Opere minori 1 (Ariosto)/Ai Lettori

Ai Lettori

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Frontespizio Edizioni

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AI LETTORI

DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE.





I due volumi che ti presentano riunite le Opere minori di Lodovico Ariosto, furono compilati con intenzioni meramente letterarie: quindi non si stimò necessario di tessere una vita novella dell’Autore, nè un discorso filosofico per ispiegare (come oggi si desidera) i fini civili degli scritti di lui; ed anche perchè simili antiporti e corredi meglio si sarebbero accompagnati coll’Orlando Furioso, riprodotto sino dal 1843. Ci duole bensì che d’altro e opportunissimo ornamento debba andar priva questa edizione, per la morte immatura e sempre compianta del professore Giuseppe Arcangeli, il quale avea promesso di scrivere, e fors’anche preparato per la medesima, un Discorso intorno all’antico teatro comico italiano.

Rimasto io solo, e dolente, all’adempimento dell’impresa che ad entrambi erasi dall’editore confidata, mi volsi all’erudito veronese signor dottore Alessandro Torri, che sapevasi aver fatto scopo a’ suoi studii le varie poesie e le prose ariostée sin da quando le prime ripubblicavansi, per le cure di Giuseppe Molini e di Antonio Renzi,1 nel 1824. [p. ii modifica]Nè mi fu difficile l’ottenere quel ch’io bramava da quel cortesissimo; cioè la cessione delle varianti inedite della Commedia La Imperfetta2 o Scolastica; il trasferimento in noi stessi della permissione già ottenuta da lui per la ristampa del Rinaldo Ardito; e in fine l’uso di un numero non iscarso di libri a stampa da lui raccolti, e spesso di sua mano postillati, per oggetto consimile a quello che a me veniva proposto.

Così passata in proprietà dell’editore una parte delle cose anzidette, e di tutte venendo a me fatta comodità, mi posi a paragonare i testi più recenti e più divulgati delle scritture da ripubblicarsi colle loro più antiche edizioni, e con quelle che si professano e veramente furono eseguite colla scôrta di autentici manoscritti. Del metodo da me tenuto nelle collazioni di tal fatta, degli argomenti avuti alla preferenza o al dissenso, del mio benchè raro scostarmi da tutte le ricevute lezioni per proporne alcun’altra che dalla logica paresse comandarsi (cose non forse del tutto nuove a chi legge), vien reso conto, semprechè parve occorrere, nelle nostre medesime annotazioni.

Vuolsi qui nondimeno epilogare la qualità ed il numero delle edizioni, benchè altrove additate, le quali avemmo più continuamente sotto gli occhi nel condurre la nostra; e furono le seguenti:

          Opere di L. Ariosto. Venezia, Orlandini, 1730;
          Le stesse. Ivi, Bortoli, 1739 e 1755;
          Le stesse. Ivi, Pitteri, 1766 e 1783;
          Opere varie ec. Parigi, Lambert, 1776;
          Poesie varie ec. Firenze, Molini, 1824;
          Le Satire. Venezia, Zoppino, 1535;

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          Le Satire e le Rime, Londra, Pickard, 1716;
          La Cassaria e i Suppositi in prosa. Venezia, Zoppino, 1525;
          La Scolastica. Ivi, Grifio, 1547;
          La stessa. Londra, Edlin, 1737;
          Le cinque Commedie in versi. Venezia, Giolito, 1562;
          Commedie e Satire. Firenze, Barbèra ec., 1856;
          Carmina illustrium poetarum italorum. Ivi, Tartini ec., 1719.


Non era d’uopo il replicare tra questi ancora quei libri diversi di cui dovemmo farci modello, sia per qualche unico e incerto, sia solo per pochi e minori componimenti del nostro autore.

A maggiore comodità dei discenti, e perchè i maestri far possano più agevolmente quello che, non per volontà ma per impotenza, si fosse da noi tralasciato di operare, soggiungiamo a questo avvertimento una indicazione delle più (come pensiamo) e delle meno sconosciute fra le impressioni fattesi delle varie opere dell’Ariosto, escluse quelle dell’Orlando; nelle quali saranno pure da ricercarsi le ristampe da noi non menzionate dei Cinque Canti, che falsamente vennero riguardati come continuazione di quel poema.

Per ciò che spetta alle varianti introdotte nella Scolastica, o riferite come ad illustrazione critica di essa Commedia, ecco ciò che ci accade far noto a chi voglia valersi della presente edizione. In un esemplare interfogliato e con gli altri libri consegnatoci della stampa del Grifio del 1547, sono scritte via via sopra le carte aggiuntevi e fronteggianti le impresse, codeste lezioni, che ci era pur forza a tutt’altre preferire, perciocchè precedute, nella prima di esse carte, da una dichiarazione di tal tenore:

Le varianti che s’incontrano in quest’esemplare furono da me soscritto collazionate dietro l’autografo [p. iv modifica]dell’Ariosto, esistente nella nostra pubblica Biblioteca di Ferrara.
                    Ferrara, dalla pubblica Biblioteca,
                                        19 decembre 1826.

Bibliotecario aggiunto.


Andava, poi, e va unito ad esso libro un quadernetto di pagine 24, di cui manoscritte sole 18, rimanendo le altre in bianco; ove si richiamano quelle della stampa anzidetta, le quali sommano in tutto a 102; e nella prima pagina o frontespizio di esso fascicolo, sono da egual penna segnate queste parole:

Varie lezioni che s’incontrano nella Scolastica di Lodovico Ariosto dietro l’esemplare corredato di postille dal Ch.° Giovanni Andrea Barotti, esistente nella nostra Biblioteca di Ferrara, segnato fra’ Codici della prima classe Num.° I, sulla Commedia ch’esso possedeva di pugno di Gabriello, fratello del nostro poeta, registrate da Don Giuseppe Antonelli Bibliotecario aggiunto, questo dì 19 decembre 1826.


Ora quel libretto e il relativo quadernuccio, torneranno, secondo i patti, in podestà del primo possessore e cessionario dell’uso già fattone, il prefato signor A. Torri.3

Coll’ordine da noi seguito, in ispecie nel primo volume, intendemmo a classare le materie in esso contenute, conciliando, quant’era possibile, il tempo a cui quelle si [p. v modifica]riferiscono nella vita dell’Autore, col grado d’importanza che alle varie specie di esse ci pareva da attribuirsi. Speriamo ancora che altri non giudichi soverchio il rigore con che si volle per noi separata dalle poesie legittime di messer Lodovico ciascuna di quelle sulle quali cader potesse qualche, benchè leggiera, dubitazione.

Dei costumi e dei casi del poeta nostro, che di ciò pur tanto ci diè a conoscere ne’ suoi versi, toccammo qua e là a maniera di commento dovunque ci parve utile o necessario: e benchè a noi rifuggisse l’animo dal sobbarcarci ad una tale fatica, reputiamo altresì che non farebbe perduta opera chi oggi si ponesse a ritessere con maggiori notizie e critica migliore la vita di lui, che in molte parti rimane tuttavía confusa e mal nota, e in ispecie in quanto risguarda alle sue attenenze coi due principi Alfonso ed Ippolito d’Este. Del primo de’ quali vogliamo qui dire, che non fu mal uomo, nè signor crudele nè stolto; non mecenate amplissimo delle scienze, nè gran benefattore (come alcuni supposero) di Lodovico; migliore economo del pubblico avere, che facile a riversarlo sopra una particolar classe di cittadini (foss’anco quella de’ dotti), trasformandola in parassita delle altre; gran zelatore, anche per salvezza de’ suoi stati, del così detto equilibrio d’Italia; appassionato di cosa che molto onora un dominante: cioè di adoperarsi con l’ingegno e con la mano affinchè gl’Italiani giungessero a pareggiare e a superare altresì gli stranieri nella formazione e nel maneggio delle artiglieríe. Del che, senza qui replicare le lodi già resegli da Luigi Napoleone Buonaparte, oggi imperatore de’ Francesi,4 e ricordate recentemente negli [p. vi modifica]scritti di un nostro amico,5 ci piace produrre una più nuova e diversa testimonianza, ma procedente da persona che menò sua vita a’ fianchi del lodato, e di quel fatto portava giudizio secondo l’utilità presente, non secondo le fantasíe che a noi miseri spigolatori di virtù e gloríole dimenticate, non di rado sminuiscono il grande, e fanno più spesso parere il piccolo di smisurata grandezza. Dice, adunque, Bonaventura Pistofilo, od altro, qual ch’egli fosse, ducale segretario: «Si dilettò (Alfonso) d’avere cognizione di tutte quelle cose che non solamente a’ signori, ma a private persone sono convenienti... Ebbe grandissimo giudizio d’armi...; e della maggior parte di quelle arti che sono ad uso e necessità degli uomini, sapéa più che mezzanamente parlare, e di molte eziandio di propria mano lavorare...; delle quali essendo poi anco duca, si prese spasso et essercizio, quando non aveva occupazioni d’importanza, o voleva ricreare l’animo fastidito da nojose cure.... Ebbe profondissimo giudicio d’artigliaria, e fu inventore di nuove forme di essa, a farle più comode e più perfette che sino al tempo suo state non erano. Et fecene fare gran quantitade.6» Vuolsi che codesta quantità sommasse al numero di trecento grossi cannoni; e che tutt’insieme i potentati d’Italia non possedessero allora tanta e sì bella copia di artiglieríe, quanta faceva egli solo.

[p. vii modifica]Tuttochè poi da un generale discorso ci fossimo deliberati di astenerci, non potemmo far sì che intorno a ciascun’opera in particolare non si dicesse di luogo in luogo quel che noi stessi ne pensavamo: il che dichiariamo di aver fatto, postergata ogni mira più superba, a mêro conforto e profitto della studiosa gioventù.

                    Firenze, 24 luglio 1857.





  1. Vedi Gamba, Serie dei Testi di lingua, ediz. del 1839, sotto il num. 86.
  2. Così la nomina Virginio Ariosto. Vedasi il tom. II di queste Opere ec., pag. 427. L’autore l’aveva dapprima intitolata I Studenti. (Ivi, pag. 559.)
  3. Mentre questo foglio è già in torchio, ci è fatto sapere che l’egregio Torri sia disposto ad imitare l’esempio datoci dal benemerito Molini riguardo alle Varianti delle Satire desunte dall’autografo, depositando anche quelle della Scolastica nella Biblioteca Magliabechiana.
  4. Napoléon III, Études sur le passé et l’avenir de l’artillerie; liv. I, chap.II.
  5. Cioè nella Prefazione agli Scritti inediti di Niccolò Machiavelli, pubblicati e illustrati da Giuseppe Canestrini (Firenze, Barbèra, Bianchi e C., 1857), a pag. xxxiii.
  6. Vita di Alfonso I d’Este, cap. II. Quest’operetta istorica rimase incompiuta, ed è fino ad ora inedita. Altre volte ci accadde menzionarla o citarla in questi volumi, e specialmente alle pagine 196 e 263 del tomo I. Quando ancora il Pistofilo non fosse quegli che la scrisse, sarebbene autore un altro che dir poteva di essere «stato per molto tempo segretario» di quel duca; com’è formalmente espresso nel Proemio della medesima.