Muse, che palme ed immortali allori
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XIV
per lo medesimo.
Muse, che palme ed immortali allori
A’grandi Eroi nudrite,
Voi lungo Anfriso udite
Tra dolcissimi augelli i più canori,
E dove Filomena a pianger move,
Sì dolcemente ella non piange altrove.
Ivi, a disacerbar sua pena interna,
Scioglie la voce ai venti,
Ed a' soavi accenti
Iti la piaggia, Iti la valle alterna;
E del bel fonte alla sacrata sponda.
Sì muta Eco non è, che non risponda.
Ben fur, ben di natura alto consiglio,
Quelle sue note scorte
Perchè l’amara sorte
Ella potesse lacrimar del figlio;
E di suo strazio dimostrar pietate,
Almen nelle sembianze trasformate.
Or sì soavi accenti io non indarno,
Dive, chieggo in mercede,
Io peregrino il piede
Vado affrenando alle chiar’onde d'Arno;
Bramoso di scolpir sull’aurea riva
Marmo d’onor, che lungamente viva.
S’oro non è, ch’alto valor gradisca,
Ma d’Elicona il fiume,
Ben saria vil costume,
Grazia negar, perché virtù languisca;
Dunque su per l'eterne aure serene
Aggiano i Cigni suoi l’armi Tirrene.
Elle non tra i confin del patrio lito,
Quasi belve in covili,
Ma fero udir gentili
Per le strane foreste aspro ruggito.
E già il gran Tebro al mar sen gio dimesso,
Porsenna udendo minacciar dappresso.
Ma se antico valor Febo sublima
Fa non certa memoria;
Io di novella gloria
Vo’ dir, che di tutt’altre ascende in cima;
E meco arida invidia invan contende,
Sì de’ Medici il Sole almo risplende.
Quale Orion, qual fu per l'onde Arturo
Indomito, nemboso:
Qual fulmine fragoso,
Che squarcia delle nubi il grembo oscuro;
Che turba il mar, ch'empie d’orror la terra,
Tal fu la destra di Giovanni in guerra.
Egli or sull'Alpe, or in sentier palustri,
Or con lancia, or con spada,
Or calpestra, or dirada,
Or di gran sangue apre torrenti illustri;
Or le Torri, or le Terre arde, e distrugge
Lo sparge indi per alto aura, che fugge,
Odi che lunghi onor, che lunga tela
Tesse il bel nome altero!
Ma per lungo sentiero
Or di gran sangue apre torrenti illustri;
Chiede nave a solcar più d'una vela;
E vuol quaggiù di varle cetre il canto
Somma Virtute a celebrar suo vanto,
Io son qui, come augel, che infermo ancora,
Snoda note novelle:
Omai, Strozzi, alle stelle
Alzi la voce che Parnaso onora;
Ed ei, che può, distingua ornai con arte
Dolce di Febo aspri fuor di Marte.