Novelle (Bandello, 1910)/Parte III/Novella XXXV
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IL BANDELLO
a la vertuosa signora
la signora
ginevra bentivoglia
e marchesa Pallavicina
salute
Da che io partii dal vostro ameno e fruttifero castello di Bargone in Parmegiana e me ne ritornai a Milano, ad altro mai non ho atteso che ad ¡spedire quanto voi degnaste di comandarmi. Ed emmi la fortuna stata si favorevole, che il tutto è successo si compitamente che voi meglio non sapereste desiderare. Non vorrei perciò che voi credeste che io volessi, come fece il corbo, vestirmi de le penne del pavone e difraudare gli altri de le lor fatiche. Io mi ci sono nel vero molto affaticato; ma se non era l’autoritá del gentilissimo signor Alessandro Benti- voglio, vostro zio e mio singolarissimo padrone, e se non v’intra- veniva il conseglio del mio splendidissimo e saggio Lucio Scipione Attellano, io dubito che ancora sarei a cominciare. Ma sia Iodato Iddio, che ogni cosa s'è ridotta a tranquillo fine e al tutto imposto perpetuo silenzio. E perché ne le lettere vostre ultimamente ricevute, dopo l’avermi essortato a dar fine al sovradetto negozio, mi ricercate che io vi mandi per ogni modo qualcuna de le mie rime, io vi dico che non saprei che cosa mandarvi che voi non abbiate vista e letta, perciò che, dapoi che vi lasciai, le mie muse sono state meco in tanta còlerá che io non ho mai né saputo né potuto comporre un verso. E nondimeno non ho perciò del tutto perduto il tempo, ché ho scritto alcune novelle di vari accidenti che a la giornata occorrono. Onde avendone scritta una nuovamente in Milano avvenuta, quella a voi ho voluto mandare, che è de le beffe che tutto il di le donne fanno a’ mariti ; e fummi narrata dal mio vertuosissimo messer Martino Agrippa. Il quale suol dire che non produce di nuovo ogni anno la primavera tante frondi e fiori quante sono le frodi che le mogli fanno ai mariti, le quali, se si sapessero tutte e fossero scritte, farebbero assai più volumi che non sono quelli de le lunghe e verbose leggi. Restami pregarvi che talora degnate ricordarvi quanto il Bandello desidera di farvi sevizio. State sana.
NOVELLA XXXV
Un dottore cambia vestimenti col marito de la sua innamorata e si giace con lei da mezzogiorno.
Egli non è molto che in Milano si ritrovò un dottore di leggi
assai giovine, che non meno era dedito a le donne che ai lesti
di Giustiniano; il quale, amando una giovane nobilmente maritata, spesse fiate con lei a prender amorosamente l’uno de l’altro
piacere si ritrovava. Il marito di lei, quantunque nobile e ricco,
era uomo assai ambrosiano e cui di leggero la moglie, che era
scaltrita, dava ad intendere ciò che voleva. Ed avendo certa
lite di confini di casa con un suo vicino, teneva domestica e
stretta pratica col dottore; di maniera che gli amanti potevano
senza sospetto insieme ragionare e dar ordine, senza il mezzo
di messaggieri, a’ casi loro. Né in casa era persona che questo
loro amore sapesse, se non una donzella de la donna. Ora
avvenne un giorno che il dottore, montato su la mula, si parti
di casa per andar a ritrovare la sua amica, e andando incontrò
il marito di lei, che era a cavallo e andava a diporto; il quale,
come vide il dottore, se gli accostò e cominciò seco a ragionare de la sua lite. Messer lo dottore che aveva voglia d’altro
che di lite, poi che gli ebbe alcune cose circa la lite risposto,
gli disse: — Io non poteva incontrare persona più a mio proposito
che voi, perciò che io vorrei andar a parlare con una mia innamorata, e andava ora pensando ove potrei accomodarmi d’una
cappa; e la vostra sarà al proposito, se me la volete prestare.
Noi entraremo qui ne la chiesa di San Nazaro, ed io vi darò la NOVELLA XXXV
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mia ioga e voi darete a me la cappa, e mi aspetterete fin che io
torni, che sarà fra mezz'ora. Voi potrete in questo mezzo passeggiare per la chiesa, che è, come sapete, buia, ed aspettarmi.
Comandate pure — disse il buon, uomo, — ché io sono paratissimo di maggior cosa servirvi che non è di accomodarvi di
una cappa. — Smontarono adunque e insieme entrarono in San
Nazaro, che è, come sapete, su il corso di Porta romana. Quivi
inesser lo dottore si cavò la lunga toga del damasco e la diede
al buon uomo, dal quale ebbe la spada e la cappa a la spa-
gnuola. Come il dottore vide il suo amico togato, che menava
più d’un palmo de la veste per terra, gli disse ridendo: — Voi
potete sicuramente passeggiare per la chiesa fin che io torni,
ché vi assicuro che non sarà persona che vi conosca. — Il dottore
è uno dei grandi uomini di Milano e il marito de la donna è
qualche cosetta minore di me: pensate ciò che devea parere
con quella veste lunga. Cangiati adunque i panni, rimase ne la
chiesa il marito; e il dottore, vestito a la corta, chiamò seco uno
dei suoi servidori, comandando a l’altro che con la mula l’aspettasse. E messasi la via fra i piedi, a la moglie del lasciato in
chiesa si condusse e le narrò come aveva mutate le vesti ; del
che ella se ne rise assai. Andati poi in camera, cominciarono
amorosamente a godersi e cacciar il diavolo ne l’inferno; e non
s’accorgendo del passar de l’ore, perciò che il piacere faceva
lor parer il tempo breve, stettero circa due ore insieme. Il marito de la donna, che era restato in chiesa togato, veggendo di
gran lunga passar l’ora e il dottore non ritornare, deliberò partirsi e andar a casa, la quale non era molto lontana da la chiesa
ove egli passeggiava. Il perché venuto fuor di chiesa, disse a
colui che teneva la mula del dottore: — Tu dirai a tuo padrone
quando egli tornerà, che io me ne vado a casa, ove l’attenderò
che venga a pigliarsi la veste. — Poi montato su il suo cavallo,
s’inviò verso casa, tuttavia temendo d’incontrare qualche persona
che lo conoscesse in quell’abito. Stava per commissione de la
donna la donzella consapevole de la cosa ad una finestra, la
quale, come vide venire il messere, agli amanti lo disse; onde
eglino, dando fine ai lor amorosi abbracciamenti, discesero a 344
PARTE TERZA
basso ed entrarono in un giardino e sotto un pergolato si misero a passeggiare. Come il marito fu smontato e vide ne l'orto
la moglie col dottore, altro male non pensando, disse: — Io poteva ben aspettarvi ! — A cui subito rispose il dottore: — Io venni
in chiesa e, non vi trovando, senza pigliar la mula, venni qui
per la via del traverso, e trovai madonna qui nel giardino, che
fortemente si meravigliò di vedermi con questa cappa. E quando
voi entraste, io cominciava a dirle la cagione di questa mutazione de le veste. — Adunque — soggiunse il buon uomo — noi
ci siamo falliti per la via, perché io venni per mezzo il corso. —
E più oltre non pensò. La donna alora disse al marito: — Io
so, marito mio, che noi abbiamo uno studioso avvocato che,
quando deveria studiare, va ingannando le povere donne. —
E sapendo il bisogno del dottore, mandò a pigliar de le confezioni e portar vini preziosi, da far collezione, a ciò che messer lo
dottore alquanto si ristorasse. Ma più riso che confetto in quella
collezione si mangiò, ben che diversamente ridessero. Mandarono poi a pigliar la mula del dottore, il quale a casa se ne
ritornò, e più e più volte con la donna de la mutazione degli
abiti rise. Non m’è paruto per buoni rispetti porre i nomi propri
e massimamente quello de la donna, a ciò che messer lo dottore
non perdesse il suo godimento e meco s’adirasse, avendomi più
volte di questa beffa ragionato. Ma come siate ritornata a Milano, io vi prometto farvela narrare da 1’¡stesso dottore, il quale
sono certissimo che vi dirà il nome del marito e de la moglie,
pure che voi gli promettiate di tenerlo segreto.