Tomo XV

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L'AUTORE

A CHI LEGGE.

(Tomo XV)


D
UE sono i principali Teatri di Genova: Sant’Agostino e il Falcone, i quali per una convenzione fra i proprietarj, non si aprono mai nel medesimo tempo, ma due anni l’uno, e due anni l’altro, e in questo modo il concorso è più numeroso, e si evitano quelle gare, che rovinano gl’Impressarj. Toccava in quest’anno (1736) al Falcone della Nobilissima famiglia Durazzo. Il Signor Francesco Bardella, uomo di spirito, di condotta ed intelligenza, era, ed è tuttavia, il Direttore di que’ Teatri: contratta egli colle Compagnie de’ Commedianti, e procura di scegliere le migliori, ed è alla testa dell’Impresa, quando si tratta d’Opera in Musica. Niuno meglio di lui conosce questo difficile impegno; tratta con politezza e generosità gli Attori dell’uno e dell’altro genere; ma sa farli star a dovere, e nella mia Commedia intitolata l’Impressario delle Smirne, è egli quel bravo Direttore, di cui si lagna a torto l’impertinente Carluccio. In questo Teatro, e sotto la direzione del bravo ed onorato Bardella, recitò a Genova, durante la Primavera, la Compagnia di S. Samuele, e come i Comici in quel paese sono quasi tutti alloggiati in una casa contigua, ed appartenente a’ respettivi Teatri, io pure, che viveva coll’Imer, alloggiai al Falcone. Sulla medesima Corte, e dirimpetto alla porta della mia stanza, ch’era situata sopra una loggia, abitava il Signor Agostino Connio, in una casa separata da quella de’ Comici. La prossimità dell’abitazione mi fece contrarre amicizia con quel degnissimo galantuomo, Notaro Pubblico Collegiato di Genova, e Scrivano principale ai Banchi, detti di Cartulario in S. Giorgio. Leggete la lettera dedicatoria della Commedia, intitolata: La Donna sola; vedrete la giustizia, ch’io rendo alle qualità amabili di questo degno soggetto, buon Amico, buon Padre di famiglia, e buon Cittadino, divenuto nell’anno stesso mio Suocero. La Signora Nicolina sua figlia, e [p. 122 modifica]mia dilettissima Consorte, mi pare fatta secondo il mio cuore, e mi accesi per lei di un amore il più tenero e il più rispettoso. Dopo l’avventura mia della Serenata non avea più pensato a maritarmi, e mi pareva la libertà il migliore stato del mondo. Questa saggia fanciulla mi risvegliò nell’animo un nuovo pensiere. La vita ch’io menava fra Comici, mi parve pericolosa. Quel che mi era accaduto, mi facea temere di peggio, e giudicai che per sottrarmi da un matrimonio cattivo, non vi era niente di meglio che il contrattarne uno onorevole. La vista comoda e giornaliera delle finestre aumentava di giorno in giorno il mio fuoco, e mi confermava nel mio progetto, dimodochè, assicurato della disposizione della Fanciulla, non tardai a parlarne io medesimo all’onorato suo Genitore, il quale aggradì civilmente la proposizione, ma prese tempo a rispondere. Io era colà Forestiere, arrivato a Genova con una Compagnia de’ Comici; capivasi, ch’io non era della loro estrazione; i miei componimenti mi distinguevano da quei che li recitavano; ma ciò non bastava per determinare un Padre prudente ad accordare la figlia ad un uomo incognito. Compresi la sua intenzione; gli accordai tutto il tempo, e gli diedi i mezzi per prendere le necessarie informazioni del mio carattere e de’ miei costumi. Scrisse e fece scrivere il Signor Connio da varie persone a Venezia; tutte le informazioni vennero per me avvantaggiose, mi rese giustizia, e mi promise la Figlia. E convenuta la dote e sottoscritto il contratto, fu stabilito il giorno degli Sponsali. Era qualche tempo, ch’io non istava ben di salute; la sera stessa che il Parroco di San Sisto ci sposò in casa del Signor Connio mio Suocero, io aveva la febbre, e la mattina seguente, andati a riconoscer la Chiesa, fui obbligato a ritirarmi per qualche minuto nella Sagrestia, per rinvenire da una specie di svenimento.

Qual dispiacere in una giornata che doveva essere d’allegria, per me, per la Sposa, e per li congiunti? Voleva dissimulare, volea nascondere il male, ch’io mi sentiva. Mi sono aiutato con cioccolato, ova fresche, e vino di Monferrato. Al pranzo ho resistito passabilmente, e non ho mancato di coricarmi la sera colla mia sposa. La notte la febbre si raddoppiò, e la mattina si è manifestato [p. 123 modifica] il vajuolo: l’avea già avuto una volta a Rimini, e in abbondanza; l’ebbi in Genova una seconda volta, ed in un’occasione nella quale non l’avrei certamente voluto. Grazie al Signore, non era di pessima qualità; fece l’ordinario suo corso, e sortito di letto quanto più presto potei, supplii colle macchie sul viso alla visite di convenienza. Era nel mese di Settembre; la stagion de’ Teatri in Venezia si approssimava; onde sollecitai la partenza, e la mia cara Compagna, bagnata di lacrime per lo distacco da’ suoi parenti, non tardò a serenarsi in un viaggio piacevole, e per lei nuovo. Giunti a Venezia il dì 9 d’Ottobre, andammo a sbarcare a Santa Maria Mater Domini, in una casa sopra il Ponte, che porta lo stesso nome, e che mia Madre ci avea preparata, e dove colla Zia ci attendeva. Tenere fur le accoglienze, e fu esemplare e durevole la perfetta armonia, con cui vissero insieme queste ottime donne, potendo io confermare con verità, e per giustizia, quel che accennai alla fine del precedente ragionamento, che a Genova mi attendeva una buona fortuna.

Non vi è bene maggior sulla terra, non vi è più vera ricchezza, non vi è maggiore felicità oltre quella di un Matrimonio concorde, e di una famiglia in pace. Questo bene, questa felicità me l’ha portata in casa e me l’ha conservata la mia virtuosa Consorte. Ne ho fatto giustamente il soggetto nel Frontispizio figurato di questo Tomo. La stampa rappresenta il mio matrimonio, e le due figure al dissopra sono la Concordia e la Pace.

Poco mi conveniva l’abitazione ristretta, che mia Madre mi avea preparata; ma ella si giustificò, dicendomi averla presa per il momento, acciò potessi soddisfar me e la mia sposa, ritrovandone una migliore, locchè feci ben presto, prendendo ad affitto una delle case nuove del Degna, situate nella strada detta la Salizada a San Lio.

Aveano i Teatri di Commedia cominciate le loro recite, ed il mio mi attendeva con ansietà. Erano molti anni, che i Comici aveano fra le Commedie dell’Arte un cattivo soggetto, intitolato la Povertà di Rinaldo; nel quale quest’Eroe valoroso e perseguitato compariva nel Consiglio di Guerra con un mantello stracciato, in [p. 124 modifica]faccia di Carlo Magno, e sedeva in terra, perchè i suoi nemici gli avevano rifiutata una sedia. Sua Moglie e suo figlio morivan di fame; il custode del Vessillo Reale lo nascondea per paura a’ piedi di una montagna. Il Mago Malagigi facea venire de’ Diavoli; Arlecchino difendeva il Castello del suo Patrone con delle pentole, e Rinaldo stesso, fingendosi Ambasciatore presso il Re di Marocco, gl’involava un giojello, mentre dormiva, per prova della sua fedeltà, dicendo nell’atto di partire quel bellissimo verso:

A Re che dorme, Ambasciator che ruba.

Un ammasso in somma d’inezie, d’improprietà, d’indecenze, come nel Convitato di Pietra; eppure anche questa Commedia avea, come quella, lunga e costante fortuna. Io ho conservato la favola, ho levato le maschere, l’ho scritte in versi, si è rappresentata quell’anno in Venezia, ed ha incontrato moltissimo, e l’hanno chiamata i Comici il Rinaldo Nuovo. Due o tre intermezzi ho composti nell’anno stesso; ma non ho conservato memoria precisa del loro tempo: sono stampati ne’ primi quattro volumi delle mie Opere Comiche.

Preso ho possesso in quest’anno della direzion del Teatro di San Giovanni Crisostomo; conservato il privilegio delle dediche all’amico Lalli, onestissimo galant’uomo, le cui figliuole sono state le prime conoscenze e le care amiche della mia Consorte in Venezia.

Tornando alla Compagnia di San Samuele, ella era salita in maggior credito, per la novità della Bastona, pe ’l bravo Rodrigo Lombardi; e la virtuosa di musica facea brillar gl’Intermezzi; ma molto più si rinforzò la Compagnia medesima l’anno seguente, per la venuta in Italia ed in quel Teatro della famiglia Sacchi, che ritornava di Russia. Antonio Sacchi, celebre Arlecchino, il migliore Arlecchino d’Italia, che recitando col nome di Truffaldino unisce alle grazie del suo personaggio tutto il talento necessario ad un bravo Comico, e dice le cose le più brillanti e le più spiritose del mondo: Andrianna sua sorella. Servetta pronta e vivace, col nome di Smeraldina, ha la più fina conoscenza dell’arte; anche il Bri[p. 125 modifica]ghella Gandini fu licenziato in quella Quaresima, e fu preso in suo luogo un certo Fortunato Colombo, il quale non aveva gli adornamenti del suo antecessore, ma sosteneva meglio il suo personaggio, e lavorava assai bene le Commedie dell’Arte.

Andati i Comici alle loro Piazze di Terraferma, per consumarvi la Primavera e l’estate, io andai a Modena con mia Moglie per farla conoscere a’ miei Parenti, per rivedere gli affari miei in quel Paese, e per procurare un impiego onorevole nel militare a mio Fratello Giovanni. Fummo cortesemente accolti, ed alloggiati colà dal mio carissimo Amico e Cugino il Signor Francesco Zavarisi, Notaro, di cui ho altre volte in questi fogli parlato. Mi presentai al Serenissimo Signor Duca di Modena, ed ottenni dalla clemenza di quel Sovrano un posto per mio fratello nelle Guardie del corpo, con promessa di farlo Tenente di una Compagnia nazionale alla prima vacanza, il che felicemente è arrivato l’anno seguente.

Ritornato in Venezia al tempo dell’apertura di que’ Teatri, vidi che la Compagnia di San Samuele era divenuta eccellente; ma la novità del Sacchi, celebre nel suo Personaggio, metteva ancora in maggior credito le recite all’improvviso, e non poteva sperarsi di tentar le Commedie scritte. Mi lasciai anch’io persuadere della bravura de’ Comici a dar loro una commedia a soggetto, e come tanto più piacevano, quant’erano più caricate d’accidenti e d’intrigo, ne feci una intitolata: Cento e quattro accidenti in una notte.

Convien dire che la Commedia, se non buona, fosse almeno del gusto allor dominante, poichè, quantunque spogliata di adornamenti, si replicò quattro volte di seguito. Io non so cosa fosse; non l’ho conservata, e non mi curo d’averla. Non ho lasciato di scrivere degl’Intermezzi, i quali però cominciavano a decadere; ed ho composto e fatto rappresentare l’Enrico Re di Sicilia, Tragedia, che mi ha fatto non poco onore, come vedremo in appresso.

Partiti i Comici, la Primavera seguente ebbi occasione di trattenermi in Venezia, e di occuparmi con mio piacere e profitto. [p. 126 modifica] L’Imer avea ottenuto da S. E. Grimani il posto di seconda Donna per la sua figliola maggiore nell’Opera in Musica, che dovea rappresentarsi nello stesso Teatro di S. Samuele all’occasion della Fiera dell’Ascensione. Premevagli che la sua Marianna avesse una bella parte, ed io fui incaricato di comporre il Dramma.

La prima Donna doveva essere la Signora Maria Camati detta la Farinella; il primo Musico il Signor Lorenzo Girardi, detto Lorenzino o Schiampetta.

Il Tenore il Signor Pompeo Basterj, ed ultima parte la Signora Eleonora Ferrandini, in abito d’uomo. Calcolata la Compagnia, composi un Dramma, che mi parve addattato al merito degli Attori, e lo intitolai Gustavo Primo Re di Svezia, appoggiando l’intreccio sul fatto storico dell’avvenimento al trono di questo Eroe, conosciuto col nome di Gustavo Vasa.

Lavorai principalmente con arte le parti delle due donne, per rendere la seconda poco inferiore alla prima, salve però quelle Regole, che ho imparate una volta a Milano. Il celebre Maestro di Cappella Baltassare Galuppi, detto il Buranello, ne compose la musica; il bravo Jolli Modonese fece lo scenario, e Giovanni Gallo fu il Compositore de’ balli.

L’Opera piacque mediocremente. Il libro non poteva aver gran fortuna a fronte di quelli di Metastasio.

Dopo l’Amalassunta, non volea più comporre Drammi per Musica. Ma perchè comporne? Troppa obbligazione aveva io coll’Imer. Non poteva rifiutargli il piacere di servire la sua figliuola. L’ho io servita bene? Ho fatto quel che ho potuto. Ha ella incontrato? Così e così. Meglio per lei e per la sorella, che fossero restate nell’Arte Comica. Il Padre si è disfatto, si è rovinato per le sue figliuole: la prima non ha avuto fortuna, e la seconda non ha avuto condotta.

Ritornata l’Autunno seguente in Venezia la Compagnia di San Samuele, seppi ch’ella aveva cambiato due Personaggi: il Vitalba, ed il Pantalone Cortini. Al primo aveva sostituito Giuseppe Simonetti Lucchese, ed al secondo Francesco Bruna, detto Golinetti. Il Simonetti, giovane di bella figura e di ottima [p. 127 modifica]aspettativa, si presentò al pubblico la prima volta col Personaggio di Enrico nella Tragedia mia di tal nome, e piacque universalmente, non essendo egli sì brillante nelle Commedie, come il Vitalba, ma più composto e più nobile nelle Tragedie.

Passabile era il Golinetti colla maschera di Pantalone, ma riusciva mirabilmente senza la maschera nel personaggio di Veneziano giovane, brillante, giocoso, e specialmente nella Commedia dell’Arte, che chiamavasi il Paroncin. Il Paroncin Veneziano è quasi lo stesso che il petit-Maître Francese: il nome almeno significa la stessa cosa; ma il Paroncin imita il petit-Maître imbecille, ed evvi il Cortesan Veneziano, che imita il petit-Maître di spirito. Il Golinetti era più fatto per questo secondo carattere, che per il primo.

L’osservai attentamente sopra la Scena, l’esaminai ancora meglio alla tavola, alla conversazione, al passeggio, e mi parve uno di quegli Attori, che io andava cercando. Composi dunque una Commedia a lui principalmente appoggiata, col titolo di Momolo Cortesan. Ecco la prima Commedia di carattere, ch’io ho composto; ma siccome non poteva ancor compromettermi delle altre Maschere, non abituate a recitar lo studiato, scrissi solo la parte di Momolo, e qualche dialogo fra lui e le parti serie, lasciando gli altri, e l’Arlecchino principalmente, in libertà di supplire all’improvviso alle parti loro. Malgrado la volontà ch’io aveva di riformare questo improvviso, che producea delle dissonanze notabili e rovinose nella Commedia, non osai di mettermi tutto ad un tratto a navigar contro la corrente, sperando a poco a poco condurre i Comici e gli Uditori al mio intento, come mi è riuscito qualche anno dopo felicemente.

La Commedia riuscì a perfezione. Il Golinetti la sostenne con tutta la desiderabile verità, ed il bravo Sacchi Arlecchino lo secondò sì bene, ch’io ne fui estremamente contento. Se tutte le maschere avessero il talento del Sacchi, le Commedie all’improvviso sarebbero deliziose; onde ripeterò quel che ho detto altre volte: io non sono inimico delle Commedie a Soggetto, ma di que’ Comici, che non hanno abilità sufficiente di sostenerle. [p. 128 modifica]

Quando ho fatto la mia edizion Fiorentina, ho scritto intieramente il Momolo Cortesan; e come questo titolo non può essere ben inteso da tutti, ho intitolato la commedia l’Uomo di Mondo, ch’è la vera significazione del Cortesan Veneziano, cioè un uomo onorato, accorto, vivo, frizzante e gioviale.

Ecco dunque, Lettore amatissimo, l’epoca fortunata del mio Teatro, L’applauso di questa Commedia mi ha incoraggiato a seguitare l’impresa, e mi ha condotto alla gloria di pubblicar le mie opere con approvazione degl’Italiani, e senza arrossire in faccia degli Stranieri.