascolti o chieggia,
È le più volte quel che solamente
Patisce quando il suo signor vaneggia.1
Carlo che non ha tempo, che di gente,
Nè che d’altro ripar più si provveggia,
Quella con diligenza, che si trova,
Tutta rivede2 e gli ordini rinnova.

6 E come che passar possa la Molta
Sul ponte che v’è già fatto a man destra,
E sua gente negli ordini raccolta
Ritrarre ai monti ed alla strada alpestra;
E ver’ le terre Franche indi dar volta,
O dove creda aver la via più destra:
Pur ogni condizion dura ed estrema
Vuol patir, prima che mostrar che tema.

7 Or quel muro che opposto avea alla terra
Tra un fiume e l’altro con sì lungo tratto,
Fa con crescer di fosse, e legne e terra,
Più forte assai che non avea già fatto;
E con gente a bastanza i passi serra,
Acciò non, mentre attende ad altro fatto,
Questi di Praga, ritrovato il calle
Di venir fuor, l’assaltino alle spalle.

8 L’un nemico avea dietro e l’altro a fronte,
E vincer quello e questo animo avea.
L’esercito de’ Barbari su al monte
Passò l’Albi,3 vicino ove sorgea.
Carlo tenea sopra l’altr’acqua il ponte,
Ch’uscía verso la selva di Medea;4

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E quello alla sua gente, che divise
In tre battaglie, al destro fianco mise.

9 E così fece che ’l sinistro lato
Non men difeso era dall’altro fiume:
L’argin si pose dietro, e lo steccato,
Da non poter salir senza aver piume.
Il corno destro ad Olivier fu dato,
Del sangue di Borgogna inclito lume,
Che cento fanti avea per ogni fila,
Le file cento, con cavai seimila.

10 Ebbe il Danese in guardia l’altro corno,
Con numer par di fanti e di cavalli.
L’imperador, di drappo azzurro adorno,
Tutto trapunto a fior di gigli gialli,
Reggeva al mezzo; e i Paladini intorno,
Duchi, marchesi e principi vassalli,
E sette mila avea di gente equestre,
E duplicato numero pedestre.

11 All’incontro, il stuol barbaro, diviso
In tre battaglie, era venuto innanti,
Men d’una lega appresso a questi assiso,
E similmente avea i due fiumi ai canti.
Cento settanta mila era il preciso
Numer, ch’un sol non ne mancava a tanti;
E in ogni banda con ugual porzioni
Partiti i cavalli erano e i pedoni.

12 Ogni squadra de’ Barbari non manco
Ivi quel giorno stata esser si crede,
Che tutto insieme fosse il popol franco,
Quanto ve n’era chi a caval, chi a piede:
Ma tale ardir e tal valor, tale anco
Ordine avean questi altri, e tanta fede
Nel suo signor, d’ingegno e di prudenza,
Che ciascun valer quattro avea credenza.

13 Ma poi sentîr, che si trovâr in fatto,
Che pur troppo era un sol, non che a bastanza;5
Nè di quella battaglia ebbono il patto,
Che lor promesso avea lor arroganza:
E potea Carlo rimaner disfatto,

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Se Dio, che salva chi in lui pon speranza,
Non gli avesse al bisogno provveduto
D’un improvviso e non sperato ajuto.

14 E non poteron sì l’insidie astute,
L’arte e l’ingan del traditor crudele,
Che non potesse più chi per salute
Nostra morendo, volse bere il fêle:
Gano le ordì, ma al fin6 l’Alta virtute
Fece in danno di lui tesser le tele;
Lo fe da Bradamante e da Marfisa
Metter prigione, e detto v’ho in che guisa.

15 Quelle gli avean già ritrovato addosso
Lettere e contrassegni e una patente,
Per le quali apparea che Gano mosso
Non s’era a tôr Marsilia di sua mente,
Ma che venuto il male era dall’osso;
Carlo n’era cagion principalmente:
E vider scritto quel ch’in mare appresso
Per distrugger Ruggier s’era commesso.

16 E leggendo, Marfisa vi trovoro
E Ruggier traditori esser nomati,
Perchè, partiti dalle guardie loro,
In favor di Rinaldo erano andati;
E per questo ribelli ai Gigli d’oro
Eran per tutto il regno divulgati;
E Carlo avea lor dietro messo taglia,
Sperando averli in man senza battaglia.

17 Marfisa, che sapea ch’alcun errore,
Nè suo nè del fratello, era precorso,
Per qual dovesse Carlo imperatore
Contr’essi in sì grand’ira esser trascorso;
Di giusto sdegno in modo arse nel core,
Che, quanto ir si potea di maggior corso,
Correr pensò in Boemia e uccider Carlo,
Che non potrían suoi Paladin vietarlo.

18 E ne parlò con Bradamante, e appresso
Col Selvaggio Guidon, ch’ivi era allora;
Che a Mont’Alban gli avea il fratel commesso
Che vi dovesse far tanta dimora,
Che Malagigi, come avea promesso,

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Venisse; e l’aspettava d’ora in ora,
Per dare a lui la guardia del castello,
E poi tornare in campo al suo fratello.

19 Marfisa ne parlò, come vi dico,
Ai duo germani, e li trovò disposti
Che s’abbia a trattar Carlo da nimico,
E far che l’odio lor caro gli costi;
Che si meni con lor Gano il suo amico,
E che su ’n par di forche ambi sian posti;
E che si scanni, tronchi, tagli e fenda
Qualunque d’essi la difesa prenda.

20 Guidon, ch’andar con lor facea pensiero,
Nè lasciar senza guardia Mont’Albano,
Espedì allora allora un messaggiero,
Ch’andò a far fretta al frate di Viviano;
E gli parve che fosse quel scudiero
Che tratto quivi avea legato Gano;
Per narrar lui, che la figlia d’Amone
Libera e sciolta, e Gano era prigione.

21 Sinibaldo, il scudier, calò del monte,
E verso Malagigi il cammin tenne;
E nol potendo avere in Agrismonte,
Più lontan per trovarlo ir gli convenne.
Ma il dì seguente Alardo entrò nel ponte
Di Mont’Albano; e bene a tempo venne,
Che, lui posto in suo loco, entrò in cammino
Guidon, senza aspettar più il suo cugino.

22 Egli e le donne, tolto i loro arnesi,
In Armaco e a Tolosa se ne vanno,
Due donzelle e tre paggi avendo presi
Col conte di Pontier che legato hanno.
Lasciamli andar, che forse più cortesi
Che non ne fan sembianti, al fin saranno:
Diciam del messo il qual da Mont’Albano
Vien per trovar il frate di Viviano.

23 Non era in Agrismonte, ma in disparte
Tra certe grotte, inaccessibil quasi,
Dove immagini sacre e sacre carte,
Sacri altar, pietre sacre e sacri vasi,
Ed altre cose appartenenti all’arte,
Delle quai si valea per varî casi,
In un ostello avea ch’in cima un sasso

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Non ammettea, se non con mani, il passo.

24 Sinibaldo, che ben sapea il cammino,
Chè vi venne talor con Malagigi,
Del qual da teneri anni picciolino
Fin a’ più forti stato era a’ servigi,
Giunse all’ostello, e trovò l’indovino
Ch’avea sdegno coi spirti aerei e stigi,
Chè scongiurati avendoli due notti,
I lor silenzî ancor non avea rotti.

25 Malagigi volea saper s’Orlando
Nemico di Rinaldo era venuto,
Sì come in apparenza iva mostrando;
O pur gli era per dar secreto ajuto:
Perciò due notti i spirti scongiurando,
L’aria e l’inferno avea trovato muto;
Ora s’apparecchiava al ciel più scuro
Provar il terso suo maggior scongiuro.

26 La causa che tenean lor voci chete,
Non sapeva egli, ed era nigromante;
E voi non nigromanti la sapete,
Mercè che già ve l’ho narrato innante.
Quando contra l’imperio ordì la rete
Alcina, s’ammutiro in un instante,
Eccetto pochi, che serbati fôro
Da quelle Fate alli servigi loro.

27 Malagigi, al venir di Sinibaldo,
Molto s’allegra udendo la novella,
Che sia di man del traditor ribaldo
In libertà la sua cugina bella,
E ch’in la gran fortezza di Rinaldo
Si trovi chiuso in podestà di quella;
E gli par quella notte un anno lunga,
Che veder Gano preso gli prolunga.

28 Perciò s’affretta colla terza prova
Di vincer la durezza dei demoni;
E con orrendo murmure rinnova
Preghi, minacce e gran scongiurazioni,
Possenti a far che Belzebù si mova
Con le squadre infernali e legïoni.
La terra e il cielo è pien di voci orrende;
Ma del confuso suon nulla s’intende.

29 II mutabil Vertunno nell’anello

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Che Sinibaldo avea, sendo nascosto
(Sapete già come fu tolto al fello
Gan di Maganza, e in altro dito posto;
Non che ’l scudier virtù sapesse in quello,
Ma perchè il vedea bello e di gran costo),
Vertunno, a cui il parlar non fu interdetto,
Là si trovò con gli altri spirti astretto.

30 E perchè il scilinguagnolo avea rotto,
Narrò di Gano l’opera volpina,
Ch’a prender varie forme l’avea indotto
Per por Rinaldo e i suoi tutti in ruina;
E gli narrò l’istoria motto a motto,
E da Gloricia cominciò e da Alcina,
Fin che sul molo Bradamante ascesa,
Per fraude fu colla sua terra presa.

31 Maravigliòssi Malagigi, e lieto
Fu ch’un spirto a sè incognito gli avesse
A caso fatto intendere un secreto
Che saper d’alcun altro non potesse.
L’anello in ch’era chiuso il spirto inquieto,
Nel dito onde lo tolse, anco rimesse;
E la mattina andò verso Rinaldo,
Pur con la compagnía di Sinibaldo.

32 Rinaldo dava il guasto alla campagna
Delli Turoni e la città premea;
Chè, costeggiando Averni e quei di Spagna,
Col lito di Pittoni e di Bordea,
Se gli era il pian renduto e la montagna,
Nè fatto colpo mai di lancia avea:
Ma già per l’avvenir così non fia,
Poi ch’Orlando al contrasto gli venia.

33 Orlando amò Rinaldo, e gli fu sempre
A far piacer e non oltraggio pronto;
Ma questo amore è forza che distempre
Il veder far del re sì poco conto.
Non sa trovar ragion con la qual tempre
L’ira c’ha contra lui per questo conto:
Cagion non gli può alcuna entrar nel côre,
Che scusi il suo cugin di tanto errore.

34 Or se ne viene il paladino innanti
Quanto più può verso Rinaldo in fretta;
E seco ha cavalieri, arcieri e fanti,

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Varie nazion, ma tutta gente eletta.
Sa Rinaldo ch’ei vien; nè fa sembianti
Quali far debbe chi ’l nimico aspetta:
Tanto sicur di quello si tenea
Ch’in nome suo detto ’l demon gli avea.

35 Da campo a Torse, ove era, non si mosse,
Nè curò d’alloggiarsi in miglior sito.
È ver che nel suo cuor maravigliòsse,
Che dopo che Terigi era partito,
Avvisato dal conte più non fosse,
Per tramar quanto era tra loro ordito:
Molto di ciò maravigliòssi, e molto
Ch’avesse il baston d’ôr contra sè tolto;

36 E non gli avesse innanzi un dei malnati
Del scellerato sangue di Maganza
Mandato a castigar delli peccati
Indegni di trovar mai perdonanza:
Ma tal contrarî non può far che guati
Fuor di quanto gli mostra la fidanza,7
Nè che per suo vantaggio se gli affronti,
Dove vietar gli possa guadi o ponti.

37 Ben mostra far provvisïon; ma solo
Fa per dissimulare e per coprire
L’accordo ch’aver crede col figliuolo
Del buon Milon, da non poter fallire.
Ma ’l Conte, che non sa di Gano il dolo,
Fa le sue genti gli ordini seguire;
Nè questa nè altra cosa pretermette,
Ch’a valoroso capitan si spette.

38 Alla sua giunta, tutti i passi tolle,
Che non venga a Rinaldo vettovaglia;
E di quanti ne prese, alcun non volle
Vivo serbar, ma impicca o i capi taglia.
Quel donde più Rinaldo d’ira bolle,
È che ’l cugin fa pubblicar la taglia,
La qual su la persona il re de’ Franchi8
Bandita gli ha di cento mila franchi:

39 Ed ha fatto anco pubblicar per bando,
Che ’l re vuol perdonare a tutti quelli

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Che verran nell’esercito d’Orlando,
E lasceran Rinaldo e li fratelli.
Rinaldo, al fin, si vien certificando
Ch’Orlando esser non vuol delli ribelli;
E si conosce, in somma, esser tradito,
Ma quando non vi può prender partito.

40 Vede che se non viene al fatto d’arme,
Ancor che nol può far con suo vantaggio,
Di fame sarà vinto, se non d’arme,
Ch’a lui nave ir non può nè carrïaggio:
E teme appresso, che la gente d’arme
Un giorno non si levi a fargli oltraggio;
Che non è cosa che più presto chiame
A ribellarsi un campo, che la fame.

41 Mirava le sue genti, e gli parea
Che di fede sentissero ribrezzo;9
Sì la giunta d’Orlando ognun premea,
Ch’avea creduto dover stare in mezzo.10
Rinaldo, poichè forza lo traea,
Fece tutto il suo campo uscir di rezzo,11
E cautamente, in quattro schiere armato,
Al conte il fe veder fuor del steccato.

42 Già prima i fanti e i cavalieri avea
Con Unuldo partito e con Ivone:
Quei di Medoco il duca conducea,
Con quei di Villanova e di Rione,
Da san Macario, l’Aspara e Bordea,
Selva Maggior, Caorsa e Talamone,
E gli altri che dal mar fino in Rodonna
Tra Cantello s’albergano e Garonna.

43 Usciti erano gli Ausci ed i Tarbelli
Sotto i segni d’Unuldo alla campagna;
I Cotueni e li Ruteni, e quelli
Delle vallée che Dora e Niva bagna;
E gli altri che le ville e li castelli
Quasi vôti lasciâr della montagna,
Che già natura alzò per muro e sbarra
Al furore Aquitano e di Navarra.

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44 Rinaldo li Vassari ed i Biturgi,
Taballi e Petrocori avea in governo,
E Pittoni e Lemovici e Cadurgi,
Con quei che scesi eran dal monte Averno;
E quei ch’avean tra dove, Loria, surgi,
E dove è mêta al tuo vïaggio eterno,12
Le montagne lasciate e le maremme,
Con quei di Borgo, Blaja ed Angolemme.

45 Ed oltre a questi, avea d’altro paese
E fanti e cavalier di buona sorte;
De’ quai parte avea prima, e parte prese
Dal suo signor, quando partì di corte;
Tutti all’onor di lui, tutti all’offese
De’ suoi nemici pronti sino a morte.
Dato avea in guardia questo stuol gagliardo
A Ricciardetto ed al fratel Guicciardo.

46 Unuldo d’Aquitania era nel destro,
Ivon sul fiume avea il sinistro corno:
Della schiera di mezzo fu il maestro
Rinaldo, che quel di molto era adorno
D’un ricco drappo di color cilestro,
Sparso di pecchie d’ôr13 dentro e d’intorno,
Che cacciate parean dal natío loco
Dall’ingrato villan con fumo e foco.

47 E perchè a ogni incomodo occorresse
(Chè non men ch’animoso, era discreto)
Contra quei della terra il fratel messe,
Con buona gente, per far lor divieto
Che, mentre gli occhi e le man volte avesse
A quei dinanzi, non venisser drieto,
O venisser da’ fianchi, e con gran scorno,
Oltre il danno, gli dessero il mal giorno.

48 Dall’altra parte, il capitan d’Anglante
Quelli medesimi ordini gli oppone:
Fa lungo il fiume andar Teone innante,
Figliuolo e capitan di Tassillone:

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Dall’altro corno, al conte di Brabante,
Alla schiera di mezzo egli s’oppone.
Bianca e vermiglia avea la sopravvesta,
Ma di ricamo d’ôr tutta contesta.

49 Nell’un quartiero e l’altro la figura
D’un rilevato scoglio avea ritratta,
Che sembra dal mar cinto, e che non cura
Che sempre il vento e l’onda lo combatta.
L’uno di qua, l’altro di là procura
Pigliar vantaggio, e le sue squadre addatta,
Con tal rumor e strepito di trombe,
Che par che tremi il mar e ’l ciel rimbombe.

50 Già l’uno e l’altro avea, con efficace
Ed ornato sermon, chiaro e prudente,
Cercato d’animar e fare audace
Quanto potuto avea più la sua gente.
Era d’ambi gli eserciti capace
Il campo, sin al mar largo e patente;
Che non s’era indugiato a questo giorno
A levar boschi e far spianate intorno.

51 I corridori, e l’arme più leggiere,
E quei che i colpi lor credono al vento,14
Or lungi, or presso, intorno alle bandiere
Scorrono il pian con lungo avvolgimento;
Mentre gli uomini d’arme e le gran schiere
Vengon de’ fanti a passo uguale e lento,
Sì che nè picca a picca o piede a piede,
Se non quanto vuol l’ordine, precede.

52 L’un capitano e l’altro a chiuder mira
Dentro ’l nemico, e poi venirgli a fianco.
Teon, per questo, il corno estende e gira,
E Ivone il simil fa dal lato manco.
Andar dall’altra parte non s’aspira,
Chè l’acqua vi facea sicuro fianco.
A Rinaldo il sinistro, al conte serra
Il destro corno il gran fiume dell’Erra.

53 L’un campo e l’altro venía stretto e chiuso,
Con suo vantaggio, dritto ad affrontarsi:
Tutte le lance con le punte in suso
Poteano a due gran selve assimigliarsi,

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Le quai venisser, fuor d’ogni uman uso,
Forse per magica arte, ad incontrarsi.
Cotali in Delo15 esser doveano, quando
Andava per l’Egeo l’isola errando.

54 All’accostarsi, al ritener del passo,
All’abbassar dell’aste ad una guisa,
Sembra cader l’orrida Ercinia16 al basso,
Che tutta a un tempo sia dal piè succisa:17
Un fragor s’ode, un strepito, un fracasso,
Qual forse Italia udì quando divisa
Fu dal monte Appennin quella gran costa18
Che su Tiféo per soma eterna è imposta.

55 Al giunger degli eserciti si spande
Tutto il campo di sangue e ’l ciel di gridi:
A un volger d’occhi in mezzo e dalle bande
Ogni cosa fu piena d’omicidî:
In gran confusïon tornò quel grande
Ordine, e non è più chi regga o guidi,
O chi oda vegga; chè conturba e involve,
Assorda e accieca il strepito e la polve.

56 A ciascuno a bastanza, a ciascun troppo
Era d’aver di sè medesmo cura.
La fantería fu per disciôrre il groppo,
Perduto ’l lume in quella nebbia oscura:
Ma quelli da cavallo al fiero intoppo
Già non ebbon la fronte così dura;
Le prime squadre súbito e l’estreme
Di qua e di là restar confuse insieme.

57 Le compagníe d’alcuni che promesso
S’avean di star vicine, unite e strette,
E l’un l’altro in ajuto essersi appresso,
Nè si lasciar, se non da morte astrette,
In modo si disciolser, che rimesso

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Non fu più il stuol fin che la pugna stette;
E di cento o di più ch’erano stati,
Al dipartir non furo i duo trovati.

58 Chè da una parte Orlando e dall’altra era
Rinaldo entrato, e prima con la lancia
Forando petti e più d’una gorgiera,
Più d’un capo, d’un fianco e d’una pancia:
Poi, l’un con Durindana, e con la fera
Fusberta l’altro, i duo lumi di Francia,
A’ colpi, quai fece in Alfegra19 Marte,
Poneano in rotta e l’una e l’altra parte

59 Come nei paschi tra Primaro e Filo20
Voltando in giù verso Volana a Goro,21
Nei mesi che nel Po cangiato ha il Nilo
Il bianco uccel22 ch’a’ serpi dà martoro,
Veggiam, quando lo punge il fiero assilo;
Cavallo andare in volta, asino e toro,
Così veduto avreste quivi intorno
Le schiere andar senza pigliar soggiorno.

60 A Rinaldo parea che distornando
Da quella pugna il cavalier di Brava,
Li suoi sarebbon vincitori, quando
Sol Durindana è che gli affligge e grava:
Di lui parea il medesimo ad Orlando;
Che se dalle sue genti il dilungava,
Facilmente alli Franchi e alli Germani
Cederíano i Pittoni e gli Aquitani.

61 Perciò l’un l’altro, con gran studio e fretta
E con simil desir, par che procacci
Di ritrovarsi, e della turba stretta
Tirarsi in parte ove non sia chi impacci.

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Per vietargli il cammin nessun gli aspetta,
Non è chi lor s’opponga o che s’affacci;
Ma in quella parte ove li veggon vôlti,
Tutti le spalle dán, nessuno i volti.

62 Come da verde margine di fossa,
Dove trovato avean lieta pastura,
Le rane soglion far súbita mossa
E nell’acqua saltar fangosa e scura,
Se da vestigio uman l’erba percossa
O strepito vicin lor fa paura;
Così le squadre la campagna aperta
A Durindana cedono e a Fusberta.

63 Li duo cugin, di lance provveduti
(Che d’olmo l’un, l’altro l’avea di cerri),
S’andaro incontro, e i lor primi saluti
Fûro abbassarsi alle visiere i ferri.
I duo destrier che senton con che acuti
Sproni alli fianchi il suo ciascuno afferri,
Si vanno a ritrovar con quella fretta
Che uccel di ramo o vien dal ciel saetta.

64 Negli elmi si feriro a mezzo ’l campo
Sotto la vista al confinar de’ scudi:
Sonâr come campane, e gittâr vampo
Come talor sotto ’l martel gl’incudi.
Ad amendui le fatagion23 fur scampo
Che non potero, entrarvi i ferri crudi:
L’elmo d’Almonte e l’élmo di Mambrino
Difese l’uno e l’altro paladino.

65 Il Cerro e l’olmo andò, come se stato
Fosse di canne, in tronchi e in schegge rotto:
Mise le groppe Brigliador sul prato,
Ma, come un caprio snel, sorse di botto.
L’uno e l’altro col freno abbandonato,
Dove piacea al cavallo, era condotto,
Coi piedi sciolti e con aperte braccia,
Riverso a dietro, e parea morto in faccia.

66 Poi che per la campagna ebbono corso
Di più di quattro miglia il spazio in volta,

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Pur rivenne la mente al suo discorso,
E la memoria sparsa fu raccolta:
Tornò alla staffa il piè, la mano al morso,
E rassettati in sella dieder volta;
E con le spade ignude aspra tempesta
Portaro al petto, agli omeri e alla testa.

67 Tatto in un tempo, d’un parlar mordente24
Rinaldo a ferir venne, e di Fusberta,
Il cavalier d’Anglante, e insiememente
Gli dice — Traditore — a voce aperta;
E la testa che l’elmo rilucente
Tenea difesa, gli fe più che certa,
Ch’a far colpo di spada di gran pondo
Si ritrovava altri che Orlando al mondo.

68 Per l’aspro colpo il senator romano
Si piegò fin del suo destrier sul collo;
Ma tosto col parlare e con la mano
Ricompensò l’oltraggio e vendicòllo:
Gli fe risposta che mentía, e villano
E disleale e tradìtor nomòllo;
E la lingua e la mano a un tempo sciolse,
E quella il core e questa l’elmo colse.

69 Multiplicavan le minacce e l’ire,
Le parole d’oltraggio e le percosse;
Nè l’un l’altro potea tanto mentire,25
Che detto traditor più non gli fosse.
Poi che tre volte o quattro così dire
Si sentì Orlando dal cugin, fermòsse;
E pianamente domandòllo, come
Gli dava, e per che causa, cotal nome.

70 Con parole confuse gli rispose
Rinaldo, che di collera ardea tutto;
Carlo, Orlando e Terigi insieme pose
In un fastel, da non ne trar construtto;
Come si suol rispondere di cose
Donde quel che dimanda è meglio instrutto.

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— Pian, pian, fa ch’io t’intenda — dicea Orlando, —
Cugino; e cessi intanto l’ira e ’l brando. —

71 In questo tempo i cavalieri e i fanti
Per tutto il campo fanno aspra battaglia,
Nè si vede anco in mezzo, nè dai canti
Qual parte abbia vantaggio e che più vaglia.
Le trombe, i gridi, i strepiti son tanti,
Che male i duo cugin alzar, che vaglia,
La voce ponno, e far sentir di fuore
Perchè l’un l’altro chiami traditore.

72 Per questo fûr d’accordo di ritrarsi,
E differir la pugna al nôvo sole;
Poi, la mattina, insieme ritrovarsi
Nel verde pian colle persone sole;
E qual fosse di lor certificarsi
Il traditor, con fatti e con parole.
Fatto l’accordo, diêr subito vôlta,
E per tutto sonar fêro a raccolta.

73 Al dipartir, vi fûr pochi vantaggi:
Pur, s’alcun ve ne fu, Rinaldo l’ebbe;
Chè, oltre che prigioni e carrïaggi
Vi guadagnasse, a grand’util gli accrebbe,
Che alloggiò dove aver dalli villaggi
Copia di vettovaglie si potrebbe.
L’altra mattina, com’era ordinato,
Si trovò solo alla campagna armato.

               Qui mancano molte stanze.

74 Scendono a basso a Basiléa ed al Reno,
E van lungo le rive insino a Spira,
Lodando il ricco e di cittadi pieno
E bel paese ove il gran fiume gira.
Entrano quindi alla Germania in seno,
E son già a Norimbergo, onde la mira26
Lontan si può veder della montagna,
Che la Boemia serra da Lamagna.

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75                    ● ● ●



Venner continüando il lor viaggio
Su ’n monte onde vedean giù nella valle
La pugna che Sassoni, Ungari e Traci,
Facean crudel contra i Francesi audaci:

76 E gli aveano a tal termine condotti,
Per esser tre, com’io dicea, contr’uno;
E sì gli avean nell’antiguardia rotti,
Che senza volger vólto fuggía ognuno:
Nè per fermargli i capitani dotti
Della milizia avean riparo alcuno;
Anzi, i primi che in fuga erano vôlti,
I secondi e i terzi ordini avean sciolti.

77 L’ardite donne, con Guidone, e ’nsieme
Gli altri venuti seco a questa via,
Sul monte si fermâr che dall’estreme
Rive d’intorno tutto il pian scopria;
Dove sì Carlo e li suoi Franchi preme
La gente di Sansogna e d’Ungheria,
E l’altre varie nazïoni miste,
Barbare e greche, ch’a pena resiste.

78 Con gran cavallería russa e polacca,
L’esercito di Slesia e di Sansogna
Guida Gordamo; e sì fiero s’attacca
Colla gente di Fiandra e di Borgogna,
E sì l’ha rotta, tempestata e fiacca
Al primo incontro, che fuggir bisogna;
Nè può Olivier fermarli, ch’è lor guida,
E prega invano e ’nvan minaccia e grida.

79 Or, mentre questo ed or quell’altro prende
Nelle spalle, nel collo e nelle braccia,
Volge per forza l’un, l’altro riprende
Che ’l nemico veder non voglia in faccia;
Gordamo di traverso a lui si stende,
E su ’n corsier ch’a tutta briglia caccia,
Sì coll’urto il percôte e sì l’afferra
Colla gross’asta, che lo stende in terra.

80 Non lunge da Olivier era un Gherardo
Ed un Anselmo: il primo è di sua schiatta,

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Chè di don Buoso nacque, ma bastardo
(Però avea il nome del vecchio da Fratta);
Il secondo Fiamingo, il cui stendardo
Seguía una schiera in sue contrade fatta:
Restâr questi duo soli alle difese,
Fuggendo gli altri, del gentil marchese.

81 Gherardo col caval d’Olivier venne,
E si volea accostar perchè montassi;
Ed Anselmo, menando una bipenne,
Gli andava innanzi e disgombrava i passi:
Quando Gordamo alzò la spada, e fênne
Con un gran colpo i lor disegni cassi;
Chè dalla fronte agli occhi a quello Anselmo
Divise il capo, e non gli valse l’elmo.

82 Tutto ad un tempo, o con poco intervallo,
Colla spada a due man menò Baraffa,
Venuto quivi con Gordamo, ed hallo
Accompagnato il dì sempre alla staffa;
E le gambe troncò dietro al cavallo
Dell’altro sì, che parve una giraffa,27
Ch’alto dinanzi e basso a dietro resta.
Sopra Gherardo ognun picchia e tempesta;

83 E tante gli ne dàn che l’hanno morto
Prima ch’ajutar possa il suo parente.
Dolse a Olivier vedergli far quel torto,
Ma vendicar non lo potea altrimente;
Perchè, da terra a gran pena risorto,
Avea da contrastar con trippa gente:
Pur, quanto lungo il braccio era e la spada,
Dovunque andasse si facea far strada.

84 E se non fosser stati sì lontani
Da lui suoi cavalieri in fuga vôlti,
Che fuggían come il cervo innanzi a’ cani,
O la pernice agli sparvieri sciolti;
Tra lor per forza di piedi e di mani
Saría tornato e gli avría ancor rivôlti:
Ma che speme può aver per ohe contenda,
Chè forza è ch’egli muoja o che s’arrenda?

85 Ecco Gordamo, senz’alcun rispetto

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Ch’egli a cavallo e ch’Olivier sia a piede,
Arresta un’altra lancia, e ’n mezzo il petto
A tutta briglia il paladino fiede;
E lo riversa sì, che dell’elmetto
Una percossa grande al terren diede:
Tosto ch’in terra fu, sentì levarsi
L’elmo dal capo, e non potere aitarsi.

86 Chè gli son più di venti addosso a un tratto,
Sulle gambe, sul petto e sulle braccia;
E più di mille un cerchio gli hanno fatto:
Altri il percuote ed altri lo minaccia;
Chi la spada di mano, chi gli ha tratto
Dal collo il scudo, e chi l’altre arme slaccia.
Al duca di Sansogna al fin si rende.
Che lo manda prigione alle sue tende.

87 Se non tenea Olivier, quando avea ancora
L’arme e la spada, la. sua gente in schiera,
Come fermarla e come volgerl’ora
Potrà, che disarmato e prigion era?
Fuggesi l’antiguardia, ed apre e fora
L’altra battaglia, e l’urta in tal maniera,
Che, confondendo ogni ordine, ogni metro,28
Seco la volge e seco porta indietro.

88 E perchè Praga è lor dopo le spalle,
I fiumi a canto e gli Alemanni a fronte,
Non sanno ove trovar sicuro calle,
Se non a destra, ov’era fatto il ponte;
E però a quella via sgombran la valle
Con li pedoni i cavalieri a monte:
Ma non riesce, perchè già re Carlo
Preso avea il passo e non volea lor darlo.

89 Carlo, che vede scompigliata e sciolta
Venir sua gente in fuga manifesta,
La via del ponte gli ha súbito tolta,
Perchè ritorni, o ch’ivi faccia testa:
Nè vi può far però ripar, chè molta
L’arme abbandona e di fuggir non resta;
E qualcun, per la tema che l’affretta,
Lascia la ripa e nel fiume si getta.

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90 Altri s’affoga, altri notando passa,
Altri il corso dell’acqua in giro mena;
Chi salta in una barca e ’l caval lassa,
Chi lo fa notar dietro alla carena;
O dove un legno appare, ivi s’ammassa
La folta sì, che, di soverchio piena,
O non si può levar se non si scarca,
O nel fondo tra via cade la barca.

91 Non era minor calca in sull’entrata
Del ponte, che da Carlo era difesa;
E sì cresce la gente spaventata,
A cui più d’ogni biasmo il morir pesa,
Che ’l re non pur, con tutta quella armata
Che seco avea, ne perde la contesa,
Ma, con molt’altri uomini e bestie a monte,
Nel fiume è rovesciato giù del ponte.

92 Carlo nell’acqua giù del ponte cade,
E non è chi si fermi a dargli ajuto;
Chè sì a ciascun per sè da fare accade,
Che poco conto d’altri ivi è tenuto:
Quivi la cortesía, la caritade,
Amor, rispetto, beneficio avuto,
O s’altro si può dire, è tutto messo
Da parte, e sol ciascun pensa a sè stesso.

93 Se si trovava sotto altro destriero
Carlo, che quel che si trovò quel giorno,
Restar potea neir acqua di leggiero,
Nè mai più in Francia bella far ritorno.
Bianco era il buon caval, fuor ch’alcun nero
Pelo, che parean mosche, avea d’intorno
Il collo e i fianchi fin presso alla coda:
Da questo al fin fu ricondotto a proda.

               Manca il rimanente.




Note

  1. È parafrasi del noto verso d’Orazio: Quidquid delirant reges plectuntur Achivi. — (Molini)
  2. Rivede con diligenza tutta quella (gente) che si trova avere.
  3. L’Albi, cioè l’Elba; non l’Alpi, come hanno alcune edizioni. (Molini) — Le parole seguenti s’intendano: vicino alla sua sorgente.
  4. Di questa selva parlasi, secondo le favole, nel canto II, st. 101-117.
  5. Intendasi: ma poi che si trovarono nel fatto, sentirono che pur troppo uno d’essi era un solo, non che fosse a bastanza a combattere il maggior numero.
  6. Il Barotti: «Gano ordì, ma nel fin.»
  7. Cioè; la fidanza non può fare che Rinaldo guati tal contrari (ponga mente a tali contrarietà, o segni o atti opposti) fuori di quanto essa fidanza gli mostra.
  8. Vedi la nota 1 a pag. 18.
  9. Sentissero paura o rimorso della fede rotta a re Carlo.
  10. Lo stesso che starsi di mezzo, non prender parte tra i contendenti.
  11. Dal coperto, o dagli alloggiamenti.
  12. Loria, per Loira: viaggio eterno, come quello che dura, secondo i moderni geografi, pel corso di dugenquaranta leghe.
  13. Fu questa l’impresa che l’Ariosto adottò per sè medesimo col motto pro bono malum: con che volle denotare l’ingratitudine del cardinale Ippolito da Este. Trovasi impressa alla fine della sua edizione del Furioso del 1532. — (Molini.)
  14. Gli arcieri.
  15. Vedi Virgilio, Æneid., libro III, v. 73 seg. — (Molini.)
  16. Ercinia, vastissima selva della Germania, detta oggi Foresta nera. Ne parla G. Cesare, Comment., libro VI. — (Molini.)
  17. Esempio da profittarne pel Vocabolario, che non ne ha del cinquecento; e negli addotti parlasi non d’alberi, ma di fiori.
  18. La costa di Sicilia, per quello che sembra; sebben Tifeo, come canta l’autor medesimo nel Capitolo X, sia sepolto sotto i vulcani della vicina Ischia. — Come la Sicilia fosse divisa (unitamente forse a quelle che si chiamano Isole Eolie, e alle altre finitime) dal continente d’Italia, ce lo narrano a gara e gli storici e i poeti del Lazio più conosciuti. — (Molini.)
  19. Non potendosi correggere Flegra, perchè il verso mancherebbe di una sillaba, il Barotti suppose verisimilmente, che il poeta avesse scritto: «quai già fece in Flegra,» o simile.
  20. Parte più bassa del Ferrarese, abbondante di valli e di pascoli. (Barotti.) — Di Filo si fa menzione ancora nel Furioso, can. XLIII, st. 146.
  21. Io tengo che debba dire: e Goro. Volana è una notissima diramazione del Po a Ferrara, la quale formava a’ tempi di Polibio (lib. II) un porto inter omnes Adriatici maris portus tutissimus. Ancora il Goro è un ramo dell’altro Po detto di Venezia, e fa un buon porto nell’Adriatico. — (Barotti.)
  22. La cicogna, inimicissima delle serpi. — Questo occello viene dall’Egitto. — (Barotti e Molini.)
  23. Esempio notabile, tuttochè un altro se ne trovi pure nel Furioso, can. XII, st. 67. Sembra a noi posto per Opera di fattucchiería, Incantesimo in genere; e non per alcuna specie particolare d’incanto.
  24. In questo senso traslato manca d’esempio. Anche il Machiavelli, nella Legazione 3a alla corte di Francia, Lettera VIII: «Dopo qualche parola mordente contro al papa.»
  25. Usato attivamente, per Accusare di menzogna. Usò questa forma, con l’energica accompagnatura che segue, ancora il Bandello: «Il quale subito, mentendolo per le canne della gola, ec.» Par. I, nov. 54.
  26. Si sa che la Boemia è, per un terzo della sua grandezza, rinchiusa da quattro catene di montagne, dette Morave, Riesenge-Birge, Erzegebirge e Boehmerwald; onde la voce mira (altramente inesplicabile) sembra qui posta per Lunga continuazione.
  27. La giraffa è quadrupede dell’interno dell’Africa, di straordinaria altezza, ed ha le gambe anteriori assai più lunghe delle posteriori. — (Molini.)
  28. Esempio notabile, e da aggiungersi a quello di Dante, Purg., XVII, 51.