Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della città, e diocesi di Larino/Libro IV/Della situazione di Cliternia, città marittima degli antichi Frentani, e sua distruzione

Libro IV
Capitolo IV
§. Unico
Della situazione di Cliternia, città marittima degli antichi Frentani, e sua distruzione

../Di Campomarino ../Di S. Agata di Tremiti IncludiIntestazione 9 aprile 2009 75% Storia

Libro IV
Capitolo IV
§. Unico
Della situazione di Cliternia, città marittima degli antichi Frentani, e sua distruzione
Libro IV - Di Campomarino Libro IV - Di S. Agata di Tremiti


1. A Sufficienza vedessimo nel lib.1. cap.4. ritrovarsi situata questa Città marittima degli Antichi Frentani tra il Fortore, e il Biferno, contro la pretensione di coloro, i quali vogliono fusse stata posta ne’ Marsi, e che ella fusse la stessa, quale al presente tiene il nome di Celano, come nella Regia Marsicana di Monsignor Pietro Antonio Corsignani, Vescovo di Venosa, al presente Vescovo di Sulmona, e Valle, per altro Prelato di gran merito, e nostro amico lib.3. cap.1. Ora come in proprio luogo si stima parlarsi della sua particolare situazione, come pure della tua distruzione. Quanto alla sua particolare situazione, certa cosa è, che veniva posta passato il fiume detto il Saccione, come si osserva nella Carta Topografica di questa Diocesi; imperciocché ivi si osservano stupendi monumenti di antichità, come si è detto nel cit. cap.4. del lib.1.

   2. Rispetto al tempo della sua distruzione, prima d’innoltrare il proprio sentimento intorno a ciò, sembra cosa non inutile far menzione di una certa leggenda, che si suppone estratta dalle Cronache antiche della Città d’Isernia porta nel Sannio, che da noi nella maniera, che si è ritrovata nell’Archivio de’ PP. Minori Conventuali di S. Francesco di Larino, si è trascritta negli Atti dell’ottava Visita fatta nell’anno 1734. tom.2. pag.315. terg. e segg. quantunque la stimiamo apocrifa in gran parte, e stesa verfo il fine del Secolo passato, o principio di questo, come apertamente si vede, facendosi in essa menzione della Chiesa della Madonna Grande fabbricata nel Territorio di Campomarino nel luogo chiamato Colloredo, o Caroleto da circa ottanta anni, e non più, come si è detto nel precedente cap.4. in parlarsi di detta Terra ; e qualunque ella sia non manca però farci strada al nostro intento.

   3. Si dice nella leggenda preaccennata, per quanto può conferire al Soggetto, di cui si tratta, che nell’anno 360. di nostra Redenzione, e a tempo di Arcadio, e Onorio figliuoli di Teodosio Imperadore, si ritrovava nella Provincia de’ Frentani questa Città di Cliternia, e che alla medesima fussero soggetti altri luoghi, appellati il Reale, Civita Arpalice, Corito, Colle Cervino, Montesicco, Rio salso, Portacandora, Campo in mare, Castro vecchio, Castro nuovo , e con essi l’Isole di Diomede nel mare, e che in una di queste vi era una fortissima Arce, come ivi si legge sopra il Sepolcro dove erano le ossa di Diomede Re della Daunia. Quanto a’ luoghi noi la stimiamo sincera, perché di tutti ne abbiamo monumenti di fabbriche da noi veduti ne’ proprj luoghi, come in parlarsi di essi, cioè di Caroleto nel cap.4. ove di Campomarino, di Colle Cervino, di Castro vecchio, oggi detto Colle Vecchio, di Reale, oggi Città Reale, e di Civita Arpalice nel cap.2.di questo lib.4. ove de’ Casali, e luoghi distrutti di S. Martino, di Rio salso nel seg. cap.5. §.7. di Montesicco nel cap.7. ove discorre di Serracapriola, e Campo in mare, oggi Campomarino, siccome Portacandora , poi detto Portocannone, attualmente sono Terre di questa Diocesi, siccome l’Isole di Diomede, come ne’ loro proprj luoghi : È abbaglio però facendosi regnare nell’anno 360. Arcadio, e Onorio figliuoli di Teodosio Imperadore ; imperciocché questo cominciò il suo Impero nell’anno 379. della nostra Redenzione, e terminollo nell’anno 395. in Milano, cui succederono Arcadio, e Onorio suoi figliuoli.

   4. La stimiamo poi favolosa, volendo, che questa Città si governasse in forma di Repubblica, con suoi Magistrati, Consoli, Senatori, e simili, e che fusse composta di sessantamila fuochi : essendo che per quanto fusse spazioso il suo tenimento nel lido dell’ Adriatico dal Fortore per Oriente fino al Biferno, posto per Occidente, appena sarebbe stato capace di tanti Abitatori, e certamente che in Larino mai vi è stata una pretensione di numero si eccessivo di Abitatori, pure fu Larino assai più chiaro, e potente : Quindi supponiamo, che l’Autore della leggenda abbia preso abbaglio in leggere le figure de’ numeri, e che in cambio di seimila, abbia scritto sessantamila, lo che è verisimile. E rispetto a’ suoi Magistrati non abbiamo monumento, né conghiettura da poter asserire , che ella si governasse in forma di Repubblica con suoi Magistrati, Consoli, Senatori, e simili; e in questo proposito il Signor Abate Polidori nell’Appendice de’ Commentarj sopra la Vita, e Antichi Monumenti di S. Pardo num.5. così dice : Nescio qua veteri inscriptione moti loci Incolae, in qua Cltterninorum Respublica. memoratur, eidem simillimam Romana: Urbis dignitatem cum Consulibus, Senatoribus, & id genus alios amplissimos Magistratus minus recte, ac scite tribuunt : non animadvertentes Rempublicam cuique fuisse loco antiquitus, neque dignitatis, atque praestantiae, sed Communitatis id nomen esse. Hinc quidquid commune erat, omnesque publice attingebat, Res dici publica, & appellari consuevit.

  5. Molto più favolosa si rende, asserendosi, che poi rimanesse distrutta per le inimicizie, che insorsero tra i Larinati, e gli Abitatori di Cliternia, e che armati tutti di ordine dell’uno, e dell’altro Senato, dopo una guerra crudele Cliternia fusse desolata, e abbattuta da quei di Larino. Si rende chiara questa favola dalla conghiettura tra le altre ; perché in que’ tempi, che l’Impero Romano era in fiore, nelle sue vicinanze, come si ritrovava Larino, e Cliternia, non tanto facile avrebbe potuto ciò avvenire, dipendendo le Città per cospicue, che fussero, dalla sovranità degl’Imperadori, e nella leggenda si dice, che a tempo di Teodofio, e suoi figliuoli Cliternia era in piedi, quantunque sia vero, che nel di più si permetteva dagl’Imperadori, che le Città si governassero da sé stesse per mezzo de’ loro Magistrati nella figura di prima, come si è detto nel lib.2. cap.1. num.1.

    6. Cliternia rimase distrutta non già dalle guerre co’ Larinati, ma da Barbari Goti, Westrogoti, e altre simili Nazioni, dopo la caduta dell’Imperio Romano, quando anche ebbe l’istesso infortunio la Città di Larino. Su di che potressimo addurre delle autorità de’ Scrittori contemporanei, che tralasciamo, e l’Abate Polidori nel luogo preaccennato, dice parimente, che dalle sue rovine fu edificata una picciola Città, chamata Licchiano, Licchiarno, Cliternio, Cliternia, però assai differente dalla prima, e così ivi al n.6. Ex ruinis antiqua Urbis destructa post casum Romani Imperii a Nationibus Barbaris, qui Italiam non uno malorum genere vexaverunt, Cliternianum aedificatum est ; eodem poene situ, sed amplitudine, et conditione valde dispari. E di questo si fa menzione in molte carte di Tremiti, di Larino, e di Termoli, del tempo de’ Normanni, come attesta lo stesso Abate Polidori nel luogo suddetto. Idem novum Oppidum posteriori aevo , Northmannis praecipue dominantibus in antiquis chartis Monasterii Tremitensis, Episcopatus Larini, et Civitatis Termulensis, non Cliternianum modo, sed et Clitiarnum quandoque appelletur. Inde corruptiore vobabulo factum vulgo est Lichiarnum, et Lichianum. E colla sua distruzione maggiormente si stabilirono li suddetti luoghi, e ne sorsero altri.

   7. Né questa nuova Cliternia, o luogo Cliterniano, o Licciano, che si dica, ebbe maggior fortuna dell’antica Cliternia, perché anch’egli restò desolato, e al presente, non si vedono, che antichi monumenti di fabbriche, di abitazioni, di fontane, e di altri edifici, li quali ci fanno sapere la di loro qualità d’esser stati assai considerabili. Quando poi ciò sia accaduto, dobbiamo dirlo certamente in occasìone, che allo stesso infortunio furono sottoposti gl’altri luoghi, cho venivano situati nel lido dell’Adriatico di questa Diocesi a cagione de’ tremuoti, guerre, peste, e simili disavventure, specialmente il tremuoto del 1125. che si racconta da Falcone Beneventano nella Falcone Beneventano Cronaca Ad annum Christi 1125</a>. e se ne portano le sue parole dal più volte lodato Abate Polidori nell’Appendice de’ Commentarj preaccennati n.7. e in questi tempi restò anche distrutto il Monastero di S. Felice, in cui si conservava il S. Corpo di S. Leo Confessore, che ora si venera in S. Martino, suo Padrone, e Protettore principale, come nel d. Appendice, e noi ne parliamo nel

nostro Appendice di queste Memorie cap.3.