Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XIX

Capitolo XIX

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CAPITOLO XIX

Della Ricci ancora.

Seguendo io a scrivere questa mia storia comica, che certamente non potrá divertire i lettori come il Romanzo comico di Scarron, tralascio di costringere la memoria a cercare tutti gli aneddoti e l’epoche esatte relativi a quelli del corso della mia amicizia e del mio comparatico con la sopra accennata attrice. Averò anche di troppo annoiato chi ha avuta la sofferenza di leggere quanto ho puntualmente narrato sinora in questo argomento.

I tratti della mia sciocca cordialitá, della mia assistenza, dei miei combattimenti, della mia domestica pratica con quella femmina e colla di lei famigliuola durarono quasi sei anni. Furono coltivati dalla sua parte con ogni attenzione in Venezia, e fuori di Venezia con un assiduo carteggio. Furono amareggiati di quando in quando da qualche di lei trapasso. Cercai di rimediare, indi sorpassare, seguendo l’indole mia costante e pacifica.

Finalmente il bubbone doveva scoppiare. L’ambizione adulata e circuita, la inclinazione a ciò che molte donne considerano fortune e che non sono che sciagure ed infamia (le quali cose, da uomo d’onore, tentai d’impedire in quella giovine, per lei e per la mia da lei voluta amicizia) vinsero e m’obbligarono ad allontanar me da una corrente che gli argini miei non poterono sostenere, e ad abbandonare la Ricci alla sua insuperabile tendenza.

Convien dire che questo mio abbandono fosse tardo e non dovesse succedere che con de’ strani avvenimenti. Non scrivo questi avvenimenti che per ammaestrare degli animi facili, di buona fede ed incauti. Alcuni potranno credere ch’io gli scriva per mia difesa e giustificazione. Chi si condanna come fo io narrando delle veritá, non si difende e non si giustifica. [p. 353 modifica]

La compagnia comica era partita da Venezia, e ricevei una lettera da Genova dalla comare, con le consuete espressioni di buona amicizia, ma piena di invettive contro al Sacchi e contro la sua compagnia intera.

M’avvidi che ella aveva trovati de’ soliti amanti adulatori che alteravano il suo cervello suscettibile co’ suffumigi, e m’avvidi ch’ella cercava d’aprirsi una strada di mancare a’ patti firmati colla mia mediazione.

Cercai, rispondendo, di riporla nel suo dovere e alla moderazione con de’ riflessi amichevoli. Ella mi replicò una lettera ancora piú smoderata ed ardita, in cui rimproverava me dell’assistenza ch’io prestava a una masnada di bricconi, ingegnandosi a sostenere che il mancar di parola e il tradire quella sorta di gente era impresa che meritava piú lode che correzione.

Non so s’ella dicesse una veritá, ma è certo ch’ella era una di quelle veritá non conosciuta dalla mia morale tanto predicata a quella donna, e con quel frutto che si può rilevare.

— Ecco l’anno — diss’io tra me — ch’io dovrò allontanarmi da quella femmina e confessare con mia vergogna che tutti i miei contrasti in di lei favore, le mie attenzioni, le mie assistenze, le mie sofferenze di molti anni non furono che mie imbecillitá e ranno gettato.

Giunti a Venezia i miei protetti, fui a visitare la Ricci, che m’accolse col solito giubilo. Mostrò di maravigliarsi per alquanto di non solita mia sostenutezza che le pareva di scorgere in me.

Nel momento ch’ella mostrava d’avere questa maraviglia, una vecchia di lei serva, nominata Pavola, le recò una lettera di Torino arrivata in quel punto.

La Ricci ebbe una fiamma nel viso. Fece molti contorcimenti. Dinotò un palese desiderio di fulminare la povera Pavola d’averle data quella lettera alla mia presenza.

Non potei frenare le risa a quell’accidente. — Qual colpa ha una serva — diss’io — a fare il proprio dovere nel consegnarvi le lettere che a voi giungono? Mi fareste il torto di credere ch’io sia indiscretamente curioso per voler sapere il contenuto [p. 354 modifica]delle vostre lettere? Se quello che vi scrive fosse anche uno di quegli amanti che voi comiche lasciate nei paesi dove foste, per consueto, qual diritto ho io sopra voi d’impedire che non abbiate di questi tali amanti corrispondenti?

— Eh! non si tratta di amanti — rispos’ella riscaldata, aprendo e leggendo la sua lettera.

Terminata la lettura, titubò alquanto, indi mi presentò il foglio dicendo: — A lei non voglio celar nulla. Legga questo foglio, vedrá che non si tratta di amori.

— Voi avete — diss’io — dimostrato tanto cruccio contro la serva che v’ha data la lettera me presente, che basta ad assicurarmi ch’ella contiene degli arcani che avereste voluto celarmi. Non voglio leggere i vostri fatti. — Rifiutai di leggere.

— Lei sappia dunque — diss’ella — che a Torino, dove fui, conobbi certa madama Rasetti, donna di gran proposito, che ha il marito a Parigi. Ella mi compianse di vedermi nel mezzo a questi comici italianacci. Mi diè coraggio e m’esortò a fare un poco di miglior uso del mio amor proprio. Promise col mezzo del di lei marito di trattare e di farmi passare nel teatro italiano di Parigi, dove potrò fare delle fortune considerabili. Quello che mi scrive è un abatino torinese, che è a parte di questo trattato e maneggiatore abilissimo. Egli mi dá ragguaglio che la faccenda è a buon porto.

— Buono! — rispos’io con perfetta flemma — questo è ben dare la dovuta considerazione al maneggio che tenni per voi col Sacchi, alla scrittura firmata con la comminatoria penale e a l’essermi io fatto mallevadore, col vostro assenso, che non succederebbero altre inquietezze e mancanze. Non sono però dal canto mio per oppormi a ciò che credete vostra fortuna, fomentata dalle adulazioni degli abatini e delle madame Rasetti, e vi dono anche il perdono della cattiva figura che mi fate fare con un comico. Non posso però dispensarvi dal dare un cenno al Sacchi di questo vostro trattato, onde la povera compagnia possa per tempo aver in vista e contrattare una prima attrice che subentri nel vostro posto. Questa è cosa indispensabile.

— Ecco la ragione — disse la Ricci ringalluzzata — per cui [p. 355 modifica]voleva tenere occulto anche a lei questo mio trattato. Madama Rasetti e l'abatino, miei grand’amici corrispondenti, m’hanno soprattutto raccomandata la secretezza, perché se il Sacchi giugne a sapere il maneggio, può frastornarlo per la scrittura da me firmata di cinque anni o farmi pagare la pena di cinquecento ducati. Lei avviserá il Sacchi e la compagnia, e tutto sará guasto. La gran parzialitá ha lei per questa gentaglia!

— Io non penso come le vostre madame Rasetti e i vostri abatini a voi amicissimi — rispos’io con calma, — né sono quel pettegolo che mi giudicate gentilmente. Non ho che della caritá per queste povere genti, e caritá che dovreste sentire voi piú di me. Voi vorreste trattare occultamente di andare a Parigi e per i consigli de’ vostri grand’amici, madama Rasetti e abatino, sottrarvi con una fuga da’ vostri impegni e lasciare improvvisamente la compagnia senza prima attrice, e in un tempo in cui non è piú in caso di provvedersi. Ciò sarebbe la rovina di queste povere genti e una disgrazia per voi, perché in qualunque luogo foste, non potreste mai esimervi dal pagare la penale comminata. L’azione vostra non è che un tradimento stomachevole. Avvertite il Sacchi di questo vostro trattato, e vi do la mia parola d’uomo d’onore di ridurlo a non opporsi, a non frastornarlo e a non pretendere la pena da voi de’ cinquecento ducati.

— Il Sacchi non deve saper nulla — diss’ella piú ringalluzzata, — perché egli si provvederá di una prima attrice; e se il mio trattato di Parigi abortisce, io rimarrò licenziata e senza impiego. Ho in lei — seguí ella in atto di rimprovero — veramente un buon amico e un buon compare d’appoggio! Tra comici non s’usano le sue delicatezze di pensare.

— Ciò apprendo principalmente da voi — rispos’io. — Fui quanto basta buon amico e buon compare nel sostenervi e nel proccurare la vostra fortuna possibilmente, per poter giudicare i vostri rimproveri imprudenti, audaci e sconoscenti. Anche se il vostro trattato svanisse, averei facoltá di farvi rimanere nel vostro posto, e s’anche il Sacchi ad onta mia si provvedesse d’altra prima attrice e licenziasse voi, averei l’altra facoltá di [p. 356 modifica]collocarvi in altra compagnia comica delle piú rinomate, alla stessa e forse a miglior condizione. Tuttavia, seguite pure i vostri trattati e i vostri garbugli segreti. Io saprò non saperli e conservare dal canto mio un perfetto silenzio in quest’affare, siate certissima.

Mantenni con esattezza la mia promessa, e lasciai la Ricci in balía di maneggiare il suo comico tradimento secreto, senza mai chiederle parola de’ suoi progressi in quell’affare, riflettendo che infine io non averei potuto avere altra accusa e altro delitto, facile da perdonarsi, d’aver soccorsa, sostenuta e protetta per il corso di cinqu’anni una comica d’animo guasto da’ cattivi principi, di cervello ambizioso e leggero. Seguitai ad esserle buon amico, ma con qualche riserva e con l’interno determinato d’allontanarmi poco a poco con quella prudenza che impedisse i romori e le dicerie. Cosa impossibile nel mezzo a’ commedianti.

Fu in quel tempo ch’io aveva ordita in ossatura e in parte composta la mia romorosa commedia, intitolata: Le droghe d’amore, divisa in tre atti, per dare qualche cosa al teatro in soccorso de’ miei protetti che mi tormentavano, e a divertimento de’ miei concittadini che attendevano da me qualche nuovo capriccio teatrale.

Questa commedia favolosa — che divenne quasi tragedia storica per de’ contrattempi, del bistorto pensare, del mal fondato cruccio superbo, de’ passi falsi, delle vendette fondate sopra a delle immaginarie supposizioni, de’ puntigli, delle imprudenze e delle esose comiche venalitá, che la fecero degenerare in una satira personale, con tutta la sua innocenza e senza la menoma mia intenzione — mi costringe a scrivere minutamente, con tutta la ingenuitá, e la stolida amicizia che legai con una comica compagnia e colla comica Ricci, e i casi avvenuti per quella scenica filastrocca.