Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo I - Antichità di Ceva.

Capo I - Antichità di Ceva.

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Prefazione Capo II - Descrizione di Ceva antica.
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CAPO I.


Antichità di Ceva.


Parlando delle antichità di Ceva sarebbe pregio dell’opera il tener discorso pur anche degli antichi popoli che abitarono queste contrade, quali furono i Liguri, i Stazielii, i Vagienni, i Galli Cispadani, i Romani, ecc., ma siccome di questi scrissero diffusamente tanti eruditi scrittori di cose patrie, tra i quali tiene un luogo distinto il Jacopo Durandi per le sue elaborate ricerche sugli antichi popoli d’Italia, e sul Piemonte Cispadano antico, dato alle stampe in Torino negli anni 1769 e 1774 io per non ripetere le stesse cose mi restringerò a parlar di Ceva.

Molto si disputò e molto si scrisse sull’origine di questa Città, ma non si riuscì fin ora a nulla di certo, e di positivo. Bisogna confessare che non si trova in Ceva un monumento anteriore al Medio Evo, ed è gratuita asserzione che fosse una volta Colonia Romana: tutti sanno quanto fossero i Romani solleciti nell’ergere monumenti, o incider lapidi che ricordassero ai posteri la loro potenza e i loro nomi, ma nel volger di tanti secoli che passarono dalla caduta del Romano Impero sino a noi non si scoperse mai nè una [p. 10 modifica]statua nè un’iscrizione nè qualunque siasi altro monumento che ricordi la dominazione Romana. Si citano è vero alcuni sepolcri in cui si rinvennero antiche monete di cui non si conosce la forma, ma questo proverà che quei popoli erano gentili e non di più.

Che Ceva fosse nei tempi antichi un Borgo cospicuo non se ne può dubitare, perchè l’importanza che ha al presente come centro di molti paesi Alpini e Langaroli, l’aveva già sicuramente sin dai tempi che cominciarono a coltivarsi, e a popolarsi queste nostre terre; e se i discendenti d’Aleramo la scelsero per capitale d’uno dei sette celebri Marchesati nel secolo XII, è segno che era già in allora un paese cospicuo, come vien qualificato in un antico istromento che dice Ceva Villa notabilis et grossa.

Il documento più certo dell’antichità di Ceva si è il celebre Capo XLII del libro XI di C. Plinio Secondo, della sua Storia naturale, citato da quanti scrissero memorie cevesi.

Siccome però non si cita per lo più che poche parole di questo libro, riuscirà cosa grata al lettore il leggere qui in disteso e nella lingua del Lazio l’intiero succitato capo colla sua traduzione in italiano: ecco le parole del testo:

« Laus caseo Romae, ubi omnium gentium bona cominus iudicantur, e provinciis Nemausensi praecipua, Lesurae Gabalicique pagis, sed brevis ac musteo tantum commendatio. Duobus Alpes generibus pabula sua approbant: Dalmaticæ Docleatem mittunt, Centronicæ Vatusicum. Numerosior Apennino. Cebanum hic e Liguria mittit, ovium maxime lactis: Æsinatem ex Umbria: mistoque Hetruriae atque Liguriae confinio Lunensem magnitudine conspicuum: quippe et ad singula millia pondo premitur: proximum autem urbi Vestinum, eumque e Cæditio campo laudatissimum. Et caprarum gregibus sua laus est, Agrigenti maxime, eam augente gratiam fumo, qualis in ipsa urbe conficitur, cunctis praeferendus. Nam Galliarum sapor medicamenti vim obtinet. Trans maria vero Bithynus fere in gloria est. Inesse [p. 11 modifica]pabulis salem, etiam ubi non detur, ita maxime intelligitur, omni in salem caseo senescente: quales redire in musteum saporem, aceto et thymo maceratos, certum est.

Tradunt Zoroastrem in desertis caseo vixisse annis viginti, ita temperato, ut vetustatem non sentiret. »

C. Plinii Secundi Historiae mundi libri XXXVII ex postera ad vetustos codices collatione cum annotationibus et indice.

Basileæ in officina Frobeniana MDXXXIX in fol.°

Edizione di Venezia 1785 del Bettinelli. Traduzione.

In Roma dove si porta giudizio di tutti i prodotti delle nazioni si dà anche la dovuta lode al cacio; nelle provincie in Lesa e nelle altre terre del Giraudan, quello di Nimes è specialmente lodato, però sol quando è fresco. Le Alpi hanno pascoli per due generi di cacio; le Dalmatiche quello ne mandano chiamato Docleate e il paese dei Centroni il Vatusico. In maggior copia nè fornisce l’Apennino. Di Liguria vien quel di Ceva di latte massimamente di pecora: di Umbria quel di Jesi, e di là dove insieme confinano l’Etruria e la Liguria quello della Lunigiana molto rimarchevole per la sua grandezza, premendosene delle forme di mille libbre caduna. Vicino a Roma evvi il cacio Vestino, e quello riputatissimo del territorio Cevizio. È tenuto buono ancora il cacio di capra, massime quello di Agrigento cui molta grazia accresce il fumo, quale si fa in Roma stessa da doversi agli altri tutti preferire. Perciocchè quello delle Gallie per suo sapore ha virtù medicinale. Oltremare quello di Bitinia è in grandissima riputazione.

Che i pascoli abbondino di sale si conosce da ciò principalmente che ogni sorta di cacio invecchiando divien saporito, e ripiglia il sapor primitivo se tenuto in macero nell’aceto e nel timo.

Dicono che Zoroastro ne’ deserti visse per ben vent’anni di cacio, temperato in guisa che non invecchiava.

Questo cacio che ai tempi di Plinio riscuoteva gli elogi degli eroici gastronomi romani, gode anche ai nostri tempi [p. 12 modifica]un gran credito per tutto il Piemonte e per l’estero. Il cacio che dice il naturalista Romano di latte di pecora sono le nostre robiole di cui si fa un commercio continuo nei nostri paesi. Oltre i colli di Ceva, ne danno qualità eccellenti, Murazzano, Mombarcaro, Camerana, Monesiglio, e tant’altre terre. In Monesiglio nelle fiere che vi si fanno verso l’autunno, se ne vendono per somme cospicue ai negozianti forestieri che lo portano a Torino, in Lombardia, in Isvizzera, in Toscana ed in altri stati confinanti col Piemonte.

L’ignorarsi l’origine di questa Città è una prova certa della sua antichità. Le città non lontane da Ceva che non possono considerarsi molto antiche, sono Mondovì, Cuneo, Alessandria, ed altre di cui si conosce l’epoca della fondazione, all’incontro Saluzzo, Bene, Albenga, Asti, Acqui, Tortona, Torino ed altre si possono meritamente chiamare antiche, perchè la loro origine si perde nell’oscurità dei tempi molto da noi remoti.

Data per cosa incontrastabile l’antichità di Ceva, nasce il desiderio di saper quando siasi in essa stabilita la religione cristiana.

Tutti i sacri istorici convengono che i Liguri, tanto marittimi che Stazielli e Subalpini, furono dei primi ad abbracciar la religione di Cristo.

È costante tradizione che S. Barnaba Apostolo abbia pel primo predicato il vangelo in Genova, e nella riviera di Ponente, e che avesse per compagno S. Caio. Ai tempi apostolici, S. Anatalone fu destinato a reggere le due Chiese d’Albenga e di Milano, ed il principe degli Apostoli gli spedì per coadiutore S. Caio, che gli successe nel vescovado delle due succitate Chiese d’Albenga e di Milano nell’anno 65 dell’era volgare. Così si legge nella storia dell’Ingaunia del canonico Navone, tom. II, pagina 6.

Ora trovandosi Ceva vicina ad Albenga, ed essendo ai tempi degli Apostoli confinanti le due diocesi d’Albenga e Milano, non vi è dubbio che anche nella valle del Tanaro, e nelle langhe siasi da que’ primi banditori del vangelo predicata la religione cristiana.

[p. 13 modifica]S. Siro fu anche un dei primi predicatori di Cristo nella Liguria, ed in Genova s’ammira una magnifica Chiesa dedicata a suo onore; la fama di questo Santo, si diffuse pure nei nostri paesi, se però non vi si fece anche sentire l’Evangelica sua parola, essendosi eletto a protettore dell’antica parrocchia dei Poggi, che Poggi S. Siro s’appellano, quale parrocchia per la sua antichità fece parte della Collegiata di Ceva all’epoca di sua prima fondazione.

Il cardinale Baronio, riferisce la predicazione del vangelo nella Liguria, all’anno 450, per mezzo dei due Santi Nazario e Celso.

Monsignor Brizio nella sua opera dei progressi della Chiesa occidentale, seguendo anch’esso il parere del suo antecessore, Monsignor Vida, dice che dopo S. Barnaba, ed i sullodati santi Nazario e Celso, abbia predicato il vangelo in questi paesi S. Dalmazzo, che sofferse il martirio nel borgo che porta il suo nome posto non lungi da Cuneo.

Ceva non offre monumenti religiosi molto antichi perchè le prime Chiese che vi si edificarono furono distrutte da innondazioni o da guerre, si pretende però, come già si disse altrove, che l’antica Chiesa di S. Andrea fosse un tempio di divinità pagane. Si dice che le iscrizioni che ciò attestavano siansi impiegate nella ristorazione della tuttora esistente Chiesuola senza che se ne sia levata copia.

Si nota qui di passaggio che sopra dell’arco, che dalla piazza maggiore dà adito alla contrada maestra, si vede infisso nel muro un’arma gentilizia dei Marchesi di Ceva, con una fascia traversale in cui si vedono tre G. in semi-gotico; queste iniziali voglionsi da taluni interpretare per tre C. e dar loro per significato Ceva Civitas Caesarea. Ma questo è un errore. Quest’arma è di casa Giogia, famiglia antica e gentilizia di Ceva di cui era propria quella casa: le cifre son veramente G. iniziali di Giogia, come si può argomentare da un’arma consimile che trovasi nell’ospedale in memoria di legati fatti a quella pia opera da questa famiglia.