Lettere (Sarpi)/Vol. I/23

XXIII. — Al medesimo

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XXIII. — Al medesimo
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XXIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Nell’istesso giorno ho ricevuto due di V. S.: una delli 6, per mano del signor Assellineau; [p. 70 modifica]l’altra delli 17, nel piego del signor ambasciatore Foscarini.

Io nelli mesi passati ho scritto a lei più volte; ma per non esser nelle mie cosa particolare per la qual’aspettassi risposta, non ardisco dire che alcuna mia sia capitata male.

Non son restato di scriverli per negligenza, ma più tosto per difetto di materia; senza la quale io son tanto sterile di parole, che alcune volte vengo sforzato a mancare delli debiti uffici verso li amici e padroni. E al presente mi duole di esser privato del piacere ch’io sentirei scrivendoli secondo il solito di mia mano. Si è risentito l’osso sotto la ferita ch’io ebbi nella faccia, che mi dà assai dolore, e tira in consenso l’occhio, sì che non posso affissarlo.

La considerazione tenuta da V. S. col signor ambasciatore, e il discorso avuto meco nell’ultima sua, è molto fondato, e una tal congiunzione porterebbe senza alcun dubbio riputazione e sicurezza. Ma sì come vedo il discorso fondato, così tengo l’esecuzione per impossibile; atteso che si tiene qua per massima indubitabile, che convenga guardarsi da tutte quelle azioni che potessero dar sospetto a chi è più potente. Noi siamo risoluti più tosto di morire repentinamente, che di esporci a pericoli d’una infirmità.

Passa anco opinione in questi paesi, che la pace delli Stati sarà fatta certamente, e che o prima o dopo resteranno sopraffatti dalle arti spagnuole; sì che non averanno dominio che in apparenza; anzi, che loro forze saranno per servir non contra i suoi nemici, ma contro li suoi vicini. La quale io non tengo per molto improbabile, vedendo già qualche [p. 71 modifica]mala semenza gettata in quest’anno ormai pullulare; e siccome stimo la forza di quei popoli come merita, così riputo il governo pieno d’imperfezioni.

Al principio dei moti austriaci fu da molti sospettato che potesse essere secreta intelligenza tra essi per oppressione di qualche altro. Dopo fu creduto che dovesse tornar in un monacato dell’imperatore. Appresso parve che fusse stimato una congiura di tutta la casa, e di qualche altro principe forastiero, contra la maestà imperiale. Adesso, venendo avviso certo che le cose sono composte, io non so dir altro, se non che noi siamo in un secolo così pacifico, che nissuna causa ha sufficiente di far rompere la guerra: là onde sapeva bene il papa, con che fondamento diceva non esserci cosa che perdere.

Della grande armata ordinata in Spagna e a Napoli2 si parla variamente, volendo alcuni che sia per far impresa in Albania, altri in Africa, altri in Grecia. È certo che porta arme per vinti milia persone, e instromenti per fabricar fortezze. Si può credere, col fondamento suddetto dell’immobilità della pace, che anco questo tanto apparato terminerà in niente.

V. S. mi esorta ad adoperarmi, per la grande opinione concetta di me nelle occasioni passate, le quali le fanno stimare una dramma scarsa per un [p. 72 modifica]talento. Ma la pregherò di considerare, che in considerazione molte cose sono da noi chiamate buone, che nell’esecuzione sono cattive, mancandoci l’opportunità, la quale sola produce la vera bontà nell’azioni. Sarebbe molto bene l’adoperarsi in servizio di Dio senza nissun rispetto, se tutte le circonstanzie vi consentissero: ma questo fatto senza opportunità, non sarà degno di nome di bene; anzi potrebbe esser d’impedimento a quello che nei tempi futuri, fatto opportunamente, potesse partorir qualche buon effetto.

L’armonico celeste del Vieta, io vado credendo che sia una dottrina delli signi, nella quale so che quel gentiluomo valeva sopra modo: onde lo desidero con grande espettazione. E quando non eccedi la grandezza delli pacchetti soliti esser portati da’ corrieri, il signor ambasciatore mi farà la grazia di mandarlo: quando fusse troppo grande, si può mandar per qualunque via, poichè non averà impedimento. Ma per mandare altre sorte di libri, credo la via proposta da monsignor Dollot esser la migliore; purchè in Zurich, ovvero in Coira, o in qualche luogo di Valtellina ci fosse qualche persona che li tenesse fino all’occasione di portatore aspettato, che li portasse seco in Bergamo. V. S. non potrebbe credere l’esquisita diligenza che vien fatta da un anno in qua, acciò non venga in questa città alcun buon libro. Prima, vi sono spie in tutti li luoghi di dove possono partire; poi, in Inspruch e in Trento, si fanno cerche esquisite. Dal canto dei Grigioni le diligenze delle spie sono maggiori, e in ciascuna città di questo Stato viene usata una straordinaria diligenza. Io vado dubitando che [p. 73 modifica]a poco a poco perderemo quel principio di libertà che Dio ci ha aperta.

Ho sentito con gran dispiacere, di onde sia venuto che non abbiamo avuto compita l’opera del signor Casaubono; e con maggiore, ch’egli non sia stato riconosciuto: cosa che sino al presente ho creduto altrimente. Di questo io ne ho parlato con chi conveniva, e tengo che qualche resarcimento sarà fatto. Tra tanto, prego V. S. di far intendere con destra maniera a quel signore, che, come avviene in tutte le repubbliche, così qui vi sono le varie affezioni e interessi, e, per causa della libertà, anco l’ardire nelli ministri di eseguire li ordini pubblici come lor piace: per il che vogli attribuire il mancamento e inciviltà usata verso di lui alla sua vera causa.

Li voglio dir di nuovo, che un padre dell’ordine di san Domenico, chiamati in Francia Iacobiti, per nome Fra Tomaso Caraffa, questi mesi passati ha difeso in Roma cinquecento tesi dedicate al pontefice, della qualità che V. S. può giudicare. Ma nel principio ha posto un ritratto di esso pontefice in stampa di rame, con diverse imprese e motti della divina Scrittura, come in particolare questi: Inimici ejus terram lingent; Regnum ejus regnum omnium seculorum. Ma dalle parti pendono duoi trofei. Dalla destra, il trofeo ha legata una corona imperiale, e disotto due regie, e più basso due altre senza cimiero, e infine il corno del duce veneto, con molti scettri in diverse parti del trofeo: dalla parte sinistra, l’altro trofeo contiene li turbanti turchesco e persiano, e alcune altre berrette all’orientale, e nel fine il cappello del moscovita con scimitarre e altre insegne di quei principi, con [p. 74 modifica]una inscrizione sotto il ritratto, la quale contiene formalmente queste parole: Paulo V, Vice-Deo, Reipublicæ chiristianæ Monarchæ invictissimo, pontificiæ omnipotentiæ conservatori acerrimo. Il che ho voluto scriverli, credendo che debba sentir piacere, vedendo che si accumulano le grandezze della Chiesa. E con questo farò fine, pregando V. S. conservarmi l’istesso luogo nella sua grazia, e farmi degno delli suoi comandamenti.

Se il signor Bellot si ritrova in Parigi, prego V. S. farli li miei basciamani, e dirli che ho ricevuto la sua, e risposto per la stessa via. Il signor Malipiero li bacia la mano col padre Fulgenzio. L’inclusa è del signor Molino.

Di Venezia, 8 luglio 1608.




Note

  1. Edita: come sopra.
  2. Gli attentati della Spagna e della casa d’Austria contro la Repubblica veneta cominciarono (com’è noto) nel 1607, colla pubblicazione del famoso libro intitolato: Squittinio della libertà originaria di Venezia, composto dal marchese di Bedmar. A quella andarono via via seguendo le ostili e armate dimostrazioni di cui si fa cenno in queste lettere.