Memorie intorno la famiglia de' Signori di Tono/Dignità sostenute dai Signori di Tono, ed azioni che resero molti di loro distinti nella società

Dignità sostenute dai Signori di Tono, ed azioni che resero molti di loro distinti nella società

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Dignità sostenute dai Signori di Tono, ed azioni che resero molti di loro distinti nella società
Come i Signori di Tono crebbero in possedimenti e potenza Linee, ossia diramazioni della Casa di Tono

[p. 43 modifica]Dignità sostenute dai signori di Tono, ed azioni che resero molti di loro distinti nella società.


N
e’ secoli in cui non si usavano i cognomi, è certa prova che un uomo era di nobile casato se trovasi ch’ei fu più volte presente a solenni atti con altri uomini già d’altronde cogniti come nobili, e se conosciuti nobiluomini intervennero a qualche atto che riguardava lui e la sua famiglia.

In molte carte pubblicate dal P. Bonelli e in altre ancora che erano nell’archivio di Trento, e sono in quelli de’ conti Thunn, si leggono i nomi di molti signori, detti ora di Tono, ora di Tuno, ora di Tun, che furono [p. 44 modifica]testimonj, con altri illustri personaggi, in negozj di alta importanza; e in affari di gran rilievo risguardanti i di Tono, si legge essere stati presenti nobili Signori d’altre famiglie ne’ secoli duodecimo e decimoterzo. È dunque fuor di dubbio che, come antichissima è la Casa di Tono, così molto antica è la sua nobiltà.

Della qual cosa è anche prova non dubbia l’esser eglino stati feudatarj de’ Vescovi Principi di Trento, e forse già prima dei Re d’Italia, chè il nostro paese fu sempre provincia dell’italico regno sino al 1027, epoca in cui fu posto sotto la dominazione de’ Vescovi, e i di Tono erano già in quel tempo, come sopra notammo, famiglia illustre non meno che le più famose della tridentina provincia. Ognuno sa che i benefizj laicali e i feudi si davano ad uomini che si erano distinti per servigi prestati alla Patria, alla Chiesa, ai Sovrani.

L’amicizia de’ nobili e la considerazione acquistatasi presso i principi sollevarono poi in ogni tempo non pochi di Tono ad onorevoli uffizj e a dignità luminose. Avrà per avventura giovato loro talvolta anche la destrezza, ma questa medesima, quando non sia di nocumento ad alcuno, è un vero merito. Chi mai potrà lodare gl’indolenti ed incuranti? Quelli restarono inosservati, e non poterono fare bene stabile [p. 45 modifica] a nessuno, e n’ebbono anzi danno e vergogna.

Nel 1190 i di Tono erano designati in separato drappello a scortare fin a Roma Arrigo IV re dei Romani; onore che loro toccò insieme ad altri nobili, formanti altrettanti drappelli, ai signori di Lagare, di Pradalia, di Castellaro, di Caldonazzo, di Pergine, di Trilaco, di Toblino, di Sporo, di Enno, di Flavono, di Runo, ec. (Bon. e carta presso di me.)

Vedemmo in altro luogo che Olderico ed Enrico Tono di Visione prestarono, nel 1261, al fuggiasco e perseguitato vescovo Egnone considerabili somme di danaro. Ciò mostra ch’essi erano fedeli al loro principe, e che non temevano punto, com’è costume de’ vili che diconsi prudenti, il risentimento de’ nemici di lui, molti e potenti,·e da temersi assai, chè un Ezzelino da castel Romano, e un Mainardo conte di Tirolo erano, co’ loro addetti, uomini da mettere paura anche ai più coraggiosi.

A me sembra che meriti molta lode anche il coraggio mostrato dai di Tono nel darsi a fabbricare il sontuoso Belvesino. Spendere grandi somme in feste e pompe sarà, se così vuolsi, grandezza; ma edificare castelli o palazzi è premiare e incoraggire i valenti artisti, conservare il capitale, goderne con piacere finchè si [p. 46 modifica]vive, lasciar di che godere a’ suoi posteri, ed acquistare onore stabile a sè, alla famiglia e alla patria. Quelli che si accinsero all’opera furono Manfredino, Albertino e quattro figliuoli di Marsilio, cioè Brunato, Pietro, Adelperio ed Ottolino.

Frizio e Bernardo di Tono parteggiarono, con parecchi Nobili nauni, contro altri collegati, per li quali stavano Pietro di Tono e suo figlio Simone. Merita di essere letto, intorno a questa guerra de’ Nobili nauni, il curioso documento che pubblicò il Bonelli nel tomo ultimo delle Notizie, ec. Qual ne fosse il motivo non è detto, e conseguentemente ignoriamo per quali ragioni i di Tono s’inducessero a dare il grave scandalo di portare le armi gli uni contro gli altri. Certo è che la guerra fu accanita, perciocchè il vescovo Alberto, nella pace comandata, 1371, intimò pena di morte a chi avesse osato turbarla. I di Tono furono di quelli che sotto la medesima comminatoria dovettero presentarsi al Vescovo per giurare di adempiere i suoi comandi. Ei sono sottoscritti, appostovi il sigillo, all’atto solenne. Notabili sono le parole di Frizio: Io inchiudo, ei dice, in questa pace me, mio fratello Bernardo e tutti i miei servi, e, tranne Pietro e suo figlio, tutti della famiglia Tun di qualunque nome [p. 47 modifica]ed in qualunque luogo essi abitino, sia in villaggi od in castelli.

Guarimberto di Tono era nel 1376 Vicario generale in temporalibus per il suddetto vescovo Alberto nelle valli di Non e Sole; dignità, se io non erro, simile a quella che dopo ebbero fino ai nostri tempi Nobiluomini nauni col titolo di Capitani delle Valli. Pare però che i Vicarj avessero, da parte del Principe, autorità più ampia, laddove i Capitani erano piuttosto capi del Magistrato delle Valli, che dovevano operare a norma della Carta de’ privilegi alle Valli accordati.

Non molto dopo avvenne che i Nauni sollevaronsi contro i ministri del vescovo principe Giorgio di Liechtenstein, che sopra dicemmo avere disgustati i cittadini di Trento. Aveva egli data, nel 1401, investitura ai di Tono del castello Santippolito presso Mechel, il quale era prima, con i feudi ad esso spettanti, posseduto dal sopra citato Antonio Poltuero, come rilevasi dalla rinnovazione d’investitura fatta ai Tono dal vescovo principe Alberti. I Nauni distrussero, nel 1407, il detto castello ed altri ancora, ed atterrarono e spogliarono le case vescovili, e malmenarono quelli che vi abitavano ministri malvagi, com’è provato dalla Carta di privilegi dal medesimo Giorgio accordati ai [p. 48 modifica]Nauni subito dopo quella terribile sollevazione, cagionata dalla crudeltà de’ ministri ed esattori, che il giusto Vescovo punì esemplarmente. I di Tono erano però a quel tempo in molto credito non solo presso il Vescovo, ma ben anco presso il popolo. Prova non meno certa che luminosa ne è che, essendo insorte quistioni gravi tra il detto vescovo Giorgio e Federico d’Austria conte del Tirolo, il Preside del Concilio che tenevasi allora nella città di Costanza scrisse, in nome di quella numerosa cattolica assemblea, a parecchi Nobili e Sindici della Naunia acciocchè vedessero di mettere pace tra i due Principi che davano il guasto alla povera Chiesa tridentina, e tra quelli cui il Concilio facea ciò scrivere, son nominati Erasmo e Simone di Tono. Questo medesimo Erasmo era, nel 1407, in Bolzano coi Deputati nauni per ottenere dal Vescovo i detti privilegi. (V. la stessa Carta de’ privilegi, Bonelli ed altri.)

Il menzionato Erasmo fondò, per comodità ed utile spirituale de’ montanari di Faogna, un Benefizio nella loro chiesa. Possedeva esso in Faogna molto spazio di terreno, e pare abbia voluto che ivi sia un sacerdote per li proprj coltivatori, che forse in quel tempo formavano il maggior numero.

[p. 49 modifica] Michele di Tono era l’anno 1442 giudice e vicario vescovile in temporalibus nella Naunia. In quel torno di tempo Simone di Tono, figlio di Giorgio e fratello di Filippino fu benefiziato di San Vigilio in Vigo, poi parroco di Tassullo, e finalmente canonico in Trento. (Bon.)

Il vescovo principe Giorgio II dovendo nel 1462 partirsi da Trento, lasciò amministratori plenipotenziarj del temporale, che è quanto dire del Principato, con altri valentuomini, Giovanni e Sigismondo di Tuno; il quale Sigismondo era stato prima Capitano vescovile in Stenico. (Bon. Monum.)

Simone e Baldassare, figli di Sigismondo, sonosi segnalati per religiosità. Il primo fece edificare la cappella di castello Braghiero, e fondò un Benefizio nella parrocchiale di Tajo. Il secondo eresse una cappella nella chiesa de’ Padri Agostiniani in Trento per adempiere un voto fatto in Palestina, dove fu cavaliere del Santo Sepolcro. Vissero sul finire del secolo decimoquinto. (Mem. di Fam.)

Cristoforo e Bernardino emulando la pietà del loro padre Baldassare, aumentarono con donazioni le rendite del santuario di San Romedio, celebre, nella Naunia, in guisa che vi potesse abitare tutto l’anno un sacerdote, occupato nel culto divino, e nel porgere [p. 50 modifica]spirituali conforti ai pellegrini. Il papa Leone X ne li gratificò lodandoli con una Bolla, che si conserva, e diede loro il privilegio di nominare il Priore, privilegio confermato ai di Tono dal vescovo di Trento e cardinale Bernardo Clesio nel 1515. Il detto Cristoforo fu Capitano in Trento, e prestò ajuto e giovò molto al principe Bernardo in occasione della pericolosissima guerra de’ Rustici, sollevati, ad esempio degli Anabattisti di Germania, contro gli aristocrati e ministri del Principe, dai quali si dicevano oppressi. (Bon. e Arch. di Castelthunn.)

Dorotea, figlia di Antonio III, meritò gli elogi del suo consorte Andrea a Burgis, nobile cremonese; il quale su la di lei tomba, ch’era nella chiesa di San Marco in Trento, fece incidere anche i seguenti distici, ne’ quali essa beata in cielo consola il desolato:

Quid gemis, heu, tanto felicia funera luctu?
Turbantur lachrymis gaudia nostra tuis.
Parce, precor, tristes quaestus effundere. Vixi;
Non erat in fatis longior hora meis.
Immatura perii, sed tu diuturnior annos
Vive meos, Conjux optime, vive tuos.

Ella morì nel 1520, trentesimo di sua età. La lapida, essendo stata soppressa la chiesa, fu [p. 51 modifica]con saggio consiglio trasportata e conservasi nel palazzo Thunn Brughiero in Trento.

Sigismondo, fratello della pudica, prudente e bella Dorotea, è noto al mondo cristiano colto come incaricato cesareo al Concilio di Trento. Incominciò la carriera sua luminosa, giovinetto, alla Corte di Massimiliano I imperatore. Avuto il difficile carico di trattare la pace colla repubblica di Venezia, con cui l’Austria era in guerra, seppe in ciò adoperare, d’accordo co’ suoi amici, con tale prudenza e destrerità, che potè trarre a fine un negozio di tanta importanza con soddisfazione delle Potenze interessate. Ferdinando re dei Romani, poi imperatore, nelle Epistole che gli scriveva onoravalo col nome di amico. Visse in stretta amistà coi nauni Bernardo Clesio, Cristoforo Madruzzo de Nanno, ambi cardinali, ed Antonio Quetta, giurisprudente e uomo d’affari molto rinomato; e zelò con essi non solo per la conclusione della pace suddetta, ma sì anco per la religione, in que’ tempi combattuta, e per la patria da partiti agitata, cui questi valentuomini procurarono, con saggi regolamenti e prudenti riforme, quell’ordine di giustizia che il popolo domandava. La Casa di Tono dee in parte a’ meriti di lui la fortuna che fecero dopo alle Corti d’Austria molti de’ suoi. Esso [p. 52 modifica]le giovò anche facendo notabili acquisti con denari che ritrasse da una saggia direzione de’ lavori alle miniere di ferro nella Valdisole, proprietà della sua famiglia. Queste notizie, e più altre che ommetto per amore di brevità, si hanno da molte carte dell’archivio di Castelthunn.

Il fratello di lui Giorgio VI fu insignito di cariche onorifiche da Carlo V, da Ferdinando I, da Massimiliano II e da Sigismondo conte del Tirolo.

Al vedere come questi due figli di Antonio III furono cari ai Principi austriaci, mi viene a mente un pensiero, che non posso non comunicare ai lettori. Leggo in un’epistola di Luigi da Porto, vicentino: Diviso per li nemici il loro esercito, e mandatone col capitan Bagliardo e con M. Antonio della Val di Non gran gente nel Friuli, fu di subito di grandissima paura ripiena tutta la patria, ec. (Vid. Notiz. intorno alla vita e agli scritti di Luigi da Porto. Padova 1830.) L’epistola è scritta l’anno 1512, e vi si parla della guerra della Lega contro i Veneziani. Io trovo tra i Nauni illustri di quel tempo nominati due soli col nome di Antonio, il Quetta e il Tono, che visse fino al 1522. Non è probabile che il giurisprudente e scrittore Quetta fosse anche guerriero. Non trovai [p. 53 modifica]scritto che tale fosse il di Tono: ma pure il nome di potente che gli è dato nelle Memorie di famiglia, e i favori accordati a’ suoi figliuoli dagli Austriaci, m’inducono a credere che l’Antonio della Val di Non menzionato dal da Porto sia stato Antonio III di Tono. Forse io m’inganno; ma spero che non si vorrà darmi biasimo se procurai d’indovinare chi sia stato quel Naune che col Bagliardo fece grandissima paura ai Veneziani.

Ildebrando, figlio di Gaspare, fu capitano al servizio di Carlo V, e morì in battaglia il dì che presso a Pavia restò prigione Francesco I re dei Francesi. Iselin, all’artic. Thunn, associa ad Ildebrando un altro Tono, appellato Rodolfo, e dice che avevano ambidue il rango di colonnello.

Caterina, figlia di Giacopo, e cugina d’Ildebrando, fu per anni cinquantuno badessa di Sonnenburgo, monastero in Pusteria, e si acquistò lode di saggezza e prudenza. Sonnenburgo fu dotato dai nauni Conti di Flavono, e per ciò il Vescovo di Trento ne diede, l’anno 1214, l’avvocazia ad Odorico e Gabriele di Flavono. (Mem. di F. e Bon.)

Simone di Tono, canonico di Salisburgo e Decano di Trento, ristaurò, 1570, la parrocchiale di Rendena. Questi fu, dall’anno 1531 [p. 54 modifica]al 1566, parroco di Malè. (Bon. e registri di Malè.)

Giovanni Arbogasto, ultimo della linea tuniana antica di Caldesio, fondò un Benefizio nella chiesa parrocchiale di Malè, ove fece anca erigere un altare. (M. di F. e di Malè.)

La figlia di lui Barbara sposò Giansigismondo conte Thunn in Boemia, e fu madre del famoso cardinale Guidobaldo. Maddalena, altra figlia, maritata in un Dalla Torre di Verona, fondò un Benefizio in Croviana. La terza, Anna Barbara, fu la delizia e lo splendore di castel Braghiero, dove si maritò ad Alfonso Francesco. (M. di F.)

Ercole, figlio di Luca, era consigliere intimo di Rodolfo II e Capitano di Trento. Fu da altri Principi austriaci destinato a condurre loro figlie in Ispagna al Re, ed in Mantova al Duca. (M. di F.)

Sigismondo Alfonso, figlio di Volfango Teodorico, fu Vescovo di Bressanone, dove, perchè favoriva troppo gl’Italiani, era poco amato, ed ebbe quistioni molte col Capitolo. Non vi è, per chi governa, modo più sicuro di farsi odiare, che, negletti i paesani, affidare le cariche ai forestieri. (V. Sinnacher Beytr. 8 Band.) Venuta a vacare la sede vescovile di Trento, egli e suo cugino Guidobaldo, ch’era già Vescovo [p. 55 modifica]di Ratisbona ed Arcivescovo di Salisburgo, diedero al mondo motivo di biasimarli col gareggiare lungamente per avere l’uno un secondo e l’altro un terzo principato ecclesiastico. La morte di Guidobaldo lasciò la vittoria a Sigismondo Alfonso, il quale, con licenza dell’indulgente Corte romana, si tenne i due Vescovati. I Trentini furono molto contenti della sua condotta. Ei tentò di riaccendere in Trento l’Accademia degli Accesi, istituita da Carlo Madruzzo, vescovo e cardinale. Al suo tempo si è scoperta la fonte di Acidole in Rabbi, e un dott. Passi da Pressano scrisse intorno quella un libro, che a lui dedicò nel 1671. Leggendosi nel citato Sinnacher una lettera di Sigismondo Alfonso datata: Nella nostra valle di Rabbi 29 luglio 1671, possiamo credere ch’egli siasi portato colà a fine d’informarsi da sè, e di promuovere l’uso di quelle acque col suo esempio. Morì l’anno 1677. La fonte salutare di Rabbi è proprietà della Casa di Thunn, che ne investì famiglie rabbiesi col solo obbligo di presentare ad ogni signore di Thunn che ivi compare una tazza d’acidole o un uovo.

Rodolfo Giuseppe, figlio di Cristoforo Riccardo, fu Vescovo di Sekau, Secovia; ed è scritto di lui che abbellì con ristaurazioni le residenze del suo Vescovado. Nel Dizionario istorico geografico [p. 56 modifica] d’Iselin è detto che questi fu della linea boema. (Art. Thunn.) Ma Cristoforo Riccardo era di Castelthunn.

Un altro Vescovo Principe della linea di Castelthunn fu Dominico Antonio, figlio di Gian Vigilio. Eletto dal Capitolo di Trento l’anno 1730, cominciò il suo reggimento con soddisfazione universale. Le trentine istorie dicono però che la fine del suo governo mal corrispose agli ottimi principj. Di ciò tacque il frate Bonelli, che adottò la massima di dire de’ nostri Vescovi solo il bene, massima contraria all’esempio che ci diedero gli scrittori della Sacra Bibbia; ma parlò, forse più del dovere, il Barbacovi.

Cristoforo Simone, quegli che fece in Boemia un ricco stabilimento a suo fratello Giancipriano, donò ai Padri della Compagnia di Gesù sessanta mila fiorini per la fondazione di uno de’ loro collegi, che crediamo essere quello di Praga, eretto appunto al suo tempo.

Giancipriano aveva, prima di partirsi dalla Naunia, fatto edificare il castello, o piuttosto palazzo Vigna, non lungi da Castelfondo, palazzo che, come abbiam detto, non è più abitabile. Vigna era anticamente castello, e se ne fa menzione all’anno 1272, tempo in cui il conte di Tirolo Mainardo II perseguitava nella Naunia il vescovo Enrico, successore di Egnone. (Bon. e M. di F.)

[p. 57 modifica] Un nipote di questi due, Guidobaldo, nato in Boemia, il cui padre fu Giansigismondo benchè fosse eccessivamente ambizioso, meritossi amore da’ coetanei, e stima dai posteri. Ottenne molti canonicati, fu Vescovo di Ratisbona, Arcivescovo di Salisburgo e Cardinale di Santa Chiesa. Abbiamo già detto che voleva pur essere Vescovo Principe di Trento. Ei possedeva però i talenti che degno il rendevano delle cariche ambite, ed ebbe l’efficace volontà di adempiere i doveri che vi sono annessi. In molti libri, e segnatamente negli Annali di Salisburgo (taccio dei panegiristi Federici e Friedenfels), si parla di lui, encomiandolo qual ottimo Vescovo e qual Principe degno di avere imitatori. I benefizj da esso fatti alle Chiese e ai Principati che amministrò, sono molti e grandi. Salisburgo non potrà dimenticare Guidobaldo di Thunn finchè non saranno, per istraordinarie rivoluzioni, spariti i monumenti d’ogni maniera che parlano della sua beneficenza. Egli istituì, per la sua famiglia, una primogenitura, che chiamano il gran maggiorato di Cloesterle, alla quale, in estinzione delle linee prime chiamate, hanno diritto le altre tutte. Finì di vivere nel 1668.

Non dissimile da Guidobaldo, anzi più virtuoso, mostrossi il fratello di lui Giovanni Ernesto. Fu prima Vescovo Principe di Secovia, e [p. 58 modifica]poi arcivescovo di Salisburgo, dove il suo nome è tuttora benedetto per le utili fabbriche e per gl’istituti di cui egli era saggio e generoso fondatore. Ei ricordossi anche della patria dei suoi, cioè del Trentino, facendo ristaurare e abbellire in Bolgiano la cappella del benefizio Thunn, e donando, l’anno 1704, al Santuario di San Romedio nella Naunia un capitale di tre mila fiorini. Tra molti nobili atti di Ernesto, mi piace di rammemorare il seguente: Nel 1703 trattò qual ospite Eugenio di Savoia, che veniva in Italia a comandar gl’Imperiali. Alla sua partenza il pregò di accettare qualche dono, ma ricusando Eugenio ogni sorta di presenti, Ernesto gli regalò una borsa con entro quattromila zecchini per farne largizione a’ suoi soldati, la quale il Duce a questo patto accettò. Con questi soldati così incoraggiti, Eugenio, siccome dicono le istorie, per difficili vie, passando per Val Fredda, venne improvviso nelle vicinanze di Trento, e battè e discacciò i Francesi.

Un altro figliuolo di Giansigismondo, Venceslao Gioseffo, meritò di essere eletto vescovo principe di Gurg, e poi di Passavia. Quivi aumentò esso l’argenteria che serve ad uso dei Vescovi, e donò ai cittadini grandi somme per ristorare i danni cagionati da un incendio.

Francesco Sigismondo, fratello de’ tre nominati, [p. 59 modifica]fu cavaliere di Malta, commendatore, priore, capitan generale delle squadre papali contro i Turchi, consigliere di Stato dell’imperatore Leopoldo, Inviato al Papa, al re d’Inghilterra, al re di Polonia Sobieschi, ec. Finì sua vita in Livorno venendo da Malta.

Giorgio Sigismondo di Bragherio, che da tre mogli ebbe ventisei figli e figliuole, accompagnò, essendo giovine, il fratello Cristoforo Simone nelle carovane al servizio dell’Ordine di Malta. Beneficò la chiesa detta della Morte in Trento, e i confratelli che in quella adunavansi decretarono perciò onori da farsi ai conti di Thunn. Fece anche erigere, nella parrocchiale di Tajo, un altare ad uso del Benefiziato Thunn.

Maria Elena Giuditta, figlia di Carlo Cipriano della linea di Croviana, divenuta vedova di Federico Antonio di Morenberg, che non lasciò figliuoli, istituì un Benefizio nella parrocchiale di Sarnonico. I signori di Morenberg furono, in mia opinione, i de Moris. Nel 1510 era Massaro nella Naunia pel Vescovo un Nicola de Moris da Sarnonico, e fu arbitro, con Riccardino di Tavono e Pancrazio di Bellasio, nella causa dei Nobili detti rurali e delle Pievi. (V. Sentenza Compagnazzi.)

Un fratello di lei, Giambattista, fu messo a morte in Perugia, dov’era studente, per avere [p. 60 modifica]voluto separare due forsennati che si battevano di spada. L’uccisore nomavasi Orazio Sassi.

Un altro fratello, Guidobaldo Vigilio, canonico di più chiese, eresse un Benefizio nella cattedrale di Passavia. Passò a miglior vita l’anno 1687.

Singolari furono le avventure d’un altro figlio di Carlo Cipriano, chiamato Ferdinando Carlo. Aveva egli sposata una contessa d’Arsio di nome Giuditta, ma appena celebrate le nozze, disparve, abbandonando la sposa, e andossene in Francia, dove si faceva chiamare Montroyal (traduzione di Königsberg, castello allora posseduto, come altrove notammo, dai di Tono), e servì qual militare. Sposò colà, vivente ancora la Giuditta, una nobile Filibert, dalla quale ebbe figliuoli, che legittimò, rinnovando l’atto del matrimonio quando ebbe saputo che la Arsio era morta. I figli di lui vennero poscia nel Trentino a domandare la eredità del padre, di cui erano in possesso i loro parenti. Si accese lite rumorosa, per la quale stampò un consulto il famoso Giannicolò Cristani di Rallo, ed uno la Università di Salisburgo, i quali sono in mie mani. La sentenza, stampata in Trento, di cui è custodito un esemplare dal conte Matteo Thunn, uscì favorevole ai figli di Ferdinando. S’interessarono molto in questa causa le Corti d’Austria e di Francia, dove regnava Luigi XIV.

[p. 61 modifica] Giorgio Giacopo, figlio pur esso di Carlo Cipriano, fatto canonico di Salisburgo e di Passavia, e divenuto Decano di Salisburgo, indi presidente ivi del Consiglio, resistette alle istanze di suo cugino Ernesto, Arcivescovo, che gli offriva un Vescovado, e gli disse, per finirla: Ho conti abbastanza da rendere a Dio per la mia persona senza caricarmi di quelli d’altrui.

Giovanni Arbogasto, figlio di Giorgio Sigismondo, fu seconda causa della conversione del Langravio di Assia alla Fede cattolica, come asserì lo stesso principe. In castello Braghiero si conservano molte lettere che questo Thunn riceveva da’ Cardinali, dall’Imperatore, ec.

Cristoforo Antonio, suo fratello, militò sotto le bandiere di Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V, e diede prove di valore al Reno, in Ispagna, in Portogallo e nelle Fiandre. Il suo grado fu di colonnello.

Anna Brigida, sorella di questi due, monaca in Rovereto, fu per le sue virtù prescelta ad essere ordinatrice del convento che era in Borgo di Valsugana.

Giangiacopo, altro fratello de’ qui nominati, essendo cavaliere dell’Ordine Teutonico, e commendatore in Tirolo, spese intorno a centomila fiorini in riparazioni e miglioramenti ne’ fondi alla commenda spettanti.

[p. 62 modifica] Giacopo Massimiliano, della linea novella di Caldesio, da canonico di Salisburgo e di Passavia, divenne vescovo di Gurg l’anno 1709. Comperò in distanza di Gurg un bel fondo, e vi costruì una residenza vescovile.

Alfonso Francesco di Braghiero, marito di quell’Anna Barbara che sopra nominammo, ristaurò il castello Telvana presso Civezzano, e fece doni alla parrocchiale del medesimo luogo. Cessò di vivere nel 1688 in Padova.

Luigi Ernesto suo figliuolo, cavaliere del Santo Sepolcro e consigliere di Stato di Leopoldo I, ec., essendo coll’ambasceria austriaca in Costantinopoli, visitò Terra Santa, e ritornato in quella città, ricevette ordini e denari da Ernesto di Thunn, arcivescovo di Salisburgo, onde riscattare tutti gli schiavi boemi, salisburghesi, tirolesi e trentini colà detenuti. Ebbe infatti l’invidiabile sorte di potere a trecento e cinquanta infelici comperare la libertà. Morì nel 1705 tornando di Spagna, dov’era ito con ordini della Corte; e ’l suo corpo, fatti su la nave i funerali, fu, secondo il costume marinaresco, gettato in mare.

Giuseppe Maria, figlio di Gioseffo Giovanni Antonio di Braghiero, essendo vescovo Gurgense, prestò servigi a Maria Teresa d’Austria. In Roma, dov’era suo ambasciatore, mantenne corrispondenza [p. 63 modifica] con i fuorusciti napoletani, i quali rappresentavano ad esso, e per lui alla regina, che la parte austriaca era nel regno potentissima, e che solo che le bandiere coll’aquila comparissero su le rive del Tronto, vi sorgerebbe un rivolgimento totale di cose. Per la qual cosa Maria Teresa si è risoluta del tutto alla guerra! (V. Botta, Storia d’Italia, lib. 43.) Divenuto il nostro Thunn vescovo principe di Passavia, zelò assai per l’unità della Fede, e purità della morale cattolica. Diede anche alle stampe, 1762, i quattro Evangeli e gli Atti apostolici, da sè tradotti in tedesco, premettendo al volume, in quarto, una amorosa circolare ai Fedeli, e schiarendo con note opportune i passi che dai meno istrutti difficilmente o malamente s’intendono.

Ho tratte molte di queste memorie da un libro del conte Carlo Vittorio di Thunn Croviana, che fu nel farne raccolta molto diligente, e che in ciò che narra della Casa di Tono, dal duodecimo secolo fino al suo tempo, essendogli stato facile di averne le prove negli archivj delle famiglie tuniane, merita intera fede. I principali personaggi da noi nominati sono d’altronde noti per le istorie de’ paesi dove s’illustrarono, e i monumenti della loro generosità, tuttora sussistenti, parlano in loro onore.

Di più potrei dire, se nominar volessi altri [p. 64 modifica]benemeriti personaggi di questa famiglia, e noverare altre pie fondazioni, altri legati, altri doni fatti alle chiese, ec., e parlare delle fabbriche ad uso pubblico e privato, e di altre opere fatte dai signori di Tono qui nel Trentino ed in Boemia, ec., e far menzione delle dignità ereditarie, e dei titoli ed onori conferiti a non pochi di loro; ma so che volendo esporre molto molto si espone troppo, imperciocchè non tutto quello che si è fatto merita di essere scritto. In ispecie ove trattisi d’ereditarie cariche di servizio a grandi o piccole Corti, di titoli ad honorem, di segni distintivi, come chiavi, stelle, croci, ec., le sono cose queste così comuni a tutte le antiche famiglie illustri, che gli stessi Nobili stimano superfluo e nojoso il farne enumerazione. Ci son belle di quelli che per cariche où il n’y avait rien a fàire, ottenute da loro antenati, portano alta la testa, e sans avoir rien fait credono di essere un non so che di grande e di ammirabile. Ma i giudiziosi e modesti, sapendo che la gloria viene dal merito, e questo dalle buone ed utili azioni personali, sono solleciti di mantenere ed accrescere il lustro delle loro famiglie, coll’imitare, operando, le virtù de’ loro maggiori. I Thunn ebbero molti dei detti distintivi d’onore, non mancarono loro nemmen Tosonisti; ma possono gloriarsi per di [p. 65 modifica]più, ed è questo di più che dee apprezzarsi. Otto dei nominati e quattro altri de’ quali ci rimane a parlare, furono Vescovi e Sovrani, e, quello ch’è molto più ancora, ebbero encomio di uomini virtuosi.

Pietro Vigilio, figlio di Francesco Agostino di Castelthunn, governò la Chiesa e ’l Principato di Trento per anni ventiquattro. Ei diede al popolo trentino un Codice giudiziario, composto dal celebre Vigilio Barbacovi, Codice la cui utilità fu sentita da tutti quelli che non amavano di prolungare le liti, e con esse accrescere la immoralità della gente. Negli ultimi anni era molto sofferente per infermità, e gli convenne avere, per disimpegnare gli obblighi di Vescovo, un Suffraganeo. Nel 1796 avendo i Francesi, condotti dal generale Bonaparte, invaso il Trentino, credette di dover fuggirsene, malfermo in salute. Si vide poi privato della temporale autorità da un Consiglio amministrativo, stabilito in Trento dagli Austriaci; e non valendo le protestazioni, le istanze, le preghiere fatte e ripetute da lui e dal suo Capitolo, si ritirò nel castello Thunn, dove nel 1800 morì di lunga e penosa malattia, aggravata da accoramento. Ho udito dire a molti che, essendo egli buono e dotato di molto ingegno e ricco di cognizioni, [p. 66 modifica]avria potuto fare un governo migliore se avesse avuto sempre il coraggio di comandare a tutti. Di ciò fece lagnanze con risentite parole anche l’Anonimo il quale, sotto il titolo di Memorie intorno alla vita e agli studi di Francesco Vigilio Barbacovi, pubblicò di questo celebre letterato un’Apologia. Costui avrebbe voluto che Pier Vigilio si fosse lasciato dirigere e dominare dal solo suo Cancelliere aulico, ch’era lo stesso Barbacovi, e questo avesse accarezzato sopra tutti, e premiato largamente. Ma egli si guardò bene dal confessare che Barbacovi era un cotal uomo che stimava poco gli altri, e molto sè stesso e le opere sue e i suoi servigi. E se il Vescovo avesse fatto il costui desiderio, non sarebb’egli caduto nel fallo medesimo che gli si vuole rimproverare?

Tomaso, fratello di Piervigilio, governò la Chiesa di Passavia, qual Vescovo, per soli undici mesi. La sua morte, accaduta nel 1797, fu per quel paese una sventura. Essendo le sue massime, al dire di tutti quelli che davvicino il conobbero, conformi appieno al vero spirito del Cristianesimo, avrebbe dato ai Regnanti, come il diede qual canonico e Decano agli ecclesiastici, un modello degno d’imitazione. Intorno ai talenti e alle virtù del principe Tomaso merita di essere letta l’orazione funebre che in [p. 67 modifica]buon latino pubblicò l’egregio nostro Tecini Francesco da Sarnonico, ora Decano in Pergine e canonico onorario di Trento. Veggansi anche le sopra citate Memorie intorno a Barbacovi.

Emmanuele Maria, figlio di Gianvigilio di Brughiero, succedette, nella dignità di Vescovo Principe di Trento, a Pietro Vigilio e governò in tempi difficilissimi. Non potendo più reggere il Principato (che per i trattati di Luneville cadde in potere dell’Austria, e che l’imperatore Francesco nel febbrajo del 1803 fece clementissimamente noto di avere occupato e pienamente e immediatamente unito alla fidelissima provincia tirolese), ebbe a soffrire, anche qual Vescovo, molte e gravi tribolazioni, e fin l’esilio, per le novità che i varj Governi, cui dovette ubbidire, volevano introdurre nella Chiesa. Portossi nel 1811 all’adunanza de’ Vescovi in Parigi, convocata da Napoleone, e sostenne cogli altri in faccia a quel Potente cattoliche verità che da quello e da’ suoi consiglieri male si conoscevano, o volevansi oscurare. Spese molto nel migliorare e ristaurare fondi e case del Vescovato; e lasciò de’ proventi ecclesiastici usufruttuarj i Vescovi suoi successori, istituendo suo nipote, il conte Guidobaldo, erede soltanto del proprio patrimonio. Si legga la bella orazione [p. 68 modifica]che al suo funerale recitò il dotto ed eloquente professore Benvenuti da Trento.

Leopoldo, della linea di Boemia, fu Vescovo Principe di Passavia, e soffrì, come i tre altri qui menzionati, gl’incomodi e travagli che portarono seco le guerre degli ultimi tempi, nonchè la perdita de’ principeschi diritti. Ma di lui e di altri valentuomini Thunn di Boemia narreranno le azioni quelli i quali potranno avere le notizie che mancano a me. L’opuscolo che il Conte Leone pubblicò l’anno 1836 sulla necessità nella morale riforma delle carceri, ne dà certissima prova che fra quegli Illustri ci è di continuo chi ama l’utile coltura, e manifesta con fatti di nutrire nobili e cristiani sentimenti.

Lascio a chi più tardi scriverà della Casa di Tono il fare memoria di ciò che parecchi Signori delle due linee di Braghiero e Castelthunn operarono a vantaggio di loro stessi e del paese in su ’l finire del secolo passato e nel presente, e dico solamente che i Conti di Thunn furono tra i primi in questa nostra regione a sentire e a secondare l’impulso al movimento che lo spirito buono del secolo diede a tutta Europa. Le grandi mutazioni cagionate dai rivolgimenti politici di presso a cinquant’anni, privarono, come altri, ancora loro di grandi vantaggi. Pensaron eglino dunque a procurarsene [p. 69 modifica]un compenso, facendo al tempo stesso benefizj alla Patria. E ciò valse e vale ben più che gli omei dolorosi e i piagnistei inutili di chi vorrebbe pur godere senza mai operare.