Notizie e Documenti sul modo di procedere nei giudizi civili in Roma nei secoli di mezzo

Antonio Coppi

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nei giudizi civili in Roma
nei secoli di mezzo Intestazione 26 ottobre 2017 75%

Questo testo fa parte della rivista Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871)
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NOTIZIE SUL MODO DI PROCEDERE


nei giudizj civili


IN ROMA NEI SECOLI DI MEZZO


scritte


DA A. COPPI 1

(1815)




I. Osservossi di già da taluno, ed anche io il dimostrai altre fiate2, che fra i disordini, i quali generalmente ne’ secoli di mezzo regnavano nella nostra Italia, eranvi talvolta ordini buoni, che esempi degni d’imitazione somministrar possono anche ai secoli più colti. E tale appunto, a mio credere, si era il modo con cui si procedeva in Roma nel giudicare le cause civili. Mi permettano pertanto i legisti, che io dia su questo articolo qualche notizia: non pretendo io già di compilare un’antica, pratica giudiziara, e dilatare in tal guisa l’inestricabile laberinto costrutto dal Ridolfino. Malagevole di troppo e forse impossibile opra sarebbe il dare un ragguaglio perfetto del modo con cui in que’ tempi si definivano le questioni, sebbene semplicissimo senza dubbio il medesimo si fosse. Limiterò l’oggetto mio a far rilevare specialmente tre punti; la sollecitudine cioè, con cui si [p. 4 modifica]disbrigavano i processi; lo stile di decidere le cause col parere di più persone; e l’uso lodevole, che i Giudici osservavano nel pronunziare la sentenza, mentre in essa dovevano narrare il fatto della questione, e rendere in tal guisa ragione del motivo per cui decidevano.

II. Cosa desiderabile ella sarebbe, che potessimo perfettamente conoscere il modo con cui ne’ giudizj procedevano i Romani nei tempi della loro Repubblica; ma difficilmente gli antiquarj potranno soddisfarci su questo punto. Certo però si è, che essendo semplici i costumi e poche le leggi, abbiamo tutto il fondamento di credere, che semplice eziandio e sbrigativo si fosse il modo con cui al fatto si applicava il diritto. Ma crescendo la potenza, si corruppero i costumi, furonvi «in corruptissima Republica plurimae leges3; e mentre «ottime disposizioni pure si emanavano in quello che all’economico sistema si concerne4, gli ordini giudiziari non meno dei militari, vennero in un deplorabile decadimento.

III. Giustiniano istesso ci lasciò di questa verità, una irrefragabile testimonianza in quella legge nella quale volendo dare qualche provvedimento acciò eterne non fossero le liti, ordinò che non più di tre anni le medesime sì potessero protrarre: properandum, egli disse, nobis visum est, ne lites fiant pene immortales, et vitae hominum modum excedant (cum criminales quidem causas jam nostra lex biennio conclusit, et pecuniae causae frequentiores sunt, et saepe ipsae materiam criminibus creare noscuntur) praesentem legem super his per orbem terrarum, nullis locorum, vel temporum angustiis coarctandam ponere. Censemus itaque omnes lites super pecuniis quantaecumque quantitatis, sive super conditionibus sive super jure civitatum, sive privatorum [p. 5 modifica]fuerint illatae, sive super possessione vel dominio, vel hypotheca, seti super servitutibus; vel pro aliis quibusdam causis, pro quibus hominibus inter se litigandum est (exceptis tantummodo causis quae ad Jus fiscale pertinent, vel quae ad publicas respiciunt functiones) non ultra triennii metas, post litem contestatam, esse protrahendas, sed omnes Jvdices sive in hac alma urbe, sive in provinciis majorem vel minorem peragant administrationem, sive in magistratibus positi, vel ex aula nostra dati, vel a nostris proceribus delegati, non esse eis concedendum ulterius quam triennii spacio extendere. Hoc etenim judicialis magis esse potestatis, nemo est qui ignoret. Nam si ipsi noluerint, nullus tam audax invenitur, qui possit, invito Iudice, litem protrahere. Acciò poi tali disposizioni non fossero di leggieri deluse, inflisse il sagace imperatore gravi multe pecuniarie ai giudici, agli avvocati e ad altre persone, le quali avessero impedito il disbrigo della lite nel triennio5.

IV. Quanto tempo una legge sì provvida sia stata in osservanza, io noi saprei dire; certamente, siccome era troppo contraria agl’interessi di quelli che ne dovevano essere gli esecutori, crederei, che ben presto se ne sia andata in disuso. In ogni modo sopravvennero poco dopo in Italia nuovi legislatori, che nuova forma di procedere ne’ giudizi introdussero6. I Longobardi, che nella loro barbarie avevano molti ordini, i quali barbari senza dubbio non si possono appellare, v’introdussero le loro costumanze, ossia consuetudini, colle quali ne’ loro paesi si reggevano. Incivilitisi quindi nel nostro clima, e tali divenuti che di barbari altro più non avevano che il nome7, ridussero in iscritto, quanto per lo innanzi osservavano soltanto per consuetudine, e formarono un nuovo codice, a cui dessi uniformaronsi, mentre però lasciavano agli originari italiani la libertà di seguire le leggi romane8.

[p. 6 modifica]V. Non è di questo mio istituto il far delle glosse alle leggi longobarde9 mi limito ad osservare che, in quanto all'estrinseco si attiene, cioè alla forma de' giudizi molto saggia e sbrigativa, senza dubbio questa si era. I Governatori insigniti del titolo di duchi, conti, o marchesi erano quelli che giudicavano col parere de' giureconsulti in prima istanza: i giudici straordinari mandati dal principe scorrevano quindi le provincie per osservare se la giustizia era stata esattemente amministrata, cioè per rivedere le cause in grado di appellazione, se della prima sentenza taluno si credeva gravato. I principi stessi sedevano talvolta in tribunale a rendere ragione ai loro popoli. In due o tre atti chiamati Placili o Malli, e spesso in un solo agitavasi la causa e si profferiva la sentenza. Il notaio compilava in un atto il processo, ed in esso narrava il fatto della questione, faceva menzione dei documenti, non meno che delle eccezioni e repliche dei collitiganti, ed in fine vi replicava la sentenza. Se il reo non compariva, la causa nulla di meno ed esaminava su i documenti prodotti dall'attore, e se i medesimi si rinvenivano sufficienti, si metteva esso allora in possesso della cosa richiesta, riserbando al reo il diritto di far valere altra volta le sue ragioni10.

VI. Nè quivi voglio tralasciare di riferire una legge dell'Imperatore Ludovico II, il quale togliendo ogni arbitrio ai giudici, ingiungeva ad essi di non scostarsi dalle leggi scritte, nel rendere giustizia. Trovavansi, scrive il Muratori, allora alcuni giudici, che giudicavano a capriccio, o sia jure cervellotico, come pareva alle loro gran menti (come talvolta accade anche a' giorni nostri) e però Lodovico II Augusto in una legge fece questa ordinazione: de juditio autem Judicis tam frequenter rammemoramus, quia omnino consuetudinem judicando injuste auferre volumus sed tantum secundum scripturam judicent, et nullatenus secundum arbitrium suum. Sed discant pleniter [p. 7 modifica]legem scriptam. De quo autem non est scriptum hoc nostrum consilium habeatur in quibusdam11».

VII. Furono coteste leggi in vigore nella maggior parte dell’Italia, fintantochè molte Provincie di essa furono agli oltramontani imperadori soggette. Allorquando però le città italiane incominciarono nel secolo xi a sottrarsi all’imperiale dominio, ed a governarsi a repubblicano reggimento, nuovi ordini tosto adottarono. Risuscitossi intanto nel secolo xii insieme colla coltura degli altri studi, anche quella delle leggi romane; la cognizione di queste, la trascuranza delle longobarde, che non si potevano e non si volevano più osservare nel nuovo ordine di cose, e la indipendenza particolare delle città principali d’Italia, diedero causa alla compilazione degli Statuti particolari, che da principio si formarono le città più cospicue, ed in fine anche i più oscuri villaggi; ed in tal guisa si accrebbe, e s’intralciò a dismisura la giurisprudenza, ed il modo di esercitarla.

VIII. «Da che (scrive il Muratori) insorsero nel secolo xii le leggi romane, e cominciò il gran sapere legale ad agitar cause civili, s’incominciò ancora ad inventar tutte le maniere possibili da tirare in lungo. Alcuni statuti talmente assistono al debitore, che quasi li direi composti da’ dottori, bisognosi anch’essi di pagare il più tardi che potessero i debiti propri. E con tante istanze e risposte, prove, riprove e decreti, sì fattamente s’ingrossano i processi scritti con tre parole per riga, che la spesa di essi, [p. 8 modifica]aggiunta alle sportule, al salario degli avvocati, dei procuratori, de’ messi pubblici ec, fa piangere chi ha vinto con chi ne esce perditore. Raccontasi, (prosegue l’Autore) a questo proposito un apologo. Nel tempo che le bestie parlavano, e vivevano divise in varie repubbliche, fecero lega due gatti, con promessa di partire ugualmente fra loro tutto quello che andassero rubando. Avendo un di cadaun d’essi rubato un pezzo di formaggio, nacque discordia fra loro, pretendendo ciascun d’essi che il pezzo suo fosse minore dell’altro; ed esigendo il supplemento. Furono vicini a decidere la controversia coll’unghie; ma il più assennato ottenne che si rimettesse l’affare al giudice pubblico. Si trovò allora uno scimmione, che avrebbe insegnata la giurisprudenza a Bartolo. Costui, udito il litigio, immediatamente fece portare le bilance, e si trovò, che l’uno de’ pezzi del formaggio pesava due oncie di più dell’altro. Allora il valente giudice, per uguagliarle partite, si attaccò ai denti il pezzo soprabbondante, e saporitamente sel masticò. Ma per disavventura tanto ne portò via, che rimessi i pezzi sulle bilance, il primo eccedente si trovò mancante di un’oncia rispetto all’altro. E qui il buon giudice, preso l’altro pezzo, parimente l’afferrò co’ denti, e ne portò via quanto gli piacque, e sel mangiò. Veduto sì bel giuoco, si guatarono l’un l’altro i litiganti; e l’un d’essi rivolto al giudice: Messere, gli disse, se tali sono le bilance della giustizia, tutti e due noi avremo la sentenza contro. M’è sovvenuto adesso un modo più sicuro d’accordarci insieme. E presi con bella grazia i pezzi rimasti, se n’andarono «amendue a mangiarseli in santa pace»12.

IX. Premesse queste notizie generali circa la forma dei giudizi osservata in Italia ne’ tempi di mezzo, vengo più da presso all’assunto mio, cioè a parlare del modo, con cui si procedeva in Roma. Questa città certamente non fu mai soggetta ai Longobardi; non di meno trovo, che talvolta colle leggi longobardiche si giudicavano coloro, che secondo le medesime si protestavano di vivere, ed i placiti tenevansi in Roma nella stessa forma che usava nel rimanente dell’Italia.

[p. 9 modifica]Molti di simili atti conservarsi tuttora negli archivi di cotesta metropoli e de’ circonvicini luoghi. Io ne riferirò alcuni, che sono inseriti nel più insigne degli antichi codici che per avventura a noi siano pervenuti; voglio dire nel Registro Farfense.

X. Circondati da vari Giudici . nel dì nove di aprile del novecento novant’otto il pontefice Gregorio V e l’imperatore Ottone III, sedevano nella basilica di S. Pietro a render ragione al popolo. Comparvero in giudizio i preti della chiesa di S. Eustachio, detto allora in Platana, e reclamarono due chiese, che dedicate a S. Maria ed a S. Benedetto, in un coll’oratorio del Salvatore esistevano in que’ tempi nelle Terme Alessandrine, le quali erano appunto colà, dove oggi è costrutto il palazzo che chiamano di Madama. L’abbate di Farfa si trovava presente, e chiese tre giorni di tempo per recarsi al suo monastero, e preparare le opportune prove. Venuto il giorno prefisso, furono le parti collitiganti in giudizio con quanto loro occorreva: si esaminarono i documenti ed i testimoni che piacque a ciascuno di addurre. E siccome molti fatti e vari articoli la questione involveva, un giorno solo non fu sufficiente a definirla, e si differì pertanto al seguente un ulteriore esame; finalmente, ponderato il tutto, fu pronunziata la sentenza in favore del monastero13. Ed ecco in cinque giorni principiata ed ultimata una causa, che, a’ giorni nostri, forse non si terminerebbe in cinque anni.

XI. Scorsi undici anni dopo un tal fatto, vollero i preti di S. Eustachio tentare un’altra volta la sorte, e nuovo giudizio introdussero nel mille cento e dieci avanti il patrizio Giovanni ed il prefetto di Roma Crescenzo. Comparve l’abbate di Farfa alla presenza di cotesti magistrati, che circondati da molti giudici in tribunale sedevano; ma non curossi punto di entrare in questione. Oppose, che la causa era di già stata decisa in un placito tenuto nel novecento novant’otto, e ne mostrò la riportata sentenza: Qua pericola et obsculata omnibus placuit et affirmaverunt cuncti predicti Judices et iudicaverunt, quod nulla ratione posset removeri nec deberet illud judicium quod semel tam diligenter, et maxime [p. 10 modifica]cum jussu regis et pape tam firmiter et inviolabiliter terminatum est. L’istesso difensore del clero di S. Eustachio conobbe il suo torto, e disse candidamente: Ego amplius non contendo14: ed in tal guisa io credo sia stata sopita per sempre quella questione.

XII. A coteste due sentenze profferite in contradittorio giudizio, un’altra ne soggiungerò pronunziata in contumacia. Crescenzo figlio di Benedetto Conte aveva con frode ed insidie notturne occupato il castello di Bocchignano in Sabina spettante al monastero di Farfa. Ricorse l’abbate a Benedetto VIII per ottenere giustizia; ed il pontefice, fatto citare Crescenzo, in compagnia di molti giudici tanto Romani che Longobardi, si portò nelle vicinanze del castello di Tribucco, che non lungi da Farfa e Bocchignano allora vi era15. Fatto quivi chiamare varie volte in giudizio Crescenzo, questi non mai comparve; ed il Pontefice ciò vedendo ordinò ai giudici che agissero secondo le leggi. Furon questi d’accordo, che sebbene il reo non comparisse, si dovessero nulla di meno esaminare le ragioni dell’attore. L’abbate produsse i suoi documenti, e provò che realmente il castello di Bocchignano al suo monastero spettava. I giudici allora collatis Justinianae et Langobardorum capitulis legis, talem inde adversus Crescentium dederunt sententiam. Si quis vocatus est ad judicium, et ille per suam superbiam venire noluerit et judex bene scrutatus fuerit causam et judicaverit absente illo, hoc quod ei judicatum est adimpleat, nec provocari audeat. Contumace tertia vice vocato datum judicatum firmum est. Et cum tantam auctoritatem legum pontifece audisset, secondo lo stile di que’ tempi, prese la verga, e nuova investitura all’abbate Farfense concesse del contrastato castello16.

XIII. Ecco pertanto in qual modo, nei secoli che barbari sogliamo chiamare, si decidevano col parere di vari giudici [p. 11 modifica]interessantissime liti, e mentre con somma sollecitudine si disbrigava il processo, nulla d’altronde si ometteva, che ad indagare la verità fosse necessario. Comprendendosi di poi quanto importante alla sicurezza comune pr molte cagioni si sia il conoscere pienamente i fatti delle questioni, ed i motivi di deciderle, in ogni causa un atto, siccome dissi, dal notaio si compilava, che la storia della lite conteneva unitamente ai documenti ed alle ragioni che le parti adducevano, ed in fine la sentenza che si pronunziava. In tal guisa di leggieri potevasi conoscere, se rettamente avessero i tribunali profferito il loro s’indizio.

XIV. Tali appunto sono i placiti che ho citato; ed in quello del 1014 risguardante il castello di Bocchignano, espressamente si legge: «Judices . . . hanc notitiam brevem omnimodo fieri decreverunt ex lite et contentione quae super ascripta esse videtur, et in posterum propter cautelam replicationis nulla valeat controversia replicari ni /quo modo, et si quando fortasse malitia humanae procacitatis peccatis imminentibus aliqua fuerit orla contentio hujus paginae serie quae nunc promulgata et in omnibus confirmata esse cernitur publice ostensa totius litis omniumque zizaniorum amoveat questionem».

XV. Nè voglio quivi omettere di riferire il modo dignitoso, con cui in que’ tempi creavansi in Roma i giudici ed i notaj, che scriniarj talvolta si appellavano. Cencio Camerario ce ne conservò nel suo famoso codice manoscritto un distinto ragguaglio, che lo riferirò per intiero. Qualiter Judex et scriniarius a romano pontifice instituitur.

XVI. Quum presentatur domno pape ille qui judex est examinandus, examinatur prius a cardinalibus, qualiter se in legum doctrina intelligat, et si legittime natus fuerit et laudabiliter conversatus. Qui si idoneus repertus fuerit, hominium et fidelitatem secundum consuetudìnem Romanorum domno pape humiliter exhibet. Sed in ejus juramento hoc additur: «Causas quas judicandas suscepero, post plenam cognitionem malitiose non protraham, sed secundum leges et bonos mores sicut melius cognovero judicabo Instrumentum quoque falsum, si in placito ad manus meas forte devenerit, nisi exinde periculum mihi immineat, [p. 12 modifica]cancellabo». Tunc pontifex codicem legis ejus manibus porrigens, dicat: «Accipe potestatem judicandi secundum leges, et bonos mores».

XVII. De Scriniario, eodem modo fit sicut de Judice; sed juramento eius hoc additur: «Cartas publicas nisi ex utriusque partis consensi! non faciam. Et si forte ad manus meas instrumentum falsum devenerit, nisi exinde mini periculum immineat, cancellabo». Tunc Pontifex dat ei pennam cum calamario, sic dìcens: «Accipe potestatem condendi chartas publicas secundum leges et bonos mores».

XVIII. Grandi rivoluzioni accaddero in Roma nel 1145; ristabilissi il Senato, e fra le altre attribuzioni che assunse quest’ordine, fuvvi eziandio il potere giudiziario; quello almeno di conoscere le cause in grado di appellazione, poichè sembra che in prima istanza le decidesse talvolta il prefetto. La forma di procedere non fu senza dubbio più quella che si usava nei Placiti e nei Malli; io la trovo in gran parte diversa. Che se poi sia stata dai nuovi Senatori inventata, o pure da tempi più antichi in qualche modo la venisse, dai documenti, che finora mi sono venuti alle mani, nol potei rilevare. Checchè ne sia, molte cose ella avea degne di lode.

XIX. E primieramente voglio avvertire, che conservossi, o adottossi l’uso di mettere l’attore in possesso della cosa richiesta, se il reo non compariva. Rilevo ciò da un Monitorio del 1148, che si conserva nell’Archivio di S. Maria in Via Lata, concepito in questi termini: Ego Petrus Dei gratia Urbis prefectus hoc uno pro omnibus peremptorio edicto moneo te Raynoldum Raynoldi de Scosta ut infra hos decem continuos dies venias in curiam nostram ad faciendam justitiam clericis S. Mariae in Via Lata de terra in Pulveriola unde saepe conquesti sunt. Nisi veneris, sententiam feram et te petit orem, et ìllos possessores constituam. Anno III Domini Eugenii III Pape indictione XI, mense madii, die quinta17.

XX. Il Senato poi decideva le questioni non già col proprio parere, ma bensì con quello che a lui davano vari giureconsulti. Alcuni di questi insigniti del titolo di Giudici [p. 13 modifica]esaminavano la causa, manifestavano quindi su i documenti visti il loro sentimento, e questo col modesto, e rispettoso titolo di consiglio comunicavano in scrittura ragionata ai senatori. Ciò per altro non ora talvolta sufficiente. Il Consiglio dei Giudici si sottometteva all’ulteriore cognizione di altri giureconsulti, detti Consigliatori di Roma: e questi visti i documenti, ed esaminata nuovamente la questione, confermavano o riprovavano il parere dei Giudici, e quindi ne davano il loro analogo consiglio ai senatori, i quali pronunziavano la sentenza e la mandavano ad esecuzione. Cosi rilevo da varie pergamene dell’insigne Archivio di S. Maria in Via Lata, e da quello di S. Prassede degli anni 1151, 1160 e 118518.

XXI. Questa forma di procedere fu anch’essa soggetta a cangiamenti; siccome a molte vicende fu pur troppo soggetto il sistema politico di Roma ne’ secoli di mezzo. Non dubito per altro di asserire, che i modi lodevoli di amministrare la giustizia furono lunga pezza conservati, e talvolta eziandio migliorati. Trovo di fatti dal principio del secolo decimo quarto a quello del decimo quinto l’uso di stendere le sentenze col premettervi la narrativa, accennare in seguito il congruo e breve termine dato alle parti per dedurre le loro ragioni; far quindi menzione dei documenti visti; e finalmente, dopo di avere esaminato il tutto, invocare il nome di Cristo, e profferire il ragionato giudizio.

XXII. Prova di ciò ne sia una sentenza profferita nel 1305 dal senatore Paganino della Torre in una causa vertente fra la comunità di Toscanella, e Galasso Bisenzo, circa il castello di Bisenzo19; ed un’altra del 1307 pronunziata in una causa vertente fra la camera capitolina, ed il monastero di S. Gregorio al Monte Celio. Era stato imposto un dazio sopra vari generi di consumazione, e se n’era del medesimo intimato il pagamento al castello di Vicarello, che ad esso monastero apparteneva. Comparve in giudizio il procuratore dei monaci, ed oppose che Vicarello, siccome luogo disabitato, non doveva essere soggetto all’enunciata tassa. Il giudice prefisse alle parti un termine di otto giorni, acciò [p. 14 modifica]deducessero le loro ragioni. Venne in tal intervallo di tempo all’esame dei testimoni; intese tutte le ragioni che ai collitiganti piacque di addurre; ed infine venne alla pronunzia della sentenza. Premessa in questa la narrativa della questione, e latta menzione «lei termine prefisso; visto, egli dice, il detto termine; visti i capitoli prodotti dal monastero; visto l’esame dei testimoni fatto sopra detti articoli; visto tutto il processo; viste ed intese le prove e le ragioni addotte dalle parti, deliberando col parere di molti saggi, e particolarmente di tutto l’assettamento dei sette Riformatori della Repubblica de’ Romani, che fanno le funzioni del senato a nome del papa, in sequela di quanto abbiamo visto ed esaminato; Christi nomine invocato, pronunziamo, e dichiariamo che il castello di Vicarello è ridotto a casale, ed il medesimo, siccome disabitato, non è soggetto ai dazi di consumazione20.

XXIII. Non guari dissimile da cotesta sentenza, altra ne rinvengo profferita nel 1407 dal Luogotenente del Senatore in una questione vertente fra il cardinal Caetani abbate commendatario dei SS. Bonifazio, ed Alessio, e Giorgio Frangipane, sopra un diritto di pescare nel Tevere. Leggo anche in questo la narrativa, e l’elenco dei visti documenti; veggo inoltre fatta menzione quamplurium sapientum, col parere dei quali si dice profferito il giudizio: ma siccome di cotesti sapienti non ne scorgo registrato il nome, dubbio grande mi nasce, se cotesta interpolazione abbia realmente avuto luogo21.

XXIV. Certamente col tratto del tempo, in molti tribunali l’uso lodevole di giudicare col parere di molti è andato in totale dimenticanza, e presentemente per mera formalità il giudice, nel profferire la sentenza, dice: Juris peritorum .. Si trascurò inoltre col lasso del tempo di premettere la narrativa, di enunciare i documenti sopra de’ quali il giudizio si appoggia; e quello che una volta non era che una parte itenza, il tutto ne venne a costituire. In tal guisa, mentre da mo. placito, o da una sentenza profferita ne’ secoli barbari, l’intiero stato della causa, e le ragioni delle parti si rilevano; [p. 15 modifica]un voluminoso processo de’ secoli più colti divenne appena bastevole per far comprendere il punto di questione; e la sentenza altro più non fu, che un oracolo profferito dal tripode della giurisprudenza, che non rende in verun modo ragione del motivo per cui si giudichi.

XXV. Dispendiosissime divennero le liti, eterni i processi e fu appunto per ovviare ad un tanto male, che varie volte si riformarono in Roma gli antichi statuti, e si emanarono da’ sommi pontefici nuovi provvedimenti adattati alle circostanze de’ tempi, ed ai lumi della cresciuta coltura. Sappiamo di fatti, che sin dalla metà del secolo XV, il pontefice Paolo II credette espediente: Almae urbi, eiusque inclito populo nova statuto, condere, et antiqua secundum varietatem temporum, et romanae ecclesiae status exigentiam in melius reformare; similia superflua, et contraria removere, lites abbreviare, partes litigantes ab expensarum oneribus relevare22.

XXVI. Varie altre disposizioni a queste analoghe furono ne’ tempi posteriori emanate, ed in un sol corpo per cura de’ Conservatori raccolte, e pubblicate nel 152223. Nuovi difetti nondimeno col tempo si rilevarono, e con nuovi provvedimenti si cercò di rimediarvi. Infatti Gregorio XIII, di gloriosa memoria, non dubitò di annunziare altamente, che i Romani Statuta urbis, quae sibi a maioribus nostris relicta habebant satis perplexa et confusa invenerunt, in quorum libris ob temporum vetustatem, magistratuum fortasse negligentiam, multiplicesque superiorum aetate editas reformationes, saepe quae adhuc vigebant costitutiones una cum abrogatis et obsoletis, aliaeque aliis contrariae promiscue continebantur. Volendo pertanto i medesimi Romani riparare a sì grandi inconvenienti, nuovi statuti avevano compilato. Esso pontefice li approvò solennemente, e questi sono appunto quelli che presentemente sono in vigore24.

XXVII. Per vero dire però, ottimi furono cotesti rimedi, ma parziali, però insufficienti; e le liti continuarono ad essere quanto lunghe, altrettanto dispendiose; e la stessa [p. 16 modifica]Sacra Ruota non dubitò di lagnarsene altamente varie fiate. Interest reipublicae, essa intuonò sin dal 1613, quanto citius (lites) finire, etenim non solum consumuntur familiae in expensis et jurgiis . . . verum etiam homines jam illis distenti publicis muneribus vacare, et aliorum hominum commodo desercire prohibentur25. Nel 1665, disse a chiare note lo stesso tribunale, essere cosa manifesta a chicchessia, lites in urbe non sine magno dispendio agitarì26. Quindi nel 1667, esclamò fortemente contro malas lites peioresque beneficiales, hoc magis malignas et maleficas, ac pestilentes quae litigantibus (nisi commorientibus communi clade) non commoriuntur nec pugna finem cum jacet hostis habet27.|Sacra Ruota non dubitò di lagnarsene altamente varie fiate. Interest reipublicae, essa intuonò sin dal 1613, quanto citius (lites) finire, etenim non solum consumuntur familiae in expensis et jurgiis . . . verum etiam homines jam illis distenti publicis muneribus vacare, et aliorum hominum commodo desercire prohibentur28. Nel 1665, disse a chiare note lo stesso tribunale, essere cosa manifesta a chicchessia, lites in urbe non sine magno dispendio agitarì29. Quindi nel 1667, esclamò fortemente contro malas lites peioresque beneficiales, hoc magis malignas et maleficas, ac pestilentes quae litigantibus (nisi commorientibus communi clade) non commoriuntur nec pugna finem cum jacet hostis habet30.

XXVIII. Non mancarono eziandio di far rilevare sì gravi disordini gli scrittori, che sono in certo modo i consiglieri del pubblico; ed il Muratori, con quella libertà che il vero disinteresse, una consolidata fama e l’età senile possono inspirare, consacrò un’opera intiera per far rimarcare i difetti della giurisprudenza: e nel 1742 dedicolla al sapientissimo Benedetto XIV, dicendo che anche la povera giurisprudenza seco umiliata a piè del soglio pontificio osava implorare a’ suoi malori e difetti dalla suprema autorità e prudenza della Santità Sua quel possibil soccorso di cui era capace. Ma poichè, egli soggiunse, non manca mai gente, che avvezza a vedere il mondo da tanti secoli zoppicante, tale sempre il vorrebbe, nè ama chi si studia d’insegnargli a camminar dritto, e poi per conseguente incontrarsi chi contrarii ogni proposizione di riformare gli abusi della facoltà legale, ed impedire l’introduzione di molte liti, e di abbreviar l’introdotte; questi tali, se mai si facessero qui cedere, io li cito al tribunale della sì avveduta mente di Vostra Santità, con sicurezza di vederli tosto condannati come persone nemiche del pubblico bene, perchè troppo amiche dell’utile proprio31.

[p. 17 modifica] XXIX. Quel sagace pontefice però, che nel Foro Romano avea lunga pezza esercitati i suoi vasti talenti, per isperienza propria conosceva di già benissimo quanti difetti nell’amministrare la giustizia vi regnassero. Ansioso egli pertanto quanto altri mai di provvedere al bene de’ popoli, battendo le vestigia de’ suoi predecessori, che provvide leggi emanarono, siccome le circostanze de’ tempi richiedevano, pubblicò nel 1744 una Costituzione di lui degna, colla quale migliorò di molto il modo di render ragione, che dianzi si praticava. Romae curiae praestantiam, egli disse, atque praecipuam justitiae recte administrandae laudem eidem omnium ubique gentium consensu tributam, summo studio atque opera tueri curarunt praedecessores nostri romani pontifices, atque ea de causa tum sapientissimas leges pro rerum ac temporum opportunitate condiderunt; tum vero quoties in judiciorum tractatione, aliqua corrigenda, resecando, aut in meliorem formam redigendo, esse censuerunt, id apostolicis editis Constitutionibus . . . praestare non omiserunt . . . Cum autem et diuturno nostro rerum forensium usu, et crebris gravium virorum relationibus, et querelis compertum haberemus, nonnullos abusus in judiciali praxi tribunalium huius nostrae urbis, et curiae invectos esse, quibus et justitiae cursum interverti, aut saltem retardari, et litigantium dispendia magnopere augeri contingeret . . . ad ampliorem atque absolutiorem judiciorum reformationem, supradictorum praedecessorum nostrorum exemplo, deveniendum nobis esse judicavimus. Deputò quindi una congregazione di due cardinali e sette prelati nella curia romana esperti, e col parere de’ medesimi emanò la celebre costituzione Romanae curiae praestantiam, che di tanto migliorò la forma di procedere che per lo innanzi si usava32.

XXX. Ma di già mi accorgo, che l’orazione mia ha oltrepassato i suoi propri confini; poiché ai secoli di mezzo ella doveva essere limitata, ed ai recenti è quasi insensibilmente trascorsa. Ritorno perciò d’onde mi sono scostato, e dico, che dai documenti addotti mi sembra aver dimostrato a sufficienza gli oggetti che da principio proposti mi era, cioè che [p. 18 modifica]solevasi in que’ tempi render ragione col parere di molti; che l’uso lodevole vi era di stendere la sentenza col premettervi la narrativa, enunziare i documenti su de’ quali la medesima si appoggiava, e rendere in tal guisa ragione del motivo per cui si decideva, e finalmente, elio con sollecitudine si sbrigavano i processi.

XXXI. Se poi mi si domandasse, quai difetti a modi sì lodevoli erano congiunti, risponderò, che uno specialmente gravissimo ve n’era; quello cioè della mancanza di un codice, Cile le regole tutte prescrivesse di amministrare la giustizia, siccome tanti ve ne sono, che i punti di dritto stabiliscono. Se un tal codice si fosse dai nostri maggiori compilato, forse i loro lodevoli modi non sarebbero andati in disuso. Certamente è del più grande interesse, che regole fisse su di ogni punto vengano stabilite; poiché, siccome avverte il Muratori33, troppo «facilmente alcuni giudici avvezzi al dispotismo nell’esercizio del lor ministero, inclinano alla libertà di giudicare, come sembra più equo e giusto al loro cervello, scansando perciò con vari raziocini la briglia delle leggi regnanti. Ha il principe da esigere con forza, che siano rispettate ed eseguite le sue costituzioni, e ha da vegliare che non ne formi delle nuove il capriccio de’ suoi ministri con limitazioni, ed ampliazioni arbitrarie, cioè non fondate sopra l’intenzione chiara, e non segnata d’altre leggi».

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DOCUMENTI





I.


Placito tenuto nella basilica di S. Pietro alla presenza di Gregorio V pontefice, e di Ottone III imperatore nella causa, che verteva tra Ugone abate di Farfa da una parte, e i preti di S. Eustachio di Roma dall’altra circa le due chiese di S. Maria, e di S. Benedetto nelle terme alessandrine, le quali furono aggiudicate al suddetto abate, e suo monastero.


DCCCCXCVIII.

(Dal Registico Farfense num. 459.)


In nomine Domini Dei Salvatoris nostri Jesu Christi, Anno pontificatus domini Gregorii summi pontificis et universalis V pape in sacratissima sede beati Petri apostoli, secundo imperii autem domni Ottonis invictissimi iraperatoris similiter ii indictione xi mensis aprilis die viiii. Ad laudem omnipotentis Dei et Salvatoris nostri Jesu Christi simulque beate et superexaltate Dei genitricis Virginis Marie, ex decreto judicum et per imperialem preceptionem brevem commemoratoriurn factum qualiter orta est contentio inter presbyteros ecclesie sancti Eustathii, que sita est in Platana; qui reclamaverunt ad domnum Gregorium Papam et imperatorem Ottonem dum residerent in basilica baati Petri apostoli. Tunc factus concursus populorum clamantium ut legem acciperent, inter quos fuerunt presbyteri predicte ecclesie, videlicet Petrus presbyter secundus, Johannes presbyter tertius, Albinus presbyter iiii. Eustathius presbyter, Benedictus presbyter de Castorius et cum eis cuncta illorum congregatio insimul commorans proclamabant [p. 20 modifica]querimonii causa atque dicebant: Piissime imperator et omnium augustorum auguste, supplicamus tuam clementiam ut legem habeamus di Hugone abbate monasterii sancte Marie quod situm est in Sabinis in monte Acutiano et juxta fluvium Pharpham qui contendit nobis duas ecclesias sancte Marie et Sancti Benedicti que sunt edificate in thermis Alexandrinis cum casis criptis hortis terris cultis ed incultis arcis columnis et oratorio Salvatoris infra se vel cura omnibus ad eas pertinentibus, sitas Rome, regione nona, in predictis thermis Alexandrinis sicuti rejacere videntur inter hos fines ab uno latere curtis et cripta quam detinet Lambertus filius Aldonis et cripte quas detinent heredes Ingebaldi et Azonis, ab alio latere cripta quam detinet Theophilactus Neapolitanus cura nepotibus suis, sicuti definitum est per muros et columnas, a iiii latere hortus quem detinent heredes de Bonizo et monasterium sancti Andree quod situm est in monte Soracte, a iiii latere via publica. Inter hanc reclamationem casu accidente affuit Hugo predictus venerabilis Abba in basilica beati Petri apostoli. Ipsa ora residebat in judicio domnus Leo archidiaconus sacri imperii palatii ex parte domni imperatoris una cum Iohanne Urbis Rome prefecto et judicibus Romanis Gregorio primo defensore, Leone arcario, Atrocio, Petro, Paulo dativis judicibus ex parte domni pape. Tunc statim fecerunt venire Hugonem abbatem in judicio, cui et dixit predictus domnus Leo archidiaconus: Volo ut respondeas istis presbyteris qui querimonium habent super te. Ille autem respondit: Nescio de qua causa. Et domnus Leo: De duabus ecclesiis cum casis et cellis suis quas habes in thermis Alexandrinis. Et jam dictus Abbas: Rogo vos, date michi indutias quia modo non sum paratus ad legem, neque judices meos habeo neque advocatum. E contra ille: Nequaquam, sed dabo tibi advocatum qui pro te respondeat. Et abbas: Volo scire si dederis michi advocatum Romanum aut Langobardum. Et ille: Romanum dabo tibi. Et abbas: Nolit Deus ut res nostri monasterii aliquando sub lege Romana vixisset sed sub lege Langobarda, propterea nolo Romanum advocatum. Et ille: Velis, nolis legem Romanam habes facere. At contra dicebat abba: nullatenus se facturum nisi ex ore domni imperatoris audisset. In tali autem altercatione predictus domnus Leo manibus suis eum comprehendit per cucullam et juxta se sedere fecit, cui et dixit: Hodie non exies de isto placito nisi legem feceris. Et iternm abbas: Ego non contradico legem, sed si permiseris guadimonium, tibi dabo juxta meam legem donec vadam ad meum monasterium ut revertar cum advocato simul et judicibus. Tunc jussu domni Imperatoris data est ei indutia a tertia feria usque in vi feriam. Et abiit domnus abba et re versus est vi. feria, sicuti promiserat cum suo advocato et [p. 21 modifica]dicibus. Venientes autem ante fores basilice beati Petri apostoli ad sanctam Mariani in Turri, ubi jndicium datum erat, tunc cepit dicere domnus abba: Ecce parati sumus legem facere sicuti promisimus. Respondit domnus Leo prudentissimus Archidiaconus una cum Ropperto venerabili et laudabili diacono et oblationario sancte et apostolice sedis, simulque domno Iohanne urbis Rome prefecto et legum latoribus iudicibus et dixit: Voluraus scire si per legem Romanam aut Langobardam vultis defendi. Tunc respondit Hubertus dativus iudex et advocatus ipsius monasterii: Secundum legem Langobardam volumus nos defendere quia per centum et eo amplius annos res nostri monasterii per legem Langobardam defensata est et percepta regalia exinde habemus. Sed si placet domno imperatori aliter fieri, non possumus contradicere. Ad hec domnus Leo dixit iudicibus Romanis: Quid vobis videtur de hoc? Illi autem responderunt: Certe ista res nobis in dubio est, sed in providentia sit domni imperatoris. Tunc surrexit domnus Leo et abiit ad imperatorem et narravit ei omnia que facta sunt et petiit ab eo consilium quomodo vel qualiter placuisset ei. Tunc dixit ei imperator: Revertere ad iudicium et interroga abbatem et advocatum eius si possunt probare per scripta aut per sacramentum aut per testimonia quod monasterium ipsum sub lege Langobardorum defensatum fuisset, et ego nullatenus a sua lege eum suptraho. Et reversus in iudicium interrogavit eundem abatem et advocatum eius quid de hoc dicerent At illi ostenderunt confirmationem factam a Hlotario imperatore, ubi continebatur quomodo diffinitum est ante presentiam predicti imperatoris et domni Pascalis pape, quod idem monasterium sub lege Langobardorum vivere deberet sicut cetera monasteria infra regna Francorum constituta sunt idest Luxoviensium, Lyrinensium et Agaunensium et pontificem Romanum nullum dominium in iure ipsius monasterii haberet, excepta consecratione. E contra defensores presbyterorum jam dicte ecclesie sancti Eustathii voluerunt reprobare supradictam confirmationem. Tunc decrevit domnus Leo, qui ex parte domni imperatoris erat, ut si abbas per suum advocatum legem potuisset facere quod neque per se neque per ullam submissam personam ipsa sua confirmatio falsa esset, stabilis permaneret. Ad hec advocatus monasterii, iubente domno Leone, voluit sacramentum prebere cum suis sacramentalibus, quod scripta ipsa falsa non essent et quod monasterium predictum per ipsam confirmationem per centum et eo amplius annos se defensavit per legem Langobardorum. Insuper per pugnam et per testimonia probare voluit. Ad hec qui ex parte presbyterorum erant hoc recipere noluerunt quia dicebant quod non oportet eis. Ad hec domnus Leo: Me oportet discernere et diffinire, et ad me pertinet qui ex parte imperatoris sum. Modo scio [p. 22 modifica]pro certo quod idem monasterium semper fuit sub tuitione regum et per legem Langobardorum defensatum est. Modo querite abbatem undecumque vultis, et per suum advocatum vobis respondeat secundum suam legem. Ad hec presbyteri quesierunt advocatum qui pro eis quereret. Et datus est eis Benedictus illius Sthepani a Macello sub templo Marcelli. Et proclamabant ita dicendo: Ego quero Hugonem abbatem de duabus ecclesiis cum casis et cellis suis et criptis pertinentibus ad ecclesiam beati Eustathii unde ab anterioribus nostrorum presbyterorum carta tertii generis facta est anterioribus istius abbatis in tribus personis ad pensionem reddendam, et modo expleta est, et iste abba nobis contendit. Ad hec Hubertus advocatus respondit: Istas ecclesias cum casis suis cellis et criptis unde tu Hugonem abbatem quesisti, per quadraginta annos ipsum monasterium possedit ad proprietatem. Ad hec advocatus presbyterorum respondit: Volo ut dicas si absque pensione tenuit. Ille autem respondit: Mea lex non precipit ut aliter dicam nisi quod jam dixi. Et statim ostendit capitulum ubi continebatur quod de pensione non debet respondere secundum suam legem sed de possessione. Deinde jndicatum est usque ad alteram diem. Veniente autem die sabbati, iterum in judicium affuerunt et querimonium fecit advocatus presbyterorum, sicuti prius fecerat. In tali pacto presbyteri ceperunt accusare advocatum monasterii ad domnum Leonem, quod fallax esset. Tunc Leo considerare cepit intra se quid de hoc faceret. Acceptoque bono Consilio eo quod deessent ibi alii judices Langobardi preter ipsum advocatum ut posset veritatem discernere inter fallaciam, fecit eum jurare per mi evangelia ut ex illa hora et deinceps verum judicium judicaret. Tunc fecit eum sedere in judicio ut judicaret secundum suam legem de hoc. Ad hec abba contristatus aiebat: Domne, quare hoc fecisti? Tulisti advocatum meum modo; pro me quis respondet? Et ille: Ego dabo tibi alium advocatum pro eo. Tunc precepit Petro filio Rainerii de comitatu Reatino, qui ex parte ipsius monasterii erat ut ipse advocatus fieret. Ad hec abbas: Domne, iste advocatus nescit respondere pro me. Et domnus Leo: Ego do licentiam priori advocato tuo ut eum instruat qualiter respondeat. In tali altercatione dixit domnus Leo judicibus Romania: Quid vobis videtur de hoc? Et illi: Ecce querimonium diffinitum est. Tantum judex Hubertus qui est Langobardus diffiniat quia nobis non pertinet de hoc judicium dare. Et domnus Leo precepit Huberto ut judicaret. Tunc Hubertus dixit: Ego non judico nisi quod scriptum in manibus teneo. Et statim ostendit capitulum ubi continebatur quod sancta et venerabilia loca secundum legem Langobardam per quadraginta annos possunt per sacramentum probare suam possessionem. Et nullum aliud judicium dedit predicto abbati nisi ut juraret [p. 23 modifica]suus advocatus cura sacramentalibus suis quod predicte Ecclesie cum pertinentiis suis possesso essent per xl annorum curricula a suo monasterio ad proprium. Tunc domnus Leo dixit judicibus Romanis: Quid vobis videtur? At illi omnes unanimiter affirmaverunt quod rectum judicavit secundum suam legem. Ad hec advocatus preparatus fuit cum suis sacramentalibus, et volebat jurare. At contra advocatus presbyterorum: Ego tibi dabo testimonia quod infra ista annorum curricula pensionen a vestro monasterio accepimus. Et Hubertus judex: Nostra lex non precipit ut advocatus domini abbatis de pensione respondeat nisi ut possesionem probaret. Ego non judico ut aliud faciat predictus abba. Sed si placet domno Leoni et judicibus ut dent presbyteri testimonia qui probemt quod pensionem accepisset ipsa ecclesia a jamdicto monasterio dabit et domnus abba testimonia ex sua parte et per pugnam discernatur. Tunc omnibus placuit. Et domnus Leo precepit presbyteris ut darent testimonia. Et dixit, judicibus Romanis: Vos dicite quot testimonia debent esse secundum vestram legem. Illi autem responderunt: Tres idonei testes. Et allata sunt tria testimonia in conspectu judicum, quorum nomina hec sunt: Castorius, Iohannes sutor, Benedictus de Leone. Separate eos ab invicem et interrogate ut non audiat unus de altero quid loquatur. Et si dixerunt uno ore veritatem, recipiantur; sin autem aliter locuti fuerint, et unam sententiam non dederint. fallaces erunt per omnia et non sunt, recipienti neque ad pugnam debent venire. Tunc interrogaverunt eos singillatim, et inventi sunt discordes. Et iterum domnus Leo dixit judicibus: Ne forte dicant homines quod iniuste judicetis, veniant similiter ad judicium alia vice et interrogemus eos juxta priore? interrogationes, et Deus de hoc discernat veritatem. Quod et factum est, et inventi sunt fallaciores per omnia. Tunc dixit domnus Leo judicibus: Judicate inter illos. Et judicaverunt judices et dixerunt quod testes falsi essent et abiciendi ex placito, et presbyteri refutarent predictas ecclesias dorano abbati cum suis pertinentiis. Tunc iterum dixerunt qui ex parte presbyterorum erant, quod advocatus domni abbatis cum suis sacramentalibus deberent jurare de possessione supradicta. Tunc interrogava domnus Leo Hubertum judicem Langobardum si esset hec lex. At ille dixit: Non est lex; sed si vobis placet, faciat advocatus domni abbatis sacramentum. Ad hec omnes judices Romani concorditer una voce dixerunt: Non debere Langobardum jurare sine asto. Et affirmaverunt omnes et dixerunt ut juraret unus ex presbyteris aut advocatus illorum ut hoc quod quesierant rectum quesissent et postea advocatus domni abbatis jurasset cum suis sacramentalibus. Ad hoc noluerunt presbyteri jurare neque advocatus eorum. Et inventi sunt fallaces. Impletusque est ille sermo qui dictus est. Vincat [p. 24 modifica]ergo Christe, qui est via veritas et vita et occidat iniquitas. Tunc preceperunt judices ut refutarent presbyteri domno abbati predictas duas eoclesias cuna pertinentiis suis. Et apprehenderunt baculum simul et cartam per quam litigabant, et refutaverunt, atque dederunt in manna domiti Hugonis abbatis et Huberti advocati sui et tenente domno abbate ipsa carta in manti, jussu domni Leonis, tulit Leo arcarius sancte Sedis apostolice cultrum et signum sante crucis in ea abscidendo per medium fecit et reliquit in manu domni abbatis in conspectu omnium ibidem residentium et circumstantium Quod si in quocumque tempore jam dictis presbyteris aut successores eorum aliqua cartula de predictis locis inventa aut reperta fuerit, et cum ea per qualemcumqne insurgentem personam magnam vel parvam ad predictum monasterium litigare vel calumnias inferre temptaverint, non solum cartula ipsa vacua permaneat, sed etiam composituri existant auri optimi librarum decem medietatem regi et medietatem ipsius monasterii rectoribus, et post solutam penam hunc brevem memoratorium in omni robore fìrmitatis permaneat. Unde pro futura memoria et cautela ut a modo et nsque in fìnem seculi predictum monasterium ecclesias duas in integrimi cum casis hortis criptis et parietinis suis si ve oratorio Salvatoris securo et quieto ordine detineant, pienti dictum est, usque in fìnem seculi. Propter hoc supradicti judices michi Benedicto scriniario sante Romane ecclesie, in qua ipsi propriis subscripserunt manibus, in mense et indictione suprascripta xi scribere preceperunt, sicuti dictum est.

† Robertus sancte Romane ecclesie oblationarius interfui et subscripsi testis. † Leo sacrosancti palatii archidiaconus interfui et subscripsi testis. † Iohannes prefectus comes palatii atque dativus jndex. † Ego Gregorius Domini gratia primicerius defensorum interfui et subscripsi. † Leo domni gratia archarius sancte apostolice sedis. † Adrianus dativus judex. † Petrus Dei nutu dativus judex. † Paulus dativus judex. † Ego Hubertus judex et advocatus ipsius monasterii interfui et subscripsi. † Ego Petrus filius Raynerii ibidem fui et subscripsi. † Gualafossa ibi fui et subscripsi. † Teuzo filius Renedicti ibidem fui. † Ego Benedictus scriniarius sancte Romane ecclesie qui supra scriptor hujus brevis commemorationis post testium subscriptiones complevi, et absolvi.

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II.


Placito tenuto da Giovanni patrizio, e da Crescenzo prefetto di Roma, nella causa delle due chiese, nelle terme Alessandrine, tra il monastero di Farfa da una parte, e la chiesa di S. Eustachio di Roma dall’altra.


MX.


(Dal Reg. Farf. num 649.)


In nomine Domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Anno Deo propitio pontificatus Sergii summi pontificis et universalis iiii pape, in sacratissima sede beati Petri apostoli ii, indictione viiii, mensis iunii die i. Ad laudem omnipotentis Dei et Salvatoris nostri Iesu Christi simulque beate et superexaltate Pei genitricis virginis Marie, ex decreto judicum et per patricialem preceptionem breve memoratorium factum qualiter orta est contentio inter presbyteros S. Eustathii que sita est in Platana qui reclamaverunt ad domnum Iohannem patricium Urbis Rome et Crescentium gloriosum istius Urbis Rome prefectum, dum resideret infra domum suam predictus domnus patricius una cura jamdicto domno prefecto simulque cum eis optimates et judices Romanorum, videlicet Iohannes Dei providentia primicerius, Gregorius primicerius defensorum, Benedictus sacellarius, Georgius arcarius, Petrus et Leo sive Iohannes atque Gregorius dativi judices, Leo protoscriniarius sacri palatii, Relizo inclitus comes, Amato Campanie comes, Ottavianus et Otto comes filius eius, Marinus germanus suprascripti prefecti, Leo Curtabraca, et Berardus suus germanus, Bonizo ilius Franconis, Bulcio filius Gunzonis, Franco a S. Eustathio, Franco de Brittone, Leo de Calo Iohannis, Maraldus, Rolandus tìlius Guarnolfide comitatu Viterbensi, Ardicho domini gratia dativus judex, Franco Langobardorum judex de comitatu Sabinensi, et alins Franco judex filius Alberti judicis, Rainerius filius Arduini de comitatu Sabinensi. In istorum omnium presentiam venerunt presbyteri suprascripte ecclesie S. Eustathii una cum Iohanne diacono sacrosancti Lateranensis palatii et rectore atque dispensatore suprascripte ecclesie scilicet Petrus archipresbyter, Iohannes presbyter de Polla secundus, Eustatius presbyter, Petrus presbyter, Adrianus presbyter, Sigizo presbyter, cum euncta illorum congregatone, et coeperunt proclamare supra Guidone venerabili abbate monasterii S. Marie domine nostre quod dicitur in Pharpha. Nam ita dicebant: Domine patrici et prefecte et judices Dei et vestra misericordia habeamus legem [p. 26 modifica]de isto Guidone abbate qui contendit nobis unam ecclesiam que est edificata in honore S Benedicti et S. Marie et S. Blasii infra thermas Alexandria is positam Rome regione vini ad scorticlarios cnm domo justa se invicem coherente solarata tigulicia cum yliaco suo et scala marmorea et inferioribus et superioribus suis a solo terre et usque ad summum tecti et curte ante eam et introitu et exitu sua a via publica et cum omnibus ad ipsam ecclesiam et domnum pertinentibus quod est interlaffines a duobus lateribus curtis et cripta trio que appellatur in Pharpha, a iii latere curtem Lamberti filii Aldonis, a iiii latere via publica. Tunc jussit inde lex ferri. itaque illa ora ibi adesse predictum abbatem cum suis monachis et advocato predicti monasterii scilicet Huberto Langobardorum judice et ceperunt dicere: Ecce nos parati sumus legem facere. Continuo predictis presbyteris datus est advocatus Sicco filius Ingibaldi ut pro eis ageret contra predictum abbatem et advocatum ejus Tunc cepit predictus Sicco conqueri jamdictum abbatem et advocatum ejus de predicta ecclesia et domo, sicuti superius legitur, quod injuste teneret. Tunc respondit predictus Hubertus judex: Ipsam ecclesiam et domum quas tu dicis isti presbyteri alia vice in placito domni Ottonis imperatoris et domni Gregorii pape refutaverunt antecessori istius abbatis, videlicet Hugoni abbati, secundum judicium Romanorum et Langobardornm judicum et nos ad proprietatem monasterii nostri tenemus. Tunc predixerunt predicti domni patricius et prefectus et judices: Volumus scire si est ut dicitis. Statim ostenderunt predictus abbas et advocatus breve memoratorium factum temporibus predicti imperatoris et pape ubi continebatur qualiter diffinitura est inter predictum abbatem et presbyteros secundum diligentissimam examinationem et magnam discretionem et corroboratum erat ex toto a senioribus qui ilio in tempore videbantur judicia exercere. Qua perlecta et oscultata omnibus placuit et afirmaverunt cuncti predicti judices, et judicaverunt quod nulla ratione posset removeri nec deberet illud judicium quod semel tam diligenter et maxime quod jussu reis et pape tam firmiter et inviolabiliter terminatum est. Deinde iterum Hubertus judex dixit contra Sicconem advocatum presbyterorum: De hac diffinitione qae tamen juste et legaliter, sicuti superius diximus, finita est de jam dicta ecclesia et domo quid dicis aut quid tibi videtur? Respondit Siccus et dixit: Usque modo putavi quod jam dicta ecclesia et suprascripta domus sancto Eustathio pertinerent et sue esse debe ent. Sed modo scio pro certo et probitum habeo quia predicti monasterii S. Marie sunt et S. Eustachio nihil pertinet et ego amplius non contendo. Ad hec cuncti judices judicaverunt et preceperunt ut predicti presbyteri refutarent jam dictam ecclesiam cum domo, sicuti [p. 27 modifica]supra legitur, prelibato abbati suoque advocato. Mox jussu dormii patricii et prefecti et cunctorum supradictorum judicum jam dictus Iohannes diaconus et defensor predicte ecclesie S. Eustathii tulit duas cartas in manus per quas litigabat contra sepe dictum abbatem simulque cnm cunctis predictis et cum prephato Siccone advocato suo et, refutaverunt ipsi abbati et suo advocato predictam ecelesiam et prenominatam domum por affines et pertinentias et ex integro, sicuti suprascriptum est, et in manu predicti abbatis et advocati reliquerunt cartas. Illico jussu domni patricii et prefecti et cunctorum judicum tulit Gregorio primicerius defensorum cultellum et eas per medium abscidit similitudine crucis, et iterum in manu jam dicti abbatis reliquit ac dimisit in conspectu omnium ibidem residentimn et circumstantium. Quod si in quocumque tempore a jam dicto Johanne diacono aut predictis presbyteris vel successoribus eorum aliqua cartula de jam dicta ecclesia sive de suprascripta domo cum omnibus earum pertinentiis ex integro, sicuti superius legitur, inventa aut reperta fuerit et cum et qualicumque insurgente persona magna vel parva predicto monasterio litigare vel calumnias inferre temptaverint, non solum cartula ipsa vacua permaneat, sed etiam compositores existant auri optimi librarum quinque medietatem in sacro Lateranensi palatio et medietatem predicto monasterio et post solutam penam hoc breve memoratorium in omne robore firmitatis permaneat. Inde profutura memoria et cautela ut amodo et usque in finem seculi predictum menaste rium jam dictam ecclesiam S. Penedicti cum prephata domo et omnia illarum pertinentia securo et quieto ordine detineat, sicuti dictum est, usque in fìnem seculi. Propter hoc supradictus domnus prefectus et patricius simul et omnes suprascripti judices michi Romano scriniario sancte romane ecclesie scribere preceperunt. In quo et ipsi omnes manu propria subscripserunt in mense et indictione suprascripta viiii.

† Iohannes Domini gratia Romanorum patricius. † Crescentius Domini gratia Urbis prefectus. † Relizo comes † Amato comes. † Arduinus Domini gratia dativus judex. † Iohannes Dei providentia primicerius. † Gregorius Domini gratia primicerius. † Ego Georgius Dei providentia arcarius. † Benedictus Domini gratia sacellarius Apostolice sedis. † Petrus Dei nutu judex. † Leo Domini gratia dativus judex. † Leo protoscriniarius sacri palatii. † Iohannes de Benedicta. f Leo Curtabraga. † Marinus. † Rolandus. † Octavianus. † Franco de Britto. † Berardus Curtabraga. † Maraldus. † Bonizo filius Franconis. † Raynerius filius Arduini. † Otto comes. † Sicco filius Engibaldi. † Ego Romanus scriniarius sancte romane Ecclesie qui supra scriptor huius memorie brevis post judicum subscriptiones compievi et absolvi.

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III.


Benedetto VIII pontefice romano restituisce al monastero di Farfa il castello di Bocchignauo, che gli era stato violentemente occupato da Crescenzo conte.



MXIIII.

(Reg. Farf. num. 525. )


In nomine Domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Anno Deo propìtio Pontificatus domni nostri Benedicti summi pontificis et universalis viii pape in sacratissima sede beati apostoli, iii imperante domno nostro piissimo principe augusto Henrico a Deo coronato magno et pacifico imperatore anno i, indictione xii, mensis augusti die ii. Quia vero mundi termino propimminente superabundat proculdubio iniquitas suntque anni periculosi tenebrarum fili i cujuscumque ordinis vel dignitatis perditi sunt inhiantesque terrenos honores et opulentia istius caduce vite tantum querentes que sua sunt nihilominus et non que Iesu Christi omnibusque viribus decertare nituntur superextolli et superponi ultra quam sibi divinitus permissum est. Ob hoc magis magisque fluunt ad ima iniquitatum demersi. Quapropter cunctis sancte Dei ecclesie fidelibus manifestum fieri volumus qualiter vel quo modo Romani et Langobardi judices tam ex Iustiniane Leges quam et Langobarde videlicet capitulis nane notitiam brevem omnimodo fieri decreverunt ex lite et contentione que supter ascripta esse videtur ut in posterum propter cautelam replicationis nulla valeat controversia replicari aliquo modo . et si quando fortasse malitia humane procacitatis peccatis imminentibus aliqua fuerit orta intentio hujus pagine serie que nunc promulgata et in omnibus confirmata esse cernitur publice ostensa totius litis omniumque zizaniorum amoveat questionem. Et qualiter aut quo modo ipsa intentio fuisse dinoscitur brevi indagatione pandere curamus proinde referimus. Cum quidam Crescentius Benedicti comitis filius diabolica fraude corruptus et zelo diabolico zelatus abiit nocturno tempore et per fraudem male fidei occupavit quoddam castellum quod dictur Buckinianum a venerabili monasterio S. Dei genitricis Marie, quod ponitur sub monte Acutiano in loco qui a Pharpha cujus fuit hereditas et per vim sibi et sue potestati usque quo domnus supradictus Henricus imperator Romam advenit retinuit. Igitur cum memoratus Henricus Romam venisset, et intra venerabilem basilicam beati Petri apostoli resideret ad legem et [p. 29 modifica]justitiam faciendam. Tunc Hugo ipsius monasterii S. Marie venerabilis abba eidem imperatori de suprascripta invasione fraude et nequitia atque malis omnibus que ei Crescentius de suprascripto oppido perpetraverat reclamare cepit. Quibus auditis imperator cuna esset pius et bonus, mox precepit Iohanni ejusdem Crescentii germano quatenus siquidem suum germanum ad se venire faceret et de ea lite quam supra illum abba de sepe dicto oppido proposuerat cura eo legaliter et que a judicibus secundum veram legem promulgata essent adimplere non recusaret. At Iohannes tale imperatori prebuit responsum dicens, nulla ratione se inde intromittere quoniam non suum sed sui tantum germani esset acquisitum. Inter quos motio facta est et inter Romanos et imperatoris plebem et eam legem quam imperator inde facere malebat adimplere non poterat. Mox coram domni presulis presentiam et omnium qui aderant imperator aprehendit virgam manu et per ipsam quidem virgam de eodem castello abbatem Hugonem reinvestivit atque reddidit. Deinde rogavit supradictum domnum Benedictum presulem ut ob amorem Dei ejusque precelse genitricis sue anime redemptionem prout ipse investi verat iliam adimplere et facere non pretermitteret legem. Hisque talibus peractis et retro se dura ultra montes imperator reverteretur, memoratus pontifex misericordia motus, pietate ductus super sanctum locum, ne suis temporibus ad idem sanctum locum de sue hereditatis rebus deveniret detrimentum per suos idoneos fideles, inquisivit Crescentium quatenus legem et justitiam aut pactum de eodem oppido cum monasterio sancte Marie et illius monasterii abbate faceret. Ipse vero, cum esset superbus, pactum tacere noluit et ad placitum venire recusavit. Tunc pontifex, ut talia sensit, ita motus furore ductus cum multitudine hominum supra illum ad sepe dictum oppidum quod invaserat et ubi ipse residebat abiit et eum possidere procuravit et cum multo magis possessus ab eo esset et ante ejus presentiam minime stare posset, cepit ei misericordiam et pietatem querere et legem et justitiam quantum ipse preciperet exinde ad statutum terminum facere et in sue protectionis tenimine mittere illud usque ad peractum terminum eo ordine ut si se inde suptraheret liceret illum abbati Hugoni reddere. Peracto vero termino usque in viginti dierum et sic domnus presili Romam reversus est. Igitur ad statutum qui missus fuerat terminum domnus presuli cum venerabilibus abbatibus et ordinariis et legum latoribus judicibus tam Romanis quam Langobardis et cum plurimorum cetum in loco ubi statutum fuit ante castellum quod dicitur Tribucum in monte ubi stare videtur arbor pirus ad ipsam siquidem arborem advenit ad diffiniendi causam prefati et rei veritatem. Et nunc nomina abbatum vel judicum et comitum sive nobilium seriatim nunc pandere [p. 30 modifica]studemus, scilicet Iohannes qui et Melio secundicerius, Crescentius adminiculator, Gregorius defensorum primicerius, Georgius Arcarius, Petrus, Iohannes Benedicte, Gregorius, Farolfus et Leo qui et Laurentius. Dativorum Langobardum autem judices Adam et alius Adam atque Heribertus et Roccio clericus. Hi omnes ex Ducatu Spoletano. Crescentius Sabinorum. Venerabiles vero abbates Iohannes monasterii S. Pauli et Iohannes monasterii ad Clivum Scauri et alius Iohannes monasterii S. Dionisii et Silvestri, Adilelmo monasterii s. Bonifacii et Petrus abbas monasterii S. Marie ante venerabilem titulum Eudoxie. Comites naraque Berardus comes, Todinus filius, Oddo comes cum Iohanne et Crescentio germanis suis, Octavianus filius, Crescentius et Gumbizo germani, Theophilactus Penestrinensis, Stephanus et Perinzo a S. Eustachio, Richardo, Tito, Franco de Brittone, Berardus et Guido a Proba, Ingizo, Teubaldus, Constantius et Crescentius de arcario a loco Transtyberim, Marinus domni prefecti germanus, Helperinus et Roizo a Via lata, Iohannes de Stephano a Campo Martio, Iohannes filius Guidonis de Ardimanno, Gregorius, Ingibaldus filius Zore, Petrus de Imperato, Azo Berninus, Guado, Bucco et Gualafossa germani, Raynerius de Iohanne episcopi et alius Raynerius de Iohanne Bove de Catino, Gualabrunus, Littherius, Tedemarius filius Camponis, Franco et Burrellus germani, Taxilo et Arduinus uterini, ceterique plurimi. Conveniens vero domnus presul cum bis omnibus in supradictum locum quo constitutus fuerat terminus, mox de equo descendit et falcistorium ponere jussit et cum omnibus qui aderant ad legem et justitiam faciendam resedit. Tunc in conspectu horum omnium se exhibuit Hugo abba et per suum advocatum, videlicet Alkerium, secundum Langobardorum legem, quoniam ipse venerandus locus ad Langobardam permanebat legem, lamentare et proclamare cepit ante domni presulis presentiam, qui domnus presul per Iohannem venerabilem abbatem S. Dionisii et Silvestri et per Azonem Berninum Crescendo inquirendo manda vit ut sicut promiserat et constitutum fuerat, veniret ad placitum. Ille vero in ea quam promiserat non permansit ad placitum venire recusavit. Rursum domnus presul cum Consilio omnium judicum Romanorum videlicet et Langobardorum, secundum constitutionem legum per Buprascriptum Oddonem comitem et Crescentium germanum Gumbizonis, et Franconem qui vocatur de Britto nec non Stephanum Ingebaldi et Petrum de Imperato iterum atque iterum vocavit eu udem Crescentium ad placitum. Ille vero cum esset proterbus et contumax omnino rennuit venire ad placitum. Et cum talia videret domnus pontifex dixit Romanis et Langobardis judicibus ut quid exinde esse legibus deberet dicerent. Statim omnes judices uno ore dixerunt: Domne senior vestra gratia primitus quid [p. 31 modifica]abbati castellum pertinet examinandum est et postea sic judicandum. Illico abbas cartulas quas habebat in manibus judicibus ad relegendnm tradidir, et relect s a Gregorio arcario, invenit eas veridicas et bonas et non alicubi nisi predicto monasterio sepe dictura oppidum pertinere. Mox collatis Iustiniane et Langobardorum capitulis legis talem inde adversus Crescentium dederunt sententiam: Si quis vocatus est ad judicium, et ille per suam superbiam venire noluerit, et judex bene scrutatus fuerit causam, et judicaverit absente ilio hoc quod ei judicatum est adimpleat nec provocari audeat. Contumace tertia vice vocato datum judicatura firmum est. Et cum tantum auctoritatem legum pontifex audisset, mox apprehendit virgam in manu et secundum supradictam constitutionem prout habuerat castellum ipsum qui vocatur Buckinianum in commendationem reddidit atqne investivit exinde abbatem Hugonem sub districtione interdicte pene perpetualiter coram cunctis qui aderant propter judicialis libri sententiam sub tali constitutione et banno ut si unquam in tempore Crescentius vel sui heredes aut qualiscumque ab eis submissa persona magna aut parva quamlibet litem vel intentionem aut molestationem seu invasionem adversus predictum monasterium et illius abbatem de predicto oppido qui vocatur Buccinianum ulterius fecerint composituri existant optimas aureas libras centum medietatem in sacro Lateranensi palatio et medietatem predicto monasterio et quod quererent refutarent. Et insuper post peractam penam hujus notitie atque investitionis breve omni tempore firmum et perstabile permanent. Unde pro futura memoria futuroque testimonio et cautela et perpetua stabilitati supradictus presul cum omnibus et memoratis judicibus tam Langobard is quam et Romanis huius notitie atque investitionis breve scribere preceperunt michi Benedicto scriniario sancte Romane Ecclesie. In mense et indictione supra scripta xii.

† Thfpfklbetxe qui Benedictus papa vocor interfui et suscripsi. † Iohannes abba monasterii Sancti Silvestri, † Iohannes abbas monasterii S. Gregorii qui vocatur Clivus Cauri, † Benedictus Domini gratia secundicerius sante apostolice sedis. † Ego Gregorius Domini gratia primicerius defensorum. † Ego Georgius Dei providentia arcarius sancte apostolice sedis. † Petrus Dei nutu judex. † Marinus nobilis vir germanus vero domini prefecti. † Tebaldus nobilis vir qui Zore vocatur. † Iohannes Dei nutu judex. † Ego Gregorius domini gratia dativus judex. † Farolfus domini gratia dativus judex. † Iohannes gratia Dei dativus judex. † Franco qui vocatur de Bretto. † Leo qui vocatur Frangapane. † Benedictus qui super nomen Buccapecu vocatur. † Sergius de Transtyberim. † Beraldus et filius [p. 32 modifica]primus defensor de Cavallo marmoreo, † Helpirinus lilius Helperini. † Stephanus filius Ingebaldi.

† Ego Benedictus scriniarius sancte Romane ecclesie et scriptor huius notitie brevis post domini presulis et abbatura atque judicuui et comitum et nobilium omnium subscriptiones factas compievi et absolvi.


IV.


Il Senato romano, udito il parere di Pietro primicerio, di Roberto primo difensore, e di Filippo sacellario, pronunzia sentenza in favore della chiesa dli S. Prassede contro i canonici di S. Croce in Gerusalemme sopra il fondo detto Pompei.


MCLX.


(Dall’Arch. di S. Prassede.)


† In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti amen. Anno ab Incarnatione Domini nostri Iesu Christi mclx. Nos Senatores a reverendo atquo magnifico popuio Romano pro pace infra Urbem et extra manutenenda et singulis sua justitia tribuenda in novo consistorio Senatus annuatim in Capitolio constituti, audientes murmurationem et conquestionem religiosorum canonicorum ecclesie S. Praxedis qnam nobis adversus canonicos ecclesie Crucis que in Iherusalem dicitur faciebant, dicentes se non deberi in jus vocari neque illis ad rospondendum cogi de terris in fundo Pompeii positis in loco qui dicitur ad turrem sive fonte, super quibus canonici ecclesie sancte Crucis nobis adversus illos proclamaverant et a nobis in curia Senatus eis respondere coacti erant. Visis actis publicis quibus sententia earundum terrarum a D. papa Eugenio pro ecclesia S. Praxedis contra ecclesiam S. Crucis edita denotata erat, jamque dicte ecclesie S. Praxedis canonicis exceptione rei judicate a summo pontifice atque ecclesiarum omnium judice se tuentibus optimos et illustres Urbis judices Petrum primicerium; Robertum primum defensorem, Gregorium dativum, Philippum sacellarium, Petrum de Rubeo et Landulfum dativos ad consilium nobis super hac causa fideliter sicut Senatui juraverant prebendum convocavimns, et prudentem consenatorem nostrum Nicolaum Iohannis Granelli ad illud diligenti perscrutatione suscipiendum nobisque referendum cum eis posuimus. Qui omnibus eorum rationibus ut eorum sapientia titillabat, sollerter perspectis, tale consilium nobis dederunt.

[p. 33 modifica] In nomine Domini nos judices Petrus primicerins, Robertus primus defensor, Gregorius dativus, Philippus sacellarius, Petrus de Rubeo dativus, et Landulfus dativus tale consilium dominis senatoribus damus. Ut ecclesia S. Crucis volens agere de possessione terrarum unde fuit actum in presentia pape Eugenii ulterius non audiatur quia obstat ei exceptio rei judicate. Si vero de proprietate agere voluerit, audiri tantum debet apud successorem ejus qui do possessione cognovit. Relato igitur nobis tantorum sapientium per prefatum consenatorem nostrum Consilio et etiam in scriptis nobis ostenso venerabiles canonicos ecclesie S. Praxedis eorumque successores in perpetuum ab omni molestia et inquisitione seu petitione possessionis illarum terrarum juxta supradictorum sapientium consilium liberos et quietos fore decrevimus, et ut numquam a nobis aut ab aliis per tempora senatoribus in,jus propter hoc vocentur aut respondere cogantur, presentes reverendi Senatus apices eis fieri jussimus. Et ego supradictus Nicolaus senator ab aliis senatoribus delegatus cancellatio sacri Senatus, ut supra scriptum est, ad perpetuam stabilitatem scribere mandavi sub pena iiii librarum auri. Si contra hoc clerici S. Crucis venire presumpserint dimidia senatui et dimidia ecclesie S. Praxedis componenda et soluta pena hec carta firma sit semper. Actum xvi anno restaurationis Senatus indictione viii mensis ianuari die xxiii. Capitolii in curia Senatus.

Ego Mardo protoscriniarius judex laudo et continuo.

Ego Paulus dativus judex juste datum consilium approbo.

Ego Gregorius de Primicerio archarius judex justum consilium datum ab aliis confirmo.


V.


Sentenza del Senato romano emanata a favore della chiesa di S. Ciriaco contro Cencio e Oddone figli di Grisetto Ingizello sopra alcune terre in Campo di Merli.


MCLXXXV.


(Dall’Arch. di S. Maria in Via Lata.)


In nomine Domini. Nos judices Sasso Primicherius, Odo Iohannis Paczi dativus, Iohannes Sassonis Arcarius, Iohannes Donadei dativus, Tullius primus defensorum, Obicio, Petrus romani dativus, et advocati Petrus advocati, Plolomeus, Iohannes judex, Iohannes Stephani, Iohannes de Ripa, Odo Abucii, Stephanus Laurentii, Petrus [p. 34 modifica]Pauli judicis damus consilium vobis domini senatores quatenus non cogatis abbatissam S. Ciriaci et ejusdem ecclesie yconomum occasione primi consilii restituere et dare secundum tenorem instrumenti scripti per nianum Nicolai scriniarii terras etpratum positum in Campo de Merolis terras scilicet quas laborat Bonfilius l’etri Stephani etc.

Ommissis etc. Datum ind. iii, mense nov. die 7.

In nomine Domini. Nos senatores alme urbis, decreto amplissimi ordinis sacri senatus litteras memoriales fieri facimus de subscripto Consilio dato a sapientibus et consiliatoribus urbis pro monasterio S. Cyriaci quod quidem tale est.

Nos judices Oddo Iohannis Paezi, Iohannes Donadei dativus etc, damus consilium vobis senatores etc. et faciatis de his omnibus ad perpetuum rei memoriam fieri litteras sigillo sacri Senatus impressas. Datum anno dominice incarnationis millesimo centesimo lxxxv, indictione iii, mense madii, die xi. Consilium autem consiliatorum urbis tale est.

In nomine Domini. Nos consiliatores urbis, scilicet Robertus Henrici, Petrus advocati, Falco Nycolai etisse, Petrus Bonifatii, Baronin Petri Iordani, Iohannes Capoccia. Visis attestationibus testium pro ductorum ab ecclesia S. Cyriaci et a filiis Grisecti Yngizelli scilicet Centliio et Oddone et diligenter examinatis confirmamus consilium datum a judicibus et advocatis pro ecclesia S. Ciriaci contra predictos filios Grisecti Yngizelli. Unde consulimus ut totum illud consilium ratum et firmum habeatis et effectui omnibus modis sine mora mandetis. Datum indictione iii, mense iuni die iiii.

Nos autem Senatores Urbis eterne dicta Consilia confirmamus et rata omnimodis habemus precipientes ac statuentes ut Senatus per tempora firma et rata habeant atque teneant et ad effectum perducant et tueantur. Auctoritate itaque omnipotentis Dei sacrique Senatus decreto precipimus ut nulla persona magna parvaque liec contra que sicut superius leguntur nobis consulta et a nobis confirmata sunt aliquo modo venire presumat; sicut amorem nostrum habere cupit, alioquin iram Senatus graviter incurrat et odium populi Romani.

Actum xli anno Senatus, indict. iii, mense iunii, die viii, jussu Senatorum consiliatorum Cinthii Grassi, Gregorii de Calisto, Pandulfi Ovicionis, Bulgarilli, Nycolai Buccemazi, Leonis Iohannis pluge, Ottaviani de Tedaldo.

[p. 35 modifica]

VI.


Sentenza circa il castello di Vicarello pronunziata a favore di S. Gregorio al Monte Celio contro il Senato romano.

(Ex Annal. Camaldulensium, Appendice, Tom. VI.)

Anno 1367, xvi iulii.


Ex codice antiquo membranaceo ejusdem monasterii, pag. 249.

In nomine Domini amen. Nos Nicolaus de Statua judex palatinus et Camere urbis recognoscentes de causa, lite, et questione vertente, et que versa est coram nobis inter magistrum Iohannem de Gallexio notarium procuratorem camere urbis, Ciecchum Luce de Kogeriis Camerarium dicte camere, Ciecchum Rosarium notarium dicte camere, Sylvestrum de Mutis, et Paulum de Tartaris syndicum urbis pro ipsa camera actores ex una parte, et abbatem, Monachos, capitulum, et conventum venerabilis monasterii sanctorum Andree apostoli, et Gregorii de urbe, et religiosum virum fratrem Oddonem de Castro Monaxellorum monachum dicti monasterii syndicum, yconomum, procuratorem, et personam legitimam dictorum abbatis, monacorum, capituli, et conventus dicti monasterii, syndacario, yconomacario et procuratorio nomine, quo supra et monasterii prelibati, cujus monasterii infrascriptum Castrum Vicarelli est reos ex parte altera pretextu et occasione imposite salis, focatici, jurium mensurarum, sequimentorum, grasciarie, et aliorum jurium petitorum, et pro parte dicte camere communi et hominibus Castri Vicarelli dicti monasterii, occasione mandati facti communi et hominibus dicti castri super predictis, a quo quidem mandato nomine dicti monasterii comparuit coram nobis dictus frater Uddonus syndicus, et procurator predictus, asserens, predictum Castrum fuisse et esse inhabitatum, dirutum, deguastatum, et ad solutionem predictorum non teneri. In qua quidem causa processimus ad dationem termini octo dierum ad probandum utrique parti de juribus ipsorum. Unde viso per nos dicto termino dictis partibus dato ad probandum; visis capitulis productis pro parte dicti monasterii; visis testibus productis juratis, et examinatis supradictis capitulis; visis citationibus factis in dicta causa, viso toto processu in dicta causa facto; visis et auditis juribus partium predictarurn, et ea que coram nobis per sese, et earum advocatos, et procuratores dicere, proponere, et allegare voluerunt; habita nobiscum super his piena, et matura deiiberatione, et Consilio quamplurium sapientum, et specialiter totius assettamenti presentium dominorum septem [p. 36 modifica]reformatorum reipublice Romanorum Senatus officium exercentium ad beneplacitum domini nostri pape, per ea que vidimus et cognonimus, nunc videmus, et cognoscimus, Christi nomine invoccito, in his scriptis pronuntiamus, decernimus, et declaramus, dictum Castrum Vicarelli fuisse et esse reductum ad Casale, et ipsum tamquam inhabitatum destructum, et deguastatum ad Casale reductum esse, et ad solutionem imposite salis, focatici, jurium, mensurarum, sequimentorum, grasciarie, et aliorum jurium, pronuntiamus in his scriptis ulterius non teneri, ipsumque a dictis impositis absolvimimus, et sententialiter reddimus absolutum, pro eo quod consta nobis per idoneos testes dictum Castrum Vicarelli propter societates et brigas fuisse, et esse inhabitatum, distructum et dirutum, et dicte camere, dictisque officialibus dicte camere dictum Castrum Vicarelli de libris et requisitis dicte camere cancellavi, et delevi in totum. Lata, data, et pronuntiata fuit dicta sententia per dictum dominum Nicolaum judicem supradictum sedentem ad bancum in palatio Capitoli! pro tribunali ad jura reddenda, ut moris est, sub anno domini millesimo trecentesimo sexagesimo septimo pontificatus Domini Urbani pape quinti, indictione quinta, mensis iulii die sexto decimo, tempore nobilium virorum Ciecchi de Corciano, Ciecchi Ianecte, et collegarum ipsorum septem reformatorum reipublice Romanorum Senatus officium exercentium ad beneplacitum domini nostri pape, presente, et cum instantia petente dicto fratre Oddone monacho, syndico et procuratore dictorum abbatis, monachorum, capituli et conventus dicti monastarii, et absentibus dictis officialibus dicte camere, quorum absentia Dei presentia repleatur. Ad quam sententiam, et omnia, et singula videnda, et audienda legittime citati fuerunt per Barnabeum mandatarium curie mihi infrascripto notario referentem, et presentibus his testibus, scilicet Iohanne de Cangiano, Iano Nicolai Oddonis, et Nutio Thome Sicce notario.

Scripta per me Iacobum Mascii notarium palatinum, et actorum camere urbis, et dicte cause mandato, conscientia, et voluntate domini Nicolai judicis supradicti.

[p. 37 modifica]

VII.


Sentenza pronunziata a favore del card. A. Caetani abbate commendatario de’ ss. Bonifazio ed Alessio, contro Giorgio Frangipane sopra un diritto di pescare nel Tevere.

(Nerini, de tempio et Coenobio SS. Bonafacii et Alexii. Append., num. lxix.)

1407. In nomine Domini amen. Nos Venantius de Durante legum doctor locumtenens magnifici viri Petri Francisci de Branchaleonibus de Durante, Dei gratia almae urbis senatoris illustris, iudex delegatus et commissarius cause infrascripte per eundem Dominum Senatorem, cognoscentes de causa, lite, controversia, et questione vertente et que versa fuit et nunc vertitur coram nobis inter reverendissimum in Christo patrem et dominum dominum A. Cayetanum episcopum Prenestinensem Aquilegensem vulgariter nuncnpatum commendatarium venerabilis monasterii sanctorum Bonifatii et...... de urbe, et Iohannem Tutii et Nutium Ciaffi procuratores et syndicos ipsius domini cardinalis commendatarii antedicti ...... parte una, et, nobilem virum Georgium Frayapanem de regione Pinee reum conventum ex parte fact ...... et exposit ...... pro parte dictorum procuratorum, et syndicorum, seu alterius eorumdem, nominibus quibus supra contra dictum Georgium ...... piscarie posite in flumine Tyberis, que vocatur la Pescara de mal tiempo etc. unde visa ...... nullis positionibus et capitulis productis etc. contra dictum Georgium citationibus nonnullorum testium examinatorum ad instantiam dicti Procuratoris contra ipsum Geor...... relatione. Visa publicatione dictorum testium etc. Viso termino dato ad apparendum contra antiquo privilegio pape Alesandri iii, solito more curie romane bullata ...... Visis nonnullis comparitionibus, et protestationibus et objectionis factis pro parte ipsius Georgii, etc. Visis omnibus que videnda fuerunt bine inde etc. habita ...... predictis, et circa predicta quamplurium sapientum, Christi nomine invocato, pro tribunali ...... banchum juris die juritica, hora causarum ad jura reddenda ut moris est ...... sententiam diffinitivam proferimus in his scriptis et in hunc modum et formam videlicet ...... decernimus et declaramus dictum Georgium illicite et indebite inquietasse, et turbasse ...... in pacifica possessione dicte piscarie etc. ac etiam condemnamus ...... dictis turbatione, et inquietatione piscarie antedicte et addandum et satisfa ...... dampna et interesse per ipsum [p. 38 modifica]dominum commendatariuma passa et occursa.... inquietationis facte per dictum Georgium in piscaria antedicta, et predicta sententiamus .... declaramus omni modo, via, jure et forma quibus melius possumus et debemus. . . Ciafri et Nicolao de Perleonibus procuratoribus dicti domini cardinalis.

.... in his scriptis sententialiter promulgata fuit dicta sententia, pronuraptiatio, interlocutio.... ine censeatur per dictum dominum Venantium locumtenentem et commissarium prefatum.... quatercentesimo septimo, pontifieatus domini Gregorii Pape xii.... aprilis die xxx, presentibus his testibus, videlicet Iohanne Paulo Anthonii Goyoli notario de regione Arenule... de regione Transtyberin ad hoc vocatis, et rogatis etc.








Note

  1. È un lavoro inedito dell’illustre continuatore degli Annali d’Italia del Muratori. Avendolo la Direzione acquistato dagli eredi, crede, col pubblicarlo, di far cosa grata ai lettori dell’Archivio Storico Italiano.

    (La Direzione).

  2. Capracoro illustrato: ossia Viaggio antiquario nel territorio di Campagnano.
  3. Tacito.
  4. Mi si permetta di osservare che fra le lodevoli leggi economiche stabilite dagli antichi Romani una ve n’era, che molta analogia aveva con quella che presentemente si chiama del Registro. Fu questa l'imposizione del dazio dell’uno per conto sopra le cose venali stabilito dopo le guerre civili. In tal guisa sin da quell’epoca, mentre con equa lance si facevano gravitare i pubblici pesi sopra i consumatori, si provvedeva nel tempo stesso alla sicurezza pe’ contraenti. Tacito ci racconta, che «centesimam rerum venalium post bella civilia institutam deprecante populo edixit Tiberius militare aerarium eo subsidio niti. Ann., lib. 1, § 78.
  5. Leg. XI. Cod. de Judiciis.
  6. La Leg. properandum fu promulgata nel 530, e nel 568 i Longombardi incominciarono ad invadere l’Italia.
  7. Stor. Fiorent., lib. I.
  8. Muratori, R. I. S., Tom. I. Part. II; Ant. M. Ae. Tom. I et II.
  9. Gli imperadori Franche e Germani accrebbero nuove leggi a quelle emanate dai Longobardi; ma il codice non variò punto l'antica sua denominazione.
  10. Murat. A. M. A. Dissert. VI, IX, X, XII, XXII, XXXI.
  11. Dissert. X sopra le Antichità Italiane. «Ne anche, prosegue l’Autore, si dee qui tralasciare una legge di Carlo Magno, cioè la 94, in cui si prescrive, ut nec Comes placitum habeat nisi jejunus; e nella legge 42, ut judices jejuni causas audiant et discernant. Sarà cura d’altri il cercare, se mai per avventura i Franchi, popolo germanico passato anche nelle Gallie, fosse allora così divoto di Bacco, come è da gran «tempo qualche parte della Germania. Da queste leggi al certo si può dedurre, che sotto Carlo Magno, tanto i Franchi dominatori che i Longobardi sudditi, amendue popoli germanici venuti in Italia, non istudiassero molto la sobrietà (Dissert. XXXI). Ottime disposizioni diede anche l’imparatore Lotario I, accio i giudici pro muneribus, et humana grafia justitiam non perventerent, aut differrent» (Ivi, Diss. X); e ben a ragione, poichè, siccome altrove osserva l’istesso Muratori: le donne, coi danari formano una sinfonia, che spesso fa danzare la giustizia, nei tribunali.
  12. Dei difetti della giurisprudenza, cap. XIV.
  13. Append., num. I.
  14. Append., num. II.
  15. Esisteva questo castello sopra una collina che si vede sulla sponda sinistra della Farfa, dove questo fiume attraversa la strada di Sabina sotto un ponti: di sasso, dalla natura stessa costrutto, detto comunemente Ponte sfondato.
  16. Append., num. III.
  17. Ex lib. Transurapt., fol. 661.
  18. Append., num. IV, V e VI.
  19. Ved. Turiozzi, Memorie istoriche della città di Tuscania. Tom. I.
  20. Append., num. VII.
  21. Append., num. VIII.
  22. Statuta urbis: editionis antiquae, in Exordio.
  23. Ibid.
  24. Greg. XIII, Const. Urbem Romani VIII, kal. iul. 1580.
  25. Recent. Part. I. dec. 161, num. 6.
  26. Recent. . Part. XIV, dec. 325. num. II.
  27. Ibid., Pari XV, dec. 147. num. 5.
  28. Recent. Part. I. dec. 161, num. 6.
  29. Recent. . Part. XIV, dec. 325. num. II.
  30. Ibid., Pari XV, dec. 147. num. 5.
  31. Dei difetti della giurisprudenza.
  32. Const. Romanae curiae prestantiam, XII kal. ianuar. MDCCXLIV.
  33. Dei difetti della giurisprudenza, Conclusione.