Memorie inutili/Parte prima/Capitolo XII

Capitolo XII

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CAPITOLO XII

Strattagemma militare.

Farmi d’essere in necessitá di fare un racconto vero per far conoscere a’ miei lettori che, quando ho potuto conciliare l’onore d’una pazza bravura necessaria al mio sistema nella societá in cui viveva con la cautela di evitare un pericolo, non ho mancato di farlo destramente, quantunque fossi un ragazzo di poca esperienza.

Il racconto non merita d’essere considerato per la sua piccolezza; ma nessuna delle memorie della mia vita è meritevole di considerazione, le quali memorie non saranno lette che da’ que’ pochi che avranno la inconcludente ma giusta curiositá di conoscere ciò ch’io fui e ciò ch’io sono, in un quadro censurabile in tutto, fuori che negli oggetti disegnati con impuntabile veritá ed esattezza.

La cittá di Zara, dov’è per lo piú la residenza del provveditor generale, ha una strada maestra assai lunga, che incomincia alla piazza di San Simeone e conduce sino alla porta detta Porta Marina. Molte viottole, che discendono dalle belle mura di quella cittá dalla parte del mare, sboccano in questa strada maggiore.

Avvenne che alcuni militari avevano voluto attraversare una di quelle viottole, che riducono al passeggio delle spaziose mura, e che un uomo intabarrato, muto e minaccievole, coperto la faccia, aveva loro presentato un facondo enorme trombone da fuoco alle vite e gli aveva fatti retrocedere e cambiare viottola.

Quella violenza doveva essere ragguagliata al provveditor generale, che averebbe rimediato alla pubblica quiete e alla libertá del paese; ma per i militari era una viltá il produrre alla giustizia superiore tale ricorso, benché in alcuni di quelli non fosse viltá il rinculare e il cedere alia minaccievole bocca d’un trombone. [p. 89 modifica]

È da sapere che in quel vicolo abitava una delle piú belle giovinotte popolane che vedesse occhio umano, chiamata per nome Tonina. Ella aveva di molti spasimati, e le sue cattiverie, i suoi nascondigli e l’esca che sapeva dare a parecchi merlotti, facevano il di lei carattere tanto tristerello, che la sua bellezza diveniva cosa materiale e da poche lire, e nondimeno ella sapeva venderla de’ zecchini.

Ci fu chi dirò piú sotto, che amante perduto di costei e desideroso d’essere solo all’idolatria di sí bel tesoro, a contemplazione di quella frasca, per darle una testimonianza alla dalmatina d’un smisurato affetto, presentava il trombone a chi voleva di notte passare per di lá.

Avvenuto un tal caso per due sere consecutive, l’accidente divenne una delle maggiori novitá del paese nell’anticamera generalizia. La conversazione d’ufficialitá era ivi numerosa, e finalmente vergognandosi i militi ch’erano stati rispinti dal trombone della poltroneria e dello spavento avuto, si disposero di unire un buon numero d’uffiziali congiurati contro al trombone con giuramento di fedeltá.

Fui ricercato s’io ricusava d’unirmi al drappello. La mia condiscendenza, la mia insensatezza e i miei sistemi non ammettevano un rifiuto, ed ho francamente data la fede d’essere colla truppa.

Concluso il trattato in quell’anticamera, si commise il silenzio e fu stabilito che tutti i congiurati dovessero porsi un nastro bianco al cappello per essere conosciuti, e che alle tre della notte ognuno dovesse trovarsi armato al consueto campo d’arme, ch’era la sala d’un bigliardo, per andar poi all’assalto di Buda.

Un nobile illirico appellato Simeone C***, assai bell’uomo, onesto, e d’uno di quegli animi risoluti che spaventano anche i militari, quantunque egli non fosse soldato, sedeva in un canto di quell’anticamera sonneforoso, quasi dormendo, e pareva che non ascoltasse il trattato della congiura.

Egli era persona franca e gioviale, e che piú volte mi aveva fatte delle proteste di vera cordiale amicizia. [p. 90 modifica]

Poco dopo seguíta la lega io passai nella sala del generalato. Egli mi seguí pianamente, incominciò meco de’ discorsi indifferenti, ma tirandomi passo passo in disparte, cambiò linguaggio e cominciò da questo preambolo:

— È tempo ch’io vi doni una vera testimonianza della mia cordiale amicizia. Mi duole che abbiate data la fede imprudentemente d’unirvi stassera con que’ gradassi. Vi credo illibato e secreto, e che non paleserete a nessuno quanto sono per confessarvi, onde non vengano fatti de’ ricorsi ad una forza superiore, che si deve rispettare, e perché non si creda esservi della viltá in chi è incapace d’averne. Da ciò misurerete com’io pensi di voi e la mia amicizia. Il mascherato son io. Questa sera i tromboni saranno quattro. Perderò la vita, ma la perderanno parecchi prima di passare per quella viottola. Mi rincresce di voi. Dispensatevi per qualche modo dal vostro impegno, e lasciate che vengano gli altri che al sangue al corpo, troveranno di che spassarsi.

Questo ragionamento di tuono e d’eloquenza da trombone mi sorprese alquanto; ma non mi tolse né il cuore né la lingua né il raziocinio, e gli risposi per il modo seguente:

— Stupisco che abbiate incominciato il vostro discorso dal protestarmi amicizia e dal predicarmi la prudenza. Con mio dolore, voi non conoscete nemmeno il principio della prima e nemmeno il significato della seconda. Vi sono obbligato puramente della credenza che avete, ch’io sia incapace di palesare la vostra persona e ciò che mi confidate, a nessuno. Il vostro discernimento è giusto soltanto in questo. Saprei morire prima d’indurmi a palesarvi. Voi mi sforzate minacciando la mia vita a disimpegnarmi da una parola data, perch’io mi renda ridicolo e spregievole agli occhi di tutto il cetto militare, e questo è un tratto della vostra amicizia. Giurerei di non ingannarmi a credere che per un aereo vergognoso puntiglio e per una immagine falsa del valore, a petizione d’una bella pettegola che meriterebbe castigo, vi siete posto all’ostinato cimento di farvi ammazzare e d’ammazzare de’ vostri amici. E questo è un tratto della vostra prudenza. Se voi vi ritirate da tale impresa e [p. 91 modifica]lasciate libera quella via alla lega de’ matti quanto siete voi matto, non succede alcun male né si potrá attribuire la taccia di pusillanimitá che ad una larva non conosciuta, e se io mancassi alla fede data a’ soci, voi non potreste levarmi la macchia di mancatore e di vile. Diverrei il bersaglio degli scherzi ingiuriosi di tutta l'armata. La custodia del secreto, ch’io vi giuro, sará in tal caso cosa contraria alle leggi dell’amicizia, della prudenza, del mondo e di Dio. Anche la vostra pretesa di secretezza mette a cimento il mio onore. Chi v’assicura che alcuno de’ vostri aderenti, per darsi merito e per sottrarsi da un pericolo, non faccia secretamente giugnere all’udito di S. E. generale il vostro nome e la vostra bestialitá? Ecco allora esposta a’ vostri dubbi offensivi la mia fede inalterabile ed innocente. Avete preciso debito di aderire a’ consigli della mia vera amicizia, dettati dalla mia soda prudenza. Dovete lasciar libera quella via, e allora vi sarò obbligato. Fate poi all’amore con altro che col trombone da fuoco con quella frasca della Tonina. La sua macchina merita la vostra debolezza; l’animo suo dovrebbe meritare i vostri disprezzi; ma io non fo il pedante sugli oggetti degni o non degni d’amore, e compatisco la umanitá.

Vidi il signor Simeone C*** cruccioso d’essere convinto da’ miei argomenti, semplici ma ragionati, e lontanissimo dall’abbracciare il mio pacifico consiglio. Da vero dalmatino feroce proruppe nelle ignude proteste significanti e ne’ giuramenti che non abbandonerebbe il campo giammai, e concludendo che rimarrebbe cadavere, ma non senza fare una strage.

Ho creduta necessaria una dose dell’arte strionica. Lo guardai taciturno alquanto con uno sguardo di commozione favellatrice; indi con un atto tragico da vero declamatore teatrale gli dissi: — Ebbene, vi prometto ch’io sarò il primo questa sera ad entrare nella viottola da voi presidiata, e senza offendervi, a presentare il petto alle vostre archibugiate. Non ho piú bel modo di farvi conoscere che non mi siete amico. — Gli volsi le spalle con qualche furia, ma con un passo molto lento.

Egli che, fuori dalla fierezza istillata in lui dall’educazione, era nel fondo del cuore ottima persona, mi prese per un braccio [p. 92 modifica]fermandomi. M’avvidi ch’era penetrato, e con poche parole da tragedia urbana lo indussi a promettermi di lasciar libera quella strada, senza però lasciar libera la Tonina. Io gli promisi di non palesar mai l’arcano, e gli attenni una parola, ch’io credo ora posta in libertá da trentacinque e piú anni trascorsi, e forse dalla di lui morte, perch’egli aveva molto maggiore etá della mia.

Per tre sere consecutive fui il piú sollecito dell’alleanza a comparire al bigliardo armato, col mio nastro bianco sul cappello, e il primo e piú fiero sfidatore de’ tromboni, certo che non mi si opponevano, e i congiurati si vantarono di una vittoria che non ebbe altra battaglia che quella delle mie parole secrete.

Mi restò fitta nella memoria la correggibile direzione della bella Tonina, persona del volgo, e che aveva cagionato un tanto pericolo.

Sono innumerabili nel mondo i disordini di specie varia, e tutti rovinosi, della gioventú e delle famiglie, che non hanno altra origine che quella delle infinite Tonine. Per essere disordini rovinosi non v’è mestiere che vi sieno tromboni. Le armi, tra palesi e secrete, sono una selva d’armi.

Gli amori del signor Simeone C*** con quella corsara di Venere erano giá evaporati ed estinti, come suol avvenire di tutti quegli affetti i quali non hanno altra base che quella del senso, della brutalitá, della seduzione mascolina, e dell’insidia, del capriccio, dell’ambizione e dell’avarizia muliebre. Al bel sembiante della Tonina non mancavano amanti, e l’animo suo, differente dal volto, teneva deste le lingue cagionando molti accidenti e innalzandole molti trofei commiserabili.

Non mi sembra spoglio di tratti faceti l’avvenimento ch’io sono infraddue di narrare, temendo di dar della noia a’ lettori. Risolvo di narrarlo pontualmente, colla brama che non riesca noioso.