Lettera di Giovan Battista Adriani

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Lettera

DI M. GIOVAMBATISTA

DI M. MARCELLO ADRIANI

a M. Giorgio Vaſari;


Nella quale breuemente ſi racconta i nomi, e l’opere de’ piu eccellenti Artefici antichi in Pittura, in Bronzo & in Marmo, qui aggiunta, acciò non ci ſi deſideri coſa alcuna di quelle, che appartenghino alla intera notitia, e gloria di queſte nobiliſſime Arti.


O sono ſtato in dubbio M. Giorgio carißimo, ſe quello, di che voi, & il molto Reuerendo Don Vincenzo Borghini mi hauete più volte ricerco, ſi deuea metter in opera, o nò; cioè il raccorre, & breuemente raccontare coloro, che nella Pittura, & nella Scultura, & in arti ſimiglianti ne gli antichi tempi furono celebrati: de’ quali il numero è grandißimo; e à che tempo eßi fecero fiorire l’arti loro; e delle opere di quelli le piu honorate, & le più famoſe; coſa, che, s’io non m’inganno, ha in ſe del piaceuole aſſai, ma che più ſi conuerrebbe à coloro, iquali in cotali arti fuſſero eſercitati, o come pratichi ne poteſſero più propriamente ragionare. Imperoche egliè forza, che nel dettare una coſi fatta coſa, occorra bene ſpeſſo parlare di coſa, che altri non ſa coſi à pieno, hauendo maßimamente ciaſcuna arte coſe, e uocaboli ſpeziali, iquali non ſi ſanno e non s’intendano coſi apunto, ſe non da coloro, iquali ſono in eſſe ammaeſtrati. Ne ſolo queſta dubitanza, ma molte delle altre mi ſi faceuano incontro, le quali tutte ſi ſforzauano di leuarmi da cotale impreſa. alle quali ho meſſo incontro primieramente l’amore, che io meritamente ui porto, il quale mi coſtringe a far queſto, & ogni altra coſa, che ui ſia in piacere; & di poi quello di voi ſteſſo, inuerſo di me, il quale baſterebbe ſolo a uincere queſta, & ogn’altra difficultà, auiſando, che amandomi voi, come voi fate, non mi hareſte ricerco di coſa, che mi foſſe diſdiceuole. tale, che confidato nella affezione, e giudizio uoſtro mi ſono miſo à queſta opera, la quale, non ſarà però ne molto lunga, ne molto faticoſa, douendoſi per lo più raccontare, e breuemente, coſe dette da altri, che altramente nõ ſi poteua fare, trattandoſi di quello, che in tutto è fuori della memoria de’ uiui, e che gia tanti ſecoli ſono, è trappaſſato. Duolmi bene, che douendoſi ciò, come io mi auiſo aggiugnere al uoſtro coſi bello, coſi vario, coſi copioſo, e d’ogni parte [p. lviii modifica]compiuto libro non ſia tale, che egli poſſa arrecare alcuna orreuolezza. ma mi giouerà pure che postogli a lato moſtrerà meglio la bellezza di lui. percioche il uoſtro è tale, che, e per le coſe, che entro vi ſi trattono, e per la leggiadria, con la quale voi l’hauete ſcritto, e per le virtù dell’animo uoſtro, le quali chiare vi ſi ſcorgono, è forza che egli ſia ſempre pregiato, e vi moſtri a tutto il mondo intendente, gentile, e corteſe, virtu molto rade, e che poche uolte in un medeſimo animo ſi accolgono, e maßimamente d’artefice, doue l’inuidia piu che altroue ſuole mettere à fondo le ſue radici: della quale infermità il uoſtro libro vi moſtra interamẽte ſano, nel quale voi, non ſo ſe intendentemente piu, o vero piu corteſemente hauete honorate queſte arti, infra le manuali nobilißime, e piaceuolißime, & inſieme li maeſtri di quelle, tornando alla memoria de gli huomini con molta fatica, e lungo ſtudio, e ſpeſa di tempo da quanto tempo in qua dopo il diſfacimẽto di Europa, e delle nobili arti, e ſcienze elle cominciaſſero a rinaſcere, a creſcere, a fiorire, e finalmẽte ſiano uenute al colmo della loro perfettione, doue veracemente io credo che le ſiano arriuate; tale che (come delle altre eccellenze ſuole auuenire, e come altra fiata di queſte medeſime auuenne) è piu da temerne la ſceſa, che da ſperarne piu alta la ſalita. ne vi è baſtato queſta rada corteſia di mantenere in vita coloro, i quali gia molti anni erano morti, e di cui l’opere erano gia piu che ſmarrite, & in brieue per non ſi ritrouare ne riconoſcerſi per li maeſtri, che le haueano fatte, e con quelle cerco di procacciarſi nome, ma con nuoua, e non vſata corteſia diligentemente hauete ricerco de’ ritratti delle loro imagini, e quelle con la bella arte voſtra in fronte alle vite, & alle opere loro hauete aggiunte, acciò che coloro che dopo noi verranno ſappino non ſolo i coſtumi, le patrie, l’opere, le maniere, e l’ingegno de’ nobili artefici, ma quaſi ſe li ueggino innanzi a gli occhi, coſa la quale auãza di gran lunga ogni corteſia, la quale ſi ſia vſata inuerſo de i morti, cioè di coloro da cui nõ ſi può piu ſperare coſa alcuna: il che è tanto degno di maggior lode, che non è quella che al preſente vi poſſo dare io, quanto ella è piu rada, & vſata ſolamente quanto io poſſo ritrarre dalle antiche memorie da duoi nobilißimi, & dottißimi cittadini Romani, M. Varrone, e Pomponio Attico, de’ quali Varrone, in un libro che egli ſcriſſe de gli huomini chiari, oltre a i fatti loro pregiati, e coſtumi laudeuoli, aggiunſe ancora le imagini di forſe 700. di loro. E Pomponio Attico ſimilmente, come ſi troua ſcritto di cotali ritratti di perſone honorate, ne meſſe inſieme un volume, cotanto quelli animi gentili hebbero in pregio la memoria de gli huomini grãdi, & illuſtri, & tanto s’ingegnarono con ogni lor potere, e con ogni maniera di honore far pregiati, chiari, & eterni i nomi, e le imagini di coloro, i quali per loro virtu haueuano meritato di viuer ſempre. Voi adunque ſpinto da vn generoſo e bello animo, oltre al conſueto de gli artefici hauete fatto il ſimigliante inuerſo i uoſtri chiari artefici, illuſtri maeſtri, e nel uoſtro honorato meſtiero pregiati compagni ponendoci innanzi a gli occhi quaſi viui i volti loro nel voſtro coſi piaceuole, e ben diſpoſto libro inſieme con le virtu, e con l’opere piu pregiate di quegli, che pure non vi doueua parer poco ſe dell’ingegno voſtro ſi viuo, e della mano ſi [p. lix modifica]nobilè, e ſi pronta era ripiena della vostra arte honorata in pochi anni vna gran parte d’Italia, e la noſtra città in piu luoghi adorna, & il palazzo de’ nostri illuſtrisſimi Prencipi, e Signori fattone ſi a tutto il mondo raguardeuole, che egli non piu della virtu, e della gloria, e della ricchezza de’ ſuoì Signori, che dell’arte voſtra medeſima ne ſarà ſempre, che le pitture ſaranno in pregio, tenuto marauiglioſo, mostrando in quelle, oltre a mille altri leggiadri, e graui ornamenti, i quali in quello per tutto ſi veggono, le giuste impreſe, le periglioſe guerre, le fiere battaglie, e l’honorate vittorie hauute gia dal popolo Fiorentino, e nouellamente da i nostri illustrißimi Prencipi, con le imagini iſteſſe di quegli honorati Capitani, e franchi guerrieri, e prudenti Cittadini, i quali in quelle valoroſamente, e ſauiamente adoperarono; coſa, che nõ ſolo diletta gli occhi de’ riguardãti, ma molto piu alletta l’animo vago d’honore, e di gloria ad opere ſomiglianti: ma non è luogo al preſente ragionar di voi, il quale da voi iſteſſo con l’opere in vita vi lodate a bastanza, e vie piu ne’ ſecoli auenire ne ſarete lodato & ammirato, i quali ſenza alcuna animoſità, che bene ſpeſſo s’oppone al vero, ſinceramente ne giudicheranno. Ma per venire a quello che voi mi domandate, dico che impoßibil coſa ſarebbe volere veracemente raccontare chi fuſſero coloro, i quali primieramente dettero principio a queste arti, non eſſendo la memoria loro per la lunghezza del tempo, e per la varietà delle lingue, e per molti altri caſi che ſeco porta il girar del cielo alla notitia nostra trappaſſata. e medeſimamente quale di loro foſſe prima, o piu pregiata, pure all’vna coſa, e a l’altra ſi può ageuolmente ſodisfare, parte con la memoria de gli antichi Scrittori, e parte con le congetture, che ſeco reca la ragione, e l’eſſempio delle coſe; percioche, e ſi conoſce chiaramente per quanto ne ſcriue Herodoto antichißimo historico, il quale cercò molto paeſe, e molte coſe vide, e molte ne vdì, e molte ne leſſe gli Egittij eſſere stati antichißimi di chi ſi habbi memoria, e della religione qualunche foſſe la loro ſolenni oſſeruatori, i quali li loro Iddij ſotto varie figure di nuoui, e diuerſi animali adorauano; e quelle in oro, in argento, & in altro metallo, & in pietre pretioſe, & quaſi in ogni materia che forma riceuer poteſſe raſſembrauano; delle quali imagini alcune inſino alli noſtri giorni ſi ſono conſeruate: maßimamente eſſendo stati, come anchora ſe ne vede ſegnali manifeſti quei popoli potentißimi, e copioſi di huomini, & i loro Re ricchißimi, & oltre a modo deſideroſi di prolungare la memoria loro per ſecoli infiniti, & oltre a queſto di marauiglioſo ingegno, & d’industria ſingolare, e ſcienza profonda coſi nelle diuine coſe, come nelle humane. il che ſi conoſce da queſto chiaramente, impero che quelli, che fra li Greci furono di poi tenuti ſauij, e ſcientiati oltre a gli altri huomini andarono in Egitto, e da’ ſauij, e da ſacerdoti di quella natione molte coſe appararono, e le loro ſcienze aggrandirono, come ſi dice hauer fatto Pithagora, Democrito, Platone, e molti altri, che non pareua in quel tempo, che poteſſe eſſere alcuno interamente ſcienziato, ſe al ſapere di caſa non ſi aggiungeua della ſcienza forestiera, che allora ſi teneua, che regnaſſe in Egitto. Appreſſo coſtoro mi aduiſo io che foſſe in gran pregio l’arte del ben diſegnare, e del colorire, e dello ſcolpire, e del [p. lx modifica]ritrarre in qualunche materia, & ogni maniera di forme; percioche della Architettura nõ ſi debbe dubitare, che eſsi non fuſſero gran maestri, vedẽdoſi di loro arte ancora le piramidi, & altri edificij stupendi, che durano & che durerãno, come io mi penſo, ſecoli infiniti. ſenza che e’ pare, che dietro a gli Imperij grandi, & alle ricchezze, & alla tranquillità de gli stati ſempre ſeguitino le lettere, e le ſcienze, & arte cotali appreſſo coſi nel comune, come nel priuato; e questo non ſi debbe stimare, che ſia ſenza alcuna ragione: impero che eſſendo l’animo dello huomo, per mio auuiſo, per ſua natura deſideroſo ſẽpre d’alcuna coſa, ne mai ſazio, auiene che cõſeguito stato, ricchezze, diletto, virtù, & ogni altra coſa, che fra noi molto s’apprezza, via piu deſidera vita, come piu di tutte cara, e quanto far piu ſi puote lunghißima, & non ſolo nel corpo ſuo proprio, ma molto piu nella memoria, il che fanno i fatti eccellenti primieramente, e poi coloro, i quali con la penna gli raccontano, e gli celebrano. di che non piccola parte ſi debbe attribuire a’ Pittori, a gli Scultori, a gli Architettori, & altri maestri, i quali hanno virtù cõ le arti loro di prolungare la figura, i fatti, & i nomi de gli huomini ritrahendoli, e ſcolpendoli. e perciò ſi vede chiaramente, che quaſi tutte quelle nationi, che hanno hauuto imperio, e ſono state manſuete, e per conſequente facolta di poter ciò fare, ſi ſono ingegnate di fare la memoria delle coſe loro con tali argomenti lunga quanto loro è stato poßibile. A questa cagione ancora, e forſe la primiera, ſi vuole aggiugnere la religione, & il culto de gli Dei qualunque eſſo stato ſi ſia, intorno al quale in buona parte coloro, che di ritrarre in qualunque modo hanno ſaputo l’arte, ſi ſono eſercitati. Questo, come poco innanzi dicemo, veggiamo noi hauer fatto gli Egittij, questo i Greci, questo i Latini, e li antichi Toſcani, e li moderni, e quaſi ognialtra natione, la quale per la religione, e per la humanità ſia stata celebrata, i quali le imagini di quelli, che eßi ſotto diuerſi colori adorauano, hãno prima ſemplicemente, o nel legno intagliato, o con rozza pittura adombrato, o in qualunche altro modo ritratto; e, come nelle altre coſe de gli huomini ſuole auuenire a poco a poco andãdoſi innalzando, queste ancora non ſolamente a deuotione, e ſantità, ma a pompa, & a magnificẽza hanno recato; come anco ſi conoſce hauer fatto l’Architettura, la quale dalle humili, e priuate caſe ſemplicemẽte e ſenza arte murate, a far templi, e palazzi altißimi, & theatri, & loggie con gran maestria, e ſpeſa ſi diede. Questi adunche pare che fuſſero i principij di cotali arti, le quali in tanta nobiltà, & maauiglia de gli huomini per ingegno de i loro maestri egregij ſalirano, che e’ pare che non contenti dello imitar la natura con quella alcuna volta habbino uoluto gareggiare, ma di tutte queste, che molte ſono, e che tutte pare che venghino da vn medeſimo fonte, qual ſia piu nobile non è nostro intendimento di voler cercare al preſente; ma ſi bene quali fuſſero quelli di chi ſia rimaſa memoria, e che in eſſe hebbero alcuno nome, e che primieramente le eſercitarono. E però che ci pare che l’origine di tutte cotali arti ſia il diſegno ſẽplice, il quale è parte di pittura, o che da quella ha principio, facendoſi ciò nel piano, parleremo primieramẽte de’ Pittori, & poi di coloro, che di terra hanno formato, e di quegli che in bronzo, o in altra materia [p. lxi modifica]nobile fondendola hanno ritratto, & vltimamente di coloro, i quali nel marmo, o in altra ſorte di pietra con lo ſcarpello leuandone hanno ſcolpito, fra i quali verrãno ancora coloro, i quali del rileuo piu alto, o piu baſſo hãno alcuno nome hauuto. Diceſi adunche, laſciãdo stare gli Egittij, de i quali non è certezza alcuna in Grecia, la Pittura hauere hauuto ſuo principio, alcuni dicono in Sicione, & alcuni in Coranto, ma tutti in queſto convengono ciò eſſerſi fatto prima ſemplicemente con una ſola linea circondando l’ombra d’alcuno, e di poi con alcuno colore con alquãto piu di fatica, la qual maniera di dipignere ſempre è stata come ſemplicißima in vſo, & anchora è: e questa dicono hauer inſegnato la prima volta altri Filocle di Egitto, & altri Cleante da Coranto. I primi, che in queſta ſi eſercitarono ſi truoua eſſere stato Ardice da Coranto, e Telefane Sicionio, li quali non adoperando altro che un color ſolo ombrauano le lor figure dentro con alcune linee. e percioche eſſendo l’arte loro ancor rozza, e le figure d’vn color ſolo, non bene ſi conoſceua di cui elle fuſſero imagini, hebbero per costume di ſcriuerui a pie chi eſsi haueuano uoluto raſſembrare. Il primo che trouaſſe i colori nel dipignere, come dicono hauer fatto fede Arato, fu Cleofanto da Coranto. e questi non ſi ſa coſi bene ſe ei fu quello steſſo, il quale diſſe Cornelio Nepote eſſer venuto con Demarato padre di Tarquino Priſco, che fu re delli Romani, quando da Corãto ſua patria partẽdoſi venne in Italia per paura di Cipſelo prencipe di quella città, o pure un’altro; come che a questo tempo in Italia fuſſe l’arte del dipignere in buona riputazione, come ſi puo congetturare ageuolmente; percioche in Ardea antichißima città, ne molto lontana da Roma, oltre al tempo di Veſpaſiano Imperadore ſi vedeuano ancora in alcuno tempio nel muro coperto alcune pitture, le quali erano molto innãzi che Roma fuſſe state dipinte, ſi bene mantenute che elle pareuano di poco innãzi colorite. In Lanuuio parimente ne’ medeſimi tempi, cioè innanzi a Roma, e forſe del medeſimo maeſtro vna Atalanta, & vna Helena ignude dì bellißima forma ciaſcuna, le quali lunghißimo tempo furono conſeruate intere dalla qualità del muro, doue erano state dipinte, auenga, che vn Pontio vficiale di Gaio Imperadore ſtruggendoſi di voglia d’auerle ſi foſſe sforzato di torle quindi, & a caſa ſua portarnele, e lo harebbe fatto ſe la forma del muro l’haueſſe ſofferto. Donde ſi può manifestamente conoſcere in quei tempi, e forſe molto piu che in Grecia, e molto prima la pittura eſſere stata in pregio in Italia. Ma poi che le coſe nostre ſono in tutto perdute, e ci biſogna andare mendicando le forestieri, ſeguiremo la incominciata historia di raccontare gli altri di cotale arte maeſtri, quali da prima ſi dichino eſſere stati; benche ne i Greci ancora non hanno coſi bene diſtinto i tempi loro in questa parte; percioche e’ ſi dice eſſere stata molto in pregio una tauola, doue era dipinta vna battaglia de’ Magneti con ſi bella arte, che Candaule Re di Lidia la haueua comperata altro e tanto peſo d’oro, il che venne a eſſere intorno alla eta di Romolo primo fondatore di Roma, e primo Re de’ Romani, che gia era cotale arte in tanta stima: onde ſiamo forzati confeſſare l’origine di lei eſſere molto piu [p. lxii modifica]antica, e parimente coloro, i quali un ſolo colore adoperarono, l’età de’ quali non coſi bene ſi ritroua, e parimente Higione, che per ſopranome fu chiamato Monocromada da questo; percioche con un ſolo colore dipinſe, il quale affermano eſſere stato il primo nelle cui figure ſi conoſceſſe il mastio dalla femmina, e ſimilmẽte Eumaro d’Athene, il quale s’ingegnò di ritrarre ogni figura, e quello, che dopo lui venendo le coſe da lui trouate molto meglio trattò Cimone Cleoneo, il quale prima dipinſe le figure in iſcorcio, & i volti altri in giu, altri in ſu, & altri altroue guardanti, e le membra partitamente con i ſuoi nodi distinſe, che primo mostrò le uene ne’ corpi, e ne’ vestimenti le creſpe. Paneo ancora fratello di quel Fidia nobile statuario fece di aſſai bella arte la battaglia de gli Athenieſi cõ i Perſi a Marathona, che gia era a tale uenuta l’arte, che nell’opera di costui ſi viddero primieramẽte ritratti i capitani nelle loro figure steſſe Milciade Athenieſe, Callimaco, e Cinegiro; e de’ Barbari Dario & Tiſſaferne. Drieto al quale alquanti vennero, i quali questa arte fecero migliore, de i quali non ſi ha certa notitia, intra i quali fu Polignoto da Taſo il primo che dipinſe le donne con veste lucenti, e di begli colori, & i capi di quelle con ornamenti varij, e di nuoue maniere adornò; e ciò fu intorno à gli anni 330. dopo Roma edificata: per costui fu la Pittura molto inalzata. Egli primo nelle figure humane mostrò aprir la bocca, ſcoprire i denti, & i volti da quella antica rozzezza fece parere piu arrendeuoli, e piu viui. Rimaſe di lui fra le altre una tauola, che ſi vide in Roma aſſai tempo nella loggia di Pompeo, nella quale era vna bella figura armata con lo ſcudo, la quale non bene ſi conoſceua ſe ſcendeua, o ſaliua. Egli medeſimo a Delpho dipinſe quel Tẽpio nobilißimo, egli in Athene la loggia, che dalla varietà delle dipinture che drento ui erano fu chiamata la uaria, e l’vno, e l’altro di questi lauori fece in dono, la qual liberalità molto gli accrebbe la riputazione, e la grazia appreſſo a tutti i popoli della Grecia, talmẽte che li Anfittioni, che era un conſiglio comune di gran parte della Grecia, che a certi tempi, per trattare delle biſogne publiche a Delfo ſi ragunaua gli stanziarono, che douunche egli andaſſe per la Grecia foſſe grazioſamente riceuuto, & fattoli publicamente le ſpeſe. A questo tempo medeſimo furono due altri pittori d’vn medeſimo nome, de’ quali Micone il minore ſi dice eſſer stato padre di Timarete, la quale eſercitò la medeſima arte della pittura. A questo tempo steſſo, o poco piu oltre furono Aglaofone, Cefiſodoro, Frilo, & Euenore padre di Parraſio di cui ſi parlerà a ſuo luogo, & furono coſtoro aſſai chiari, ma non tanto però, che eßi meritino, che per loro virtù, o per loro opere ſi metta molto tempo, ſtudiandoci maßimamente d’andare alla eccellenza dell’arte, alla quale arrecò poi gran chiarezza Apollodoro Athenieſe intorno a l’anno 345. da Roma edificata, il quale primo cominciò a dar fuori figure bellißime, & arrecò a quest’arte gloria grandißima, di cui molti ſecoli poi ſi vedeua in Aſia a Pergamo vna tauola entroui vn ſacerdote adorante, & in vn’altra vno Aiace percoſſo dalla ſaetta di Gioue di tanto ecceßiua bellezza, che ſi dice inanzi a queſta non ſi eſſer veduta opera di questa arte, la quale allettaſſe gli occhi de’ riguardanti. Per la porta da costui primieramente aperta entrò [p. lxiii modifica]Zeuſi di Eraclea dodici, o tredici anni poſcia, il quale conduſſe il pennello ad altiſſima gloria, e di cui Apollodoro quello steſſo poco innanzi da noi raccontato ſcriſſe in verſi l’arte ſua toltagli portarne ſeco Zeuſi. Fece costui con questa arte ricchezza infinita, tale, che venendo egli alcuna volta ad Olimpia, la doue ogni cinque anni concorreua quaſi tutta la Grecia a vedere i giuochi, e gli ſpettacoli publici per pompa a lettere d’oro nel mantello portaua ſcritto il nome ſuo, acciò da ciaſcuno poteſſe eſſere conoſciuto. ſtimò egli cotanto l’opere ſue, che giudicando non ſi douer trouare pregio pari a quelle ſi miſe nell’animo non di venderle, ma di donarle, e coſi donò vna Atalanta al Comune di Gergento, Pane Dio de’ paſtori ad Archelao Re. Dipinſe vna Penelope, nella quale, oltre alla forma bellißima ſi conoſceuano ancora la pudicitia, la patienza, & altri bei costumi, che in honesta donna ſi ricercano. Dipinſe vn Campione, di quelli, che i Greci chiamano Athleti, e di questa ſua figura cotanto ſi ſatisfece, che egli steſſo vi ſcriſſe ſotto quel celebrato motto; Troueraßi chi lo inuidi ſì, ma chi il raſſembri, nò. Videſi di lui vn Gioue nel ſuo trono ſedente con grandißima maestà, con tutti li dei intorno. Vno Hercole nella zana, che con ciaſcuna delle mani strangolaua un ſerpente preſente Amphitrione, & Almena madre, nella quale ſi ſcorgeua la paura steſſa. parue nondimeno, che questo artefice faceſſe i capi delle ſue figure vn poco grandetti. Fu con tutto ciò accurato molto, tanto che douendo fare a nome de Crotoniati vna bella figura di femmina, doue pareua che egli molto ualeſſe, la quale ſi deueua conſacrare al Tẽpio di Giunone, che egli haueua adornato di molte altre nobili dipinture, chieſe di hauere cõmodità di vedere alcune delle loro piu belle; & meglio formate donzelle; che in quel tempo ſi teneua, che Crotone terra di Calauria haueſſe la piu bella giouentù dell vno, & dell’altro ſeſſo, che al mondo ſi trouaſſe; di che egli fu tantosto compiaciuto, delle quali egli eleſſe cinque le piu belle, i nomi delle quali non furono poi taciuti da’ Poeti, come di tutte le altre bellißime, eſſendo state giudicate cotali, da chi ne poteua, e ſapeua meglio di tutti gli altri huomini giudicare: e delle piu belle membra di ciaſcuna ne formò vna figura bellißima, la quale Helena volle che foſſe, togliendo da ciaſcuna quello, che in lei giudicò perfettißimo. Dipinſe in oltre di bianco ſolamente alcune altre figure molto celebrate. Alla medeſima età, & a lui nell’arte concorrenti furono Timãte, Androcide, Eupõpo, e Parraſio, cõ cui (Parraſio dico) ſi dice Zeuſi hauere combattuto nell’arte in questo modo; che mettendo fuori Zeuſi vue dipinte con ſi bell’arte, che gli vccegli a quelle volauano. Parraſio meſſe innanzi vn velo ſi ſottilmente in vna tauola dipinto, come ſe egli ne copriſſe vna dipintura, che credendolo Zeuſi vero, non ſenza qualche tema d’eſſer vinto, chieſe che leuato quel velo una volta ſi ſcopriſſe la figura, & accorgendoſi dello inganno, non ſenza riſo dello auuerſario ſi reſe per vinto, confeſſando di buona conſcienza la perdita ſua, concioſia che egli haueſſe ingannato gli vccegli, e Parraſio ſe coſi buon Maestro. Diceſi il medeſimo Zeuſi hauer dipinto un fanciullo, il quale portaua vue, alle quali volando gli augelli ſeco steſſo s’adiraua, parendogli non hauer dato a cotale figura intera [p. lxiv modifica]perfettione, dicendo ſe il fanciullo coſi bene fuſſe ritratto, come l’vue, ſono gli augelli dourebbono pur temerne. Mantenneſi in Roma lungo tempo nella loggia di Filippo vna Helena, e nel Tempio della Concordia vn Marſia legato di mano del medeſimo Zeuſi. Parraſio, come noi habbiamo detto fiorì in queſta medeſima età, e fu di Epheſo città di Aſia, il quale in molte coſe accrebbe, e nobilitò la pittura. Egli primo diede intera proporzione alle figure, egli primo con nuoua ſottigliezza e viuacità ritraſſe i volti, e dette vna certa leggiadria à i capegli, e grazia infinita, e mai non piu uista alle faccie, & a giudizio d’ogni huomo allui ſi conceſſe la gloria del bene & interamente finire, e nelli vltimi termini far perfette le ſue figure; percioche in cotale arte questo ſi tiene che ſia la eccellenza. dipignere bene i corpi & il mezzo delle coſe è bene aſſai, ma doue molti ſono stati lodati, terminare e finir bene, e con certa maestria rinchiudere drento a ſe steſſa una figura questo e rado e pochi ſi ſono trouati, li quali in ciò ſieno stati da commendare; percioche l’ultimo d’vna figura debbe chiudere ſe steſſo talmente che ella ſpicchi dal luogo, doue ella è dipinta, e prometta molto piu di quello, che nel vero ella ha, e che ſi vede. e cotale honore li diedero Antigono, e Senocrate, i quali di cotale arte, e delle opere della pittura ampiamente trattarono, non pure lodãdo ciò in lui, e molte altre coſe, ma ancora celebrandonelo oltre a modo. Rimaſero di lui, e di ſuo stile in carte, & in tauole alcune adombrate figure, con le quali non poco ſi auanzarono poſcia molti di cotale arte. Egli, come poco fa dicemo, fu tale nel bene & interamente finire l’opere ſue, che paragonato a ſe steſſo nel mezzo di loro appariſce molto minore. Dipinſe con bellißima inuenzione il Genio, e come ſarebbe a dire ſotto vna figura steſſa la natura del popolo Athenieſe quale ella era. doue in vn ſubietto medeſimo volle, che appariſſe il vario, l’iracondo, il placabile, il clemente, il miſericordioſo, il ſuperbo, il pompoſo, l’humile, il feroce, il timido, e’l fugace, che tale era la cõdizione e natura di quel popolo. Fu molto lodato di lui vn capitano di naue armato di corazza, & in vna tauola che era a Rodi Meleagro, Hercole, e Perſeo, la quale abrõzata tre uolte dalla ſaetta e nõ iſcolorita accreſceua la marauiglia. Dipinſe ancora vno Archigallo, della quale figura fu tãto vago Tiberio Imperadore, che per poterla vagheggiare a ſuo diletto ſe la fece appiccare in camera. videſi di lui ancora vna balia di Creti col bãbino in braccio, figura molto celebrata, e Fliſco, e Bacco, cõ la Virtu appreſſo, & due vezzoſißimi fanciullini, ne’ quali ſi ſcorgeua chiara la ſemplicità della età, e quella uita ſenza penſiero alcuno. Dipinſe in oltre vn ſacerdote ſacrificante con vn fanciullo appreſſo ministro del ſacrificio con la grillanda, e con l’incenſo. Hebbero gran fama due figure di lui armate, l’vna che in battaglia corrẽdo pareua che ſudaſſe, e l’altra che per stanchezza ponendo giu l’arme pareua che anſaſſe. Fu lodata ancho di questo artefice medeſimo vna tauola, doue era Enea, Caſtore, e Polluce, e ſimigliãtemente vn’altra doue era Telefo, Achille, Agamennone, & Vliſſe. Valſe ancora molto nel ben parlare, ma fu ſuperbo oltre a miſura, lodando ſe steſſo arrogantemẽte e l’arte ſua, chiamandoſi per ſopranome hor grazioſo, & hora con cotali altri nomi [p. lxv modifica]dichiarante lui eſſere il primo, e conuenirſegli il pregio di quell’arte, e d’hauerla condotta a ſomma perfettione, e ſopra tutto d’eſſere diſceſo da Apollo, e che l’Hercole, il quale egli haueua dipinto a Lindo città di Rodi era tale, quale egli diceua piu volte eſſerli apparito in viſione. fu con tutto ciò vinto a Samo la ſeconda volta da Timãte, il che male ageuolmente ſopportò. dipinſe ancora per ſuo diporto in alcune picciole tauolette congiungimenti amoroſi molti laſciui. In Timante, il quale fu al medeſimo tempo ſi conobbe vna molto benigna natura. di cui intra le altre hebbe gran nome, e che è poſta da quegli, che inſegnono l’arte del ben dire per eſſempio di conueneuolezza, vna tauola doue è dipinto il ſacrificio che ſi fece di Iphigenia figliuola di Agamennone, la quale ſtaua dinanzi allo altare per douer eſſere vcciſa dal ſacerdote, d’intorno a cui erano dipinti molti, che a tal ſacrificio interuenieno, e tutti aſſai nel ſembiante meſti, e fra gli altri Menelao zio della fanciulla alquanto piu de gli altri, ne trouando nuouo modo di dolore, che ſi conueniſſe a padre in coſi fiero ſpettacolo, hauendo ne gli altri conſumato tutta l’arte, con un lembo del mantello gli coperſe il viſo, quaſi che eſſo non poteſſe patire di vedere ſi horribile crudeltà nella perſona della figliuola, che coſi pareua che a padre ſi conueniſſe. Molte altre coſe ancora rimaſero di ſua arte, le quali lungo tempo fecero fede della eccellentia dello ingegno, e della mano di lui, come fu vn Polifemo in vna picciola tauoletta che dorme, del quale volendo che ſi conoſceſſe la lunghezza, dipinſe appreſſo alcuni ſatiri, che con la verga loro gli miſurauano il dito groſſo della mano, & in ſomma in tutte l’opere di questo artefice, ſempre s’intendeua molto piu di quello, che nella pittura appariua, e come che l’arte vi fuſſe grande, l’ingegno ſempre vi ſi conoſceua maggiore. Bellißima figura fu tenuta di questo medeſimo, e nella quale pareua, che appariſſe tutto quello, che puo far l’arte, uno di quei Semidei, che gli antichi chiamarono Heroi, la quale poi à Roma lungo tempo fu ornamento grande del tempio della Pace. Questa medeſima età produſſe Euxenida, che fu diſcepolo d’Ariſtide pittore chiaro, & Eupompo, il quale fu maestro di Panfilo, da cui di poi imparò Apelle. Durò aſſai di questo Eupompo vna figura di gran nome, raſſembrante vno di quei campioni vincitori de’ giuochi Olimpici con la palma in mano. fu egli di tanta autorità appreßo i Greci, che diuidendoſi prima la pittura in due maniere l’vna chiamata Aſiatica, e l’altra Greca, egli partendo la Greca in due, di tutte ne fece tre Aſiatica, Sicionia, & Attica. Da Panfilo fu la battaglia, e la vittoria de gli Athenieſi a Phliunte dipinta, e dal medeſimo Vliſſe, come è deſcritto da Homero, in mare ſopra vna naue rozza a guiſa di fodero. fu di natione Macedonico, & il primo di cotale arte, che foße nelle lettere ſcienziato, e principalmente nella Arimetica, e nella Geometria, ſenza le quali ſcienze egli ſoleua dire nõ ſi potere nella pittura fare molto profitto. Inſegnò apprezzo, ne volle meno da ciaſcuno diſcepolo in dieci anni di vno talento, il qual ſalario gli pagarono Melanthio, & Apelle; e potè tanto l’eſempio di questo artefice, che prima in Sicione, e poi in tutta la Grecia fu stabilito, che fra le prime coſe, che s’inſegnauano nelle ſcuole a’ fanciulli nobili fuße il diſegnare, che va inanzi al [p. lxvi modifica]colorire, e che l’arte della pittura ſi accettaße nel primo grado delle arti liberali. e nel vero appreſſo i Greci ſempre fu tenuta questa arte di molto honore, e fu eſercitata non ſolo da’ nobili, ma da perſone honorate ancora con eſpreſſa prohibitione, che i ſerui nõ ſi ammetteſſero per diſcepoli di cotale arte. la onde non ſi troua che ne in pittura, ne in alcuno altro lauoro, che dal diſegno proceda ſia ſtato alcuno nominato, che fuſſe stato ſeruo Ma innanzi a questi ultimi, de’ quali noi habbiamo parlato, forſe xx anni ſi troua eſſere stati di qualche nome Echione, e Terimanto. di Echione furono in pregio queſte figure Bacco, la Tragedia, e la Comedia in forma di donne, Semiramis, la quale di ſerua diueniua Regina di Babilonia, Vna ſuocera, che portaua la faccellina innãzi, a vna nuora, che ne andaua a marito, nel uolto della quale ſi ſcorgeua quella vergogna, che a pulzella in cotale atto, e tẽpo ſi richiede. Ma a tutti i diſopra detti, e coloro che di ſotto ſi dirãno trappaßò di gran lũga Apelle, che uiſſe intorno alla xij & cẽteſima Olimpiade, che dalla fondazione di Roma batte intorno a ccccxxi anno, ne ſolamente nella perfettione dell’arte, ma ancora nel numero delle figure; percioche egli ſolo molto meglio di ciaſcuno, e molto piu ne dipinſe, e piu arrecò a tale arte d’aiuto, ſcriuendone ancora volumi, i quali di quella inſegnarono la perfettione. Fu costui marauiglioſo nel fare le ſue opere grazioſe; & auenga, che al ſuo tempo fuſſero maestri molto eccellenti, l’opere de i quali egli ſoleua molto commendare, & ammirare, nondimeno a tutti diceua mancare quella leggiadria, la quale da’ Greci, e da noi è chiamata grazia. nell’altre coſe molti eſſere da quanto lui, ma in questo non hauer pare. di questo altro ſi daua egli anche vanto, che riguardando i lauori di Protogene con marauiglia di fatica grande, e di penſiero infinito, e commendandoli oltre a modo in tutti diceua hauerlo pareggiato, e forſe in alcuna parte eſſere da lui vinto, ma in queſto ſenza dubbio eſſere da piu; percioche Protogene non ſapeua leuar mai la mano d’in ſul lauoro. Il che detto da cotale artefice ſi vuole hauere per ammaeſtramento, che ſpeſſe fiate nuoce la ſouerchia diligenza. Fu costui non ſolamente nell’arte ſua eccellentißimo maestro, ma d’animo ancora ſemplicißimo, & molto ſincero, come ne fa fede quello, che di lui, e di Protogene dicono eſſere auuenuto. Dimoraua Protogene nell’Iſola di Rodi ſua patria, doue alcuna volta venendo Apelle con deſiderio grande di vedere l’opere di lui, che le vdiua molto lodare, & egli ſolamẽte per fama lo conoſceua, dirittamente ſi fece menare alla bottega, doue ei lauoraua, & giunſeui apunto in tempo, che egli era ito altroue; doue entrãdo Apelle, vidde che egli haueua meſſo ſu vna gran tauola per dipignerla, & inſieme vna vecchia ſola a guardia della bottega, la quale, domandandola Apelle del maeſtro, riſpoſe lui eſſere ito fuore. domandò ella lui chi fuſſe quegli, che ne domandaua; questi riſpoſe toſtamente Apelle, e preſo vn pennello tirò vna linea di colore ſopra quella tauola di marauiglioſa ſottigliezza, & andò via. Torna Protogene, la vecchia gli conta il fatto, guarda egli, e conſiderata la ſottigliezza di quella linea, s’auisò troppo bene ciò non eſſere opera d’altri, che di Apelle, che in altri non caderebbe opera tanto perfetta; & preſo il pennello ſopra quella isteſſa d’Apelle d’altro [p. lxvii modifica]colore ne tirò vn’altra piu ſottile, e diſſe alla vecchia; dirai a quel buono huomo ſe ci torna mostrandoli questa, che questi è quegli, che ei va cercando; e coſi non molto poi auuenne, che tornato Apelle, & vdito dalla vecchia il fatto, vergognando d’eſſer vinto, con vn terzo colore parti quelle linee steſſe per lungo il mezzo, non laſciando piu luogo veruno ad alcuna ſottigliezza. onde tornando Protogene, e conſiderato la coſa, e confeſſando d’eſſer vinto, corſe al porto cercando d’Apelle, e ſeco nel menò a caſa. Questa tauola ſenza altra dipintura vederuiſi entro, fu tenuta degna per questo fatto ſolo d’eſſer lungo tempo mantenuta viua: e fu poi, come coſa nobile, portata a Roma, e nel palazzo de gli Imperadori veduta volentieri da ciaſcuno, e ſommamente ammirata, e piu da coloro, che ne poteuano giudicare, tutto che non vi ſi vedeſſe altro, che queſte linee tanto ſottili, che poi a pena ſi poteuano ſcorgere, e fra le altre opere nobilißime fu tenuta cara: e per quello iſteſſo, che entro altro non vi ſi vedeua allettaua gli occhi de’ riguardanti. Hebbe queſto artefice in coſtume di non laſciar mai paſſare un giorno ſolo, che almeno non tiraſſe vna linea, & in qualche parte eſercitaße l’arte ſua; il che poi venne in prouerbio. vſaua egli ſimilmente mettere l’opere ſue finite in publico, & appreßo star naſcoſo, aſcoltando quello, che altri ne diceße, estimando il vulgo d’alcune coſe eſſere buon conoſcitore, e poterne ben giudicare. auuenne (come ſi dice) che vn calzolaio accusò in vna pianella d’vna figura non ſo che difetto, & conoſcendo il maestro, che e’ diceua il vero, la racconciò. tornando poi l’altro giorno il medeſimo calzolaio, & vedendo il maestro hauerli creduto nella pianella, cominciò a voler dire non ſo che di vna delle gambe; di che ſdegnato Apelle, & vſcendo fuori diſſe prouerbiandolo, che a calzolaio non conueniua giudicar piu ſu, che la pianella, il qual detto fu anco accettato per prouerbio. Fu in oltre molto piaceuole, & alla mano, e per queſto oltre a modo caro ad Aleßandro Magno, talmẽte che quel Re lo andaua ſpeßo a viſitare a bottega, prendẽdo diletto di vederlo lauorare, & inſieme d’vdirlo ragionare. & hebbe tanto di grazia, e di autorita appreßo a questo Re, benche stizzoſo, e bizzarro, che ragionãdo eßo alcune volte della arte di lui meno che ſauiamente, con bel modo gli imponeua ſilentio, mostrandoli i fattorini, che macinauano i colori riderſene. Ma quale Aleßandro lo stimaße nell’arte ſi conobbe per questo, che egli prohibi a ciaſcuno dipintore il ritrarlo fuori che ad Apelle. e quanto egli lo amaſſe, & haueſſe caro ſi vide per questo altro; percioche hauẽdoli imposto Aleſſandro, che gli ritraeſſe nuda Canſace vna la piu bella delle ſue concubine, la quale eſſo amaua molto, & accorgendoſi per ſegni manifesti, che nel mirarla fiſo Apelle s’era acceſo della bellezza di lei, concedendoli Aleſſandro tutto il ſuo affetto gne ne fece dono, ſenza hauer riguardo ancho a lei, che eſſendo amica di Re, & di Aleſſandro Re, li conuenne diuenire amica d’un pittore. Furono alcuni, che ſtimarono, che quella Venere Dionea tanto celebrata fuſſe il ritratto di queſta bella femmina. Fu questo Apelle molto humano inuerſo li artefici de’ ſuoi tempi, & il primo, che dette riputazione alle opere di Protogene in Rodi. percioche egli, come il piu delle volte ſuole auuenire, tra i ſuoi cittadini non [p. lxviii modifica]era stimato molto. e domãdãdogli Apelle alcuna volta, quãto egli stimaſſe alcune ſue figure, riſpoſe nõ ſo che piccola coſa. onde egli dette nome di voler per ſe cõperar quelle, ch’egli hauea lauorato, e lauorerebbe per riuẽderle ᵱ ſue prezzo molto maggiore. il che fece aprire gli occhi a’ Rodiani, ne volle cederle loro, ſe nõ arrogeuano al prezzo cõ non poco utile di quel pittore. E coſa incredibile quello che è ſcritto di lui, cioè, che egli ritraeua ſi bene, e ſi apũto le imagini altrui dal naturale, che vno di questi, che nel guardare in viſo altrui fiſo ſogliono indouinare quello, che ad alcuno sij auuenuto nel paſſato tẽpo, o debba auuenire nel futuro, i quali ſi chiamano fiſiomãti, guardãdo alcun ritratto fatto da Apelle conobbe per quello quanto quegli di cui era il ritratto, doueſſe viuere, o fuſſe viuuto. Dipinſe cõ vn nuouo modo Antigono Re, che l’vno de gl’occhi haueua meno, ĩ maniera, che il difetto della faccia non appariſſe. percioche egli lo dipinſe col viſo tãto volto, quãto bastò a celare ĩ lui q(ue)l mãcamẽto, nõ parẽdo però difetto alcũo nella figura. Hebbero grã nome alcune imagini da lui fatte di ᵱſone, che moriuano: ma fra le molte ſue, e molto lodate opere qual foſſe la piu perfetta nõ ſi ſa coſi bene. Agusto Ceſare cõſagrò al tẽpio di Giulio ſuo padre quella Venere nobilißima, che per vſcir del mare, e da quell’atto steſſo fu chiamata Anadiomene. la quale da’ poeti Greci fu mirabilmẽte celebrata, et illustrata. alla parte di cui, che s’era corrotta nõ ſi trouò chi ardiſſe por mano. il che fu grãdißima gloria di cotal’artefice. Egli medeſimo cominciò a quelli di Coo vn’altra Venere, et ne fece il volto, e la parte ſourana del petto, e ſi pẽſò da quel che ſe ne vedeua, che egli harebbe, e quella prima Dionea, e ſe steßo ĩ queſta auãzato. Morte coſi bella opera interroppe, ne ſi trouò poi chi alla parte diſegnata preſumeße aggiugner colore. Dipinſe ancora a quelli di Epheſo, nel tẽpio della lor Diana vn’Aleßãdro Magno cõ la ſaetta di Gioue in mano, le dita della quale pareua che fußero di rilieuo, e la ſaetta, che vſciße fuor della tauola, e ne fu pagato di moneta d’oro, nõ a nouero, ma a miſura. Dipinſe molte altre figure di grã nome, e Clito familiar di Aleßãdro in atto di appreſtarſi à battaglia, cõ il paggio ſuo, che gli porgeua la celata. nõ biſogna domãdare quãte uolte, ne ĩ quãte maniere, e’ ritraeße Aleßãdro, o Filippo ſuo padre, che furono infinite, & quãti altri Re, e perſonaggi grãdi ei dipigneße. ĩ Roma ſi vide di lui Castore, e Polluce cõ la vittoria, & Aleßãdro triõfante cõ l’imagine della guerra, cõ le mani legate drieto al carro. le quali due tauole Agusto cõſacrò al ſuo foro nelle parti piu honorate di quello. e Claudio poi cancellãdone il volto di Aleßãdro vi fece riporre quello di Agusto. Dipinſe vno Heroe ignudo, quaſi in queſt’opera voleſſe gareggiare cõ la natura. Dipinſe ancora a pruoua cõ certi altri pittori vn cauallo, doue temẽdo del giudizio degli huomini, et inſoſpettito del fauore de’ giudici inuerſo i ſuoi auuerſarij chieſe che ſe ne steſſe al giudizio de’ cauagli ſteßi, et eßẽdo menati i caualli d’attorno a’ ritratti di ciaſcuno ringhiarono a quel d’Apelle ſolamẽte. il qual giudizio fu timato verißimo. Ritraſſe Antigono in corazza cõ il cauallo drieto, & in altre maniere molte, & di tutte le ſue opere quelli che di coſi fatte opere s’inteſero, giudicarono l’ottima eſſere vno Antigono a cauallo. Fu bella anco di lui vna Diana, ſecõdo che la dipinſe in uerſi Homero, e’ [p. lxix modifica]pare, che il dipintore ĩ queſto vinceſſe il poeta. Dipinſe inoltre cõ nuouo modo, e bella inuẽzione la Calũnia prendẽdone queſta occaſione. Era egli in Aleßãdria ĩ corte di Tolomeo Re, e per la virtu ſua in molto fauore. Hebbeui dell’arte steſſa chi l’inuidiaua, e cercãdo di farlo mal capitare l’accuſò di cõgiura contro a Tolommeo, di coſa nella quale, nõ ſolo non haueua colpa veruna Apelle, ma ne anco era da credere, che vn tal pẽſiero gli fuſſe mai caduto nell’aĩo; fu nõdimeno vicino al perderne la perſona, credẽdo cio il Re ſcioccamẽte: e percio, ripẽſando egli ſeco steſſo il pericolo, il quale haueua corſo, volle mostrare cõ l’arte ſua, che e, come pericoloſa coſa foſſe la Calũnia. e coſi dipinſe vn Re a ſedere cõ orecchie lũghißime, e che porgeua innãzi la mano; da ciaſcuno de’ lati del quale era vna figura, il Soſpetto, e l’Ignoranza. dalla parte dinanzi veniua vna femmina molto bella, e bene adobbata, con ſẽbiante fiero, & adirato. e con eſſa la ſinistra teneua vna facellina acceſa, e con la destra ſtraſcinaua per i capegli vn doloroſo giouane, il quale pareua, che con gli occhi, e con le mani leuate al cielo gridaſſe miſericordia, e chiamaſſe li dei per testimonio della vita ſua, di niuna colpa macchiata. Guidaua coſtei vna figura pallida nel volto, e molto ſozza, la quale pareua, che pure allora da lunga infermita ſi ſolleuaſſe. questa ſi giudicò, che fuſſe l’Inuidia. Drieto alla Calunnia, come ſue ſeruenti, e di ſua compagnia ſeguiuano due altre figure, ſecondo che ſi crede, che raßembrauano l’Inganno, e l’Inſidia. Dopo a queste era la Penitenza atteggiata di dolore, & inuolta in panni bruni, la quale ſi batteua a palme, & pareua, che dietro guardãdoſi moſtraſſe la Verità, in forma di dõna modestißima, e molto contegnoſa. Questa tauola fu molto lodata, e per la virtù del maestro, e per la leggiadria dell’arte, e per la inuenzione della coſa, la quale puo molto giouare a coloro, li quali ſono proposti ad vdire le accuſe de gli huomini. Furono del medeſimo artefice molte altre opere celebrate da gli ſcrittori, le quali ſi laſciano andare per breuità, eſſendoſene raccõtate forſe piu, che non biſognaua. Trouò nell’arte molte coſe, e molto vtili, lequali giouarono molto a quegli, che di poi le appararono. queſto nõ ſi trouò giamai dopo lui chi lo ſapeſſe adoperare. e questo fu vn color bruno, o vernice, che ſi debba chiamare, il quale egli ſottilmẽte diſtẽdeua ſopra l’opre gia finite, il quale cõ la ſua riuerberazione destaua la chiarezza in alcuni de’ colori, e gli difendeua dalla polvere; e nõ appariua ſe non da chi bẽ preſſo il miraua. et cio faceua cõ iſquiſita ragione, accioche la chiarezza d’alcuni acceſi colori meno offendeſſero la uista di chi da lõtano, come per uetro le riguardaſſe, tẽperãdo cio col piu, e col meno ſecõdo giudicaua cõuenirſi. Al medeſimo tẽpo fu Aristide Tebano, il quale, come ſi dice, fu il primo che dipigneſſe l’animo, e le paßioni di quello. fu alquãto piu rozzo nel colorire. Hebbe grã nome vna tauola di costui, doue era ritratto fra la ſtrage d’una terra preſa per forza una madre, la quale moriua di ferite, & appreſſo haueua il figliuolo, che carpone ſi traheua alla poppa, e nella madre pareua temẽza, che’l figliuolo nõ beueſſe cõ il latte il sãgue di lei gia morto. Queſta tauola eſtimãdola bellißima fece portare ĩ Macedonia a Pella ſua patria Aleßãdro Magno. Dipinſe ancora la battaglia d’Aleßãdro con i Perſi, mettendo in vna steſſa tauola cento figure, [p. lxx modifica]hauendo prima pattuito con Mnaſone prencipe de gli Elatreſi cento mine per ciaſcuna di queſto medeſimo ſi potrebbono raccontare altre figure molto chiare, le quali & a Roma, & altroue furono molto in pregio aſſai tempo; & fra l’altre vno infermo lodato infinitamente. percioche ei valſe tanto in questa arte, che ſi dice il Re Attalo hauer comperato vna delle ſue tauole cento talenti. Viſſe al medeſimo tẽpo, e fiori Protogene, ſuddito de’ Rodiani, di cui alquãto di ſopra ſi diſſe, pouero molto nel principio del ſuo mestiere, e di cui ſi dice, che egli haueua da prima eſercitato la pittura in coſe baſſe, e quaſi haueua lauorato a opera, dipignẽdo le naui: ma fu diligente molto, e nel dipignere tardo, e fastidioſo, ne coſi bene in eſſo ſi ſodisfaceua. Il vanto delle ſue opere porta lo Ialiſo. il quale inſino al tempo di Veſpaſiano Imperadore ſi guardaua ancora a Roma nel Tempio della Pace. dicono, che nel tẽpo che egli faceua cotale opera non mangiò altro, che lupini dolci, ſodisfacendo a un tempo medeſimo con eßi alla fame, & alla ſete per mantenere l’animo, & i ſenſi piu ſaldi, e non vinti da alcuno diletto. quattro volte miſe colore ſopra colore a questa opera riparo contro alla vecchiezza, e ſchermo contro al tempo, acciò conſumandoſi l’uno, ſuccedeſſe l’altro di mano in mano. vedeuaſi in questa tauola steſſa vn cane di marauiglioſa bellezza fatto da l’arte, & inſieme dal caſo in cotal modo. voleua egli ritrarre intorno alla bocca del cane quella ſchiuma, la quale fanno i cani faticati, & anſanti, ne poteua in alcun modo entro ſodisfaruiſi; hora ſcambiaua pennello, hora con la ſpugna ſcancellaua i colori, hora inſieme li meſcolaua, che harebbe pur voluto, che ella vſciſſe della bocca dell’animale, e non che la pareſſe di fuora appiccata, ne ſi contentaua in modo veruno, tanto che hauendoui faticato intorno molto, ne riuſcendogli meglio l’ultima volta, che la prima, con istizza traſſe la ſpugna, che egli haueua in mano piena di quei colori nel luogo steſſo, doue egli dipigneua. marauiglioſa coſa fu a vedere, quello che non haueua potuto fare con tanto ſtudio, & fatica l’arte, lo fece il caſo in vn tratto ſolo. percioche quelli colori vennero appiccati intorno alla bocca del cane di maniera, che ella parue proprio ſchiuma, che di bocca gli vſciſſe. Questo ſteſſo dicono eſſere auuenuto a Nealce pittore, nel fare medeſimamente la ſchiuma alla bocca d’vn cauallo anſante, o hauẽdolo apparato da Protogene, o eſſendoli auuenuto il caſo medeſimo. Questa figura di Protogene fu quella, che difeſe Rodi da Demetrio Re, il quale fieramente con grande eſercito la combatteua. percioche potendo ageuolmente prendere la terra dalla parte, doue ſi guardaua queſta tauola, che era luogo men forte. dubitando il Re, che la non veniſſe arſa nella furia de’ ſoldati, uolſe l’impeto dell’hoste altroue, & intanto gli trappaßò l’occaſione di vincere la terra. Stauaſi in questo tempo Protogene in vna ſua villetta, quaſi ſotto le mura della città, cioè dentro alle forze di Demetrio, e nel ſuo campo. ne per combattere, che ſi faceſſe, ne per pericolo che e’ portaſſe laſciò mai di lauorare. e chiamato vna fiata dal Re, & domandato in ſu che egli ſi fidaſſe, che coſi gli pareua star ſicuro fuor delle mura, riſpoſe; percioche egli ſapeua molto bene, che Demetrio haueua guerra con i Rodiani, e non con le arti. Fece Demetrio, piacendogli la riſpoſta di questo [p. lxxi modifica]artefice guardare, che’ non fuße da alcuno noiato, o offeſo. e perche egli non ſi haueße a ſcioperare, ſpeſſo andaua à viſitarlo. e tralaſciata la cura delle armi, e dell’hoste molte volte staua a vederlo dipignere fra i romori del campo, & il percuotere delle mura. e quinci ſi diſſe, poi che quella dipintura, che egli allora haueua fra mano, fu lauorata ſotto il coltello. e queſto fu quel Satiro di marauiglioſa bellezza, il quale, percioche egli appoggiandoſi a vna colonna ſi ripoſaua, hebbe nome il Satiro ripoſanteſi, il quale, quaſi nullo altro penſiero lo toccaſſe, miraua fiſo vna ſampogna, che egli teneua in mano. Sopra a quella colonna, haueua anco quel maeſtro dipinta vna quaglia tanto pronta, e tanto bella, che non era alcuno, che ſenza marauiglia la riguardaſſe. alla quale le dimestiche tutte cantauano, inuitandola a cõbattere. molte altre opere di questo artefice ſi laſciono indrieto per andare a gli altri, che hebbero pregio di cotale arte. Fra i quali fu al medeſimo tempo Aſclepiodoro, il quale nella proportione valſe vn mondo; e però da Apelle era in queſto marauiglioſamente lodato. hebbe da Mnaſone prencipe de gli Elatenſi, per dodici dei dipintili, trecento mine per ciaſcuno. Fra questi, merita d’eſſer raccontato Nicomaco, figliuolo, o diſcepolo di Ariſtodemo, il quale dipinſe Proſerpina rapita da Plutone, la qual tauola era in Roma nel Campidoglio ſopra la cappella della Giouentù. e nel medeſimo luogo vn’altra pur di ſua mano, doue ſi vedeua vna Vittoria, la quale in alto ne portaua vn carro inſieme con i cauagli. Dipinſe anco Apollo, e Diana, e Rhea madre de gli Dei, ſedente ſopra vn leone. medeſimamente alcune giouenche con alquanti ſatiri appreſſo, in atto di volere inuolandole trafugar via, & vna Scilla, che era a Roma nel tempio della Pace. niuno di lui in queſta arte fu piu presto di mano. e ſi dice, che hauendo tolto a dipignere vn ſepolcro, che faceua fare a Teleſte poeta Ariſtrato prencipe de’ Sicionij, in termine di non molto tempo, & eſſendo venuto tardi a l’opera, e crucciandoſene, e minacciandolo Ariſtrato, egli in pochißimi giorni lo dette compito con preſtezza, & deſtrezza marauiglioſa. Diſcepoli ſuoi furono Aristide fratello ſuo, & Ariſtocle figliuolo, e Philoxeno d’Heretria. di cui ſi dice eſſere ſtata vna tauola fatta per Caſſandro Re, entroui ritratta la battaglia d’Aleſſandro con i Perſi. la qual fu tale, che non merita d’eſſere laſciata indietro per alcun’altra. Fece molte altre coſe ancora, imitando la prestezza del maeſtro, & trouando nuoue vie, e piu breui di dipignere. A queſti ſi aggiunghino Nicofane gentile, e pulito artefice, e Perſeo diſcepolo d’Apelle, il quale molto fu da meno del maestro. Furono al medeſimo tempo alcuni altri, che partendoſi da quella maniera grãde di queſti detti di ſopra eſercitarono l’ingegno, e l’arte in coſe molto piu baſſe, ma che furono tenute in pregio aſſai, ne meno stimate delle altre. Tra i quali fu Pireo, che dipigneua, e ritraeua botteghe di barbieri, di calzolai, tauerne, aſini, lauoratori, e coſi fatte coſe, onde egli traſſe anco il ſopranome, che ſi chiamaua il dipintore delle coſe baſſe. le quali, nõdimeno per eſſere lauorate cõ bella arte non erano stimate meno, che le magnifiche, & le honorate. Altri fu che dipinſe molto bene le ſcene delle comedie, & da questo hebbe nome, & altri altre diuerſe coſe, variando aſſai dalli graui, e celebrati pittori, non ſenza [p. lxxii modifica]grande vtile loro, e diletto altrui. Fu anco poi all’età d’Augusto vn Ludio, il primo, che cominciaſſe à dipignere per le mura con piaceuolißimo aſpetto ville, loggie, giardini, ſpalliere fronzute, ſelue, boſchetti, viuai, laghi, riuiere, liti, & piaceuoli imagini di viandanti, di nauiganti, di vetturali, e d’altre ſimili coſe in bella proſpettiua; altri, che peſcauano, cacciauano, vendemmiauano, femmine che correuano; e fra queste molte piaceuolezze, e coſe da ridere meſcolate. Ma e’ pare, che non ſieno stati celebrati di questi cotali alcuni tanto quanto quelli antichi, i quali in tauole ſolamente dipinſero. e percio è in grandißima riuerenzia l’antichità. percioche quei primi artefici non adoperauano l’arte loro, ſe non in coſe, che ſi poteſſero tramutare, e fuggire le guerre, & gl’incendij, e l’altre rouine. e agli antichi tempi in Grecia ne in publico, ne in priuato non ſi truoua mura dipinte da nobili artefici. Protogene viſſe in vna ſua caſetta con poco d’orto, ſenza ornamento alcuno di ſua arte. Apelle niuno muro dipinſe giamai. tutta l’arte di questi ſolẽni maestri, ſi daua alli communi, & il pittor buono era coſa publica riputato. Hebbe alcuno nome poco inanzi alla età d’Auguſto vno Arellio, il quale fu tanto diſſoluto nello amore delle femmine, che mai non fu ſenza, e perciò dipignendo dee ſempre vi ſi riconoſceua drento alcuna delle da lui amate, e le meretrici steſſe. Tra questi detti di ſopra non ſi vuol laſciar indietro Pauſia Sicionio, diſcepolo di quel Panfilo, che fu anco maeſtro d’Apelle, il quale pare, che fuſſe il primo, che cominciò a dipignere per le caſe i palchi, & le volte, il che innanti non s’era vſato. Dipigneua coſtui per lo piu tauolette picciole, e maßimamente fanciulli. il che i ſuoi auuerſarij diceuano farſi da lui: percioche quel modo di lauorare era molto lungo, onde egli per acquiſtare nome di ſollecito, e preſto dipintore quando voglia, o biſogno glie ne veniſſe fece in vn giorno ſolo vna tauola, la quale da questo fu chiamata il lauoro d vn ſolo giorno, entroui vn fanciul dipinto molto bello. Fu innamorato coſtui in ſua giouanezza d’vna fanciulletta di ſua terra, che faceua grillande di fiori, e recò nell’arte vna infinità di fiori di mille maniere, quaſi facendo con lei, cui egli amaua, a gara; & in vltimo dipinſe lei con vna grillanda di fiori in mano, la quale ella teſſeua, e queſta tauola fu ſtimata di grandißimo prezzo, & da colei, che v’era entro dipinta, hebbe nome la grillanda teſſente. il ritratto della quale di mano d’un altro buon maestro comperò Lucullo in Athene duoi talenti. Fece queſto artefice medeſimo alcune altre opere molto magnifiche, come fu vn ſacrificio di buoi, del quale ſe ne adornò in Roma la loggia di Pompeo Magno; all’eccellenza della quale opera, & all’inuentione ſi ſono prouati d’arriuare molti, ma niuno vi aggiunſe giamai. Egli primieramente, volendo mostrare con bella arte la grandezza d’vn bue, lo dipinſe non per lo lungo, ma in iſcorcio, & in tal maniera, che la lunghezza vi appariua giustißima, e poi concioſia che tutti coloro, che vogliono far parere in piano alcuna coſa di rilieuo adoperino color chiaro, e bruno, meſcolandoli inſieme con certa ragione, e proporzione; egli lo dipinſe tutto di color bruno, e del medeſimo fece apparir l’ombre del corpo. grande arte certamente nel piano far parere le coſe di rilieuo, e nel rotto intere. Viſſe coſtui in Sicione, che lungo tempo fu [p. lxxiii modifica]questa terra quaſi la caſa della pittura, & onde tutte le nobili tauole, che molte ve ne hebbe, per debito del comune pegnorate, furono poi portate a Roma da Scauro Edile, per adornare nella ſua magnifica festa il foro Romano. Dopo queſto Pauſia Eufranore da Iſmo auãzò tutti gli altri di ſua età, & viſſe intorno a gli anni della Olimpiade 124. che batte intorno a l’anno di Roma 430. auẽga, che egli lauoraße anco in marmo, in metallo, & in argẽto coloßi, & altre figure, che fu molto ageuole ad imprẽdere qualũche ſi fuſſe di queste arti, ma bene le eſercitaua con molta fatica, & in tutte fu ugualmẽte lodato. Hebbe vanto d’eſſere il primo che alle imagini de gli Heroi deſſe tale maeſtà, quale a quegli ſi cõuiene, e che nelle ſue figure vſaſſe ottimamente le proporzioni, come che nel fare i corpi alle ſue figure pareſſe vn poco ſottile, e ne capi, e nelle mani maggior del douere. L’opere di lui piu lodate ſono vna battaglia di caualieri, dodici dei, vn Theſeo, ſopra il quale ſoleua dire il ſuo eſſere paſciuto di carne, & quel di Parraſio di roſe. Vedeuaſi del medeſimo a Epheſo vna tauola molto nobile, doue era Vliſſe, il quale fingendoſi stolto metteua a giogo vn bue, & vn cauallo. E Palamede, che naſcondeua la ſpada in vn faſcio di legne. Al medeſimo tempo fu Ciclia, vna tauola di cui contenente gli Argonauti comperò Hortenſio Oratore, credo quarantaquattro talenti, & a queſta ſola a Tuſcolo ſua villa fabricò vna cappelletta. Di Eufranore fu diſcepolo Antidoto, di cui ſi diceua eſſere in Athene vno con lo ſcudo in atto di combattere, vno che giocaua alla lotta, vno che ſonaua il flauto lodati ecceßiuamente. Fu costui per ſe chiaro aſſai, ma molto piu per eſſere ſtato ſuo diſcepolo Nicia Athenieſe, quegli che coſi bene dipinſe le femmine, & il chiaro, e l’oſcuro nelle ſue opere coſi bene raſſembrò, di maniera che le opere di lui tutte pareuano nel piano rileuate, nel che egli ſi sforzò, e valſe molto. l’opere di costui molto chiare furono vna Nemea, la quale à Roma da Sillano fu portata d’Aſia, medeſimamente vn Bacco, il quale era nel tempio della Concordia, vno Hiacintho, il quale Ceſare Agusto piacendogli oltre modo portò ſeco a Roma d’Aleſſandria, poi che eſſo l’hebbe preſa. e perciò Tiberio Ceſare nel tempio di lui lo conſacrò a Diana. A Epheſo dipinſe il ſepolcro molto celebrato di Megaliſia ſacerdoteſſa di Diana. In Athene, l’inferno d’Homero, che nella Greca lingua ſi chiama Necia, il quale egli dipinſe con tãta attenzione d’aĩo, & con tãto affetto, che bene ſpeſſo domãdaua i ſuoi famigliari, ſe egli quella mattina haueua deſinato o nò. la qual pittura, potẽdola vendere alcuni dicono a Attalo Re, & altri a Tolõmeo ſeſſanta talẽti, volle piu tosto farne dono alla patria ſua. Dipinſe inoltre figure molto maggiori del naturale, ciò furono Calipſo, Io, Andromeda, Aleſſandro, che a Roma ſi vedeua nella loggia di Põpeo, & vn’altra Calipſo a ſedere. Fu nel ritrarre le bestie marauiglioſo, & i cani principalmente. Questi è quel Nicia, di cui ſoleua dire Praßitele, domandato qual delle ſue figure di marmo egli haueſſe per migliore, quelle a cui Nicia haueua poſto l’vltima mano, tanto daua egli a quella vltima politura, con la quale ſi finiſcono le statue. Fu giudicato pare a questo Nicia, e forſe maggiore vno Athenione Maronite diſcepolo di Glaucone da Coranto, tutto che nel colorire fuſſe [p. lxxiv modifica]alquanto piu austero, ma tale nondimeno, che quella ſeuerità dilettaua; e che nell’arte di lui ſi mostraua molto ſapere. Dipinſe nel tempio di Cerere Eleuſina nella Attica Filarco, & in Athene quel gran numero di femmine, che in certi ſacrifizij andauano à proceßione con canestri in capo. Diedegli gran nome vn cauallo dipinto, con vno, che lo menaua. e medeſimamente Achille, il quale ſotto habito feminile naſcoſo, era trouato da Vliſſe, & ſe egli non fuſſe morto molto giouane non haueua pare alcuno. Fu anco quaſi a questa età medeſima in Athene Metrodoro filoſofo inſiememente e pittore, & grande nell’vna, e nell’altra profeßione, di maniera, che poi che Paolo Emilio hebbe uinto, e preſo Perſe Re di Macedonia chiedendo agli Athenieſi, che gli procacciaſſero un filoſofo, che inſegnaſſe à’ figliuoli, & uno pittore che gli adornaſſe il trionfo, gli Athenieſi di comun parere li mandarono Metrodoro ſolo, giudicãdolo ſufficiẽte a l’una coſa, & a l’altra, il che approvò Paolo medeſimo. Fu anco poi al tempo di Giulio Ceſare dittatore vno Timomaco di Biſanzio, il quale dipinſe vno Aiace, & vna Medea, le quali tauole furono vendute ottanta talenti. Di questo medeſimo fu molto lodato vno Oreste, & vna Efigenia, & Lecito maeſtro di eſercitare i giouani nelle palestre, & ancora alcuni Athenieſi in mãtello, altri in atto di aringare, & altri à ſedere. e come, che in tutte queste opere sij lodato molto, pare nondimeno che l’arte lo fauoriſſe molto piu nel Gorgone. Di quel Pauſia detto di ſopra fu figliuolo, e diſcepolo Aristolao pittore molto ſeuero, del quale furono opere Epaminonda, Pericle, Medea, la Virtù, Teſeo, & il ritratto della plebe di Athene, & un ſacrificio di buoi. Hebbe anchora a chi piacque Menochare diſcepolo di quello steſſo Pauſia, la virtù, & diligenza del quale intendeuano ſolamente coloro, che erano dell’arte. Fu rozzo nel colorire, ma abondante molto. Tra le opere di cui ſono celebrate queste, Eſculapio con le figliuole, Igia, Egle & Pane, e quella figura neghittoſa, che chiamarono Ocno, che è vn pouero huomo, che teſſe vna fune di ſtramba, & vno aſino drieto, che la ſi mangia, non accorgendoſene egli. E questi che noi inſino a qui habbiamo raccontati furono di cotale arte tenuti i principali. Aggiugnerannoſi alcuni altri, che li ſecondarono appreſſo, non gia per ordine di tempo non ſi potendo rinuenire l’età loro coſi apunto, come Aristoclide, il quale ornò il tempio del Delfico Apollo, & Antifilo di cui è molto lodato vn fanciullo, che ſoffia nel fuoco, tale, che tutta vna stanza ſe ne alluma. Medeſimamente vna bottega di lana, doue ſi veggono molte femmine in diuerſe maniere ſollecitar ciaſcuna il ſuo lauoro. Vno Tolommeo in caccia, & vn Satiro bellißimo con pelle di Pantera indoſſo. Aristofane ancora è in buon nome per vno Anchelao ferito dal Cignale con Astipale dolente oltra modo. & inoltre per vna tauola entroui Priamo, la ſemplice Credenza, l’Inganno, Vliſſe, & Deifebo. Androbio ancora dipinſe vna Scilla, mostro marino, che tagliaua l’ancore del nauilio de’ Perſi. Artemone vna Danae in mare portata da’ venti, & alcuni corſali, i quali con iſtupore la rimirauano, la regina Stratonica, vno Hercole, & vna Deianira. Ma oltre a modo furono di lui chiare quelle che erano in Roma nelle loggie di Ottauia, ciò furono vno Hercole [p. lxxv modifica]nel monte Eta, che nella pira ardendo, e laſciando in terra l’humano, era riceuuto in cielo nel diuino di comun parere de gli dei, & la storia di Nettuno, e d’Hercole intorno a Laomedonte. Alcidamo anco dipinſe Dioſippo, che ne’ giuochi Olimpici alla lotta inſieme, & alle pugna haueua vinto, come era il prouerbio, ſenza polvere. Vno Crhreſiloco, il quale fu diſcepolo d’Apelle ritraſſe Gioue, e nel vero con poca reuerenzia in atto di voler partorire Bacco, lagnanteſi a guiſa di femmina fra le mani delle leuatrici, con molte delle dee intorno, le quali dolenti, & lagrimanti miniſtrauano al parto. Vno Cleſide, parendogli hauer riceuuto ingiuria da Stratonica regina, non eſſendo stato da lei accettato, come pareua ſe li conueniſſe dipinſe il Diletto in forma di femmina inſieme con un peſcatore, che ſi diceua eſſere amato dalla regina, & laſciò queſta tauola in Epheſo in publico, e noleggiata vna naue con gran preſtezza fauorito da’ venti fuggi via. la regina non volle che ella foſſe quindi leuata, come che questo artefice l’haueſſe molto bene raſſembrata in quella figura, & il peſcatore altreſi ritratto al naturale. Nicearco dipinſe Venere, & Cupido fra le Grazie, & vno Hercole meſto in atto di pentirſi della pazzia. Nealce dipinſe vna battaglia nauale nel Nilo, fra i Perſi, & gli Egittij. e per ciò, che le acque del Nilo per la grandezza di quel fiume raſſembrano il mare, accioche la coſa fuſſe riconoſciuta con bel trouato, e grazia marauiglioſa, dipinſe alla riua vno aſinello, che beeua, & poco piu oltre vn gran cocodrillo in aguato per prenderlo. Filiſco dipinſe vna bottega d’vn dipintore con tutti i ſuoi ordigni, & vn fanciullo, che ſoffiaua nel fuoco. Theodoro vn che ſi ſoffiaua il naſo: il medemo dipinſe Oreſte, che uccideua la madre, & Egisto adultero: & in piu tauole la guerra Troiana, laquale era in Roma nella loggia di Filippo, & vna Caſſandra nel tempio della Concordia. Leontio dipinſe Epicuro filoſofo penſoſo, e Demetrio Re. Tauriſco vno di coloro, che ſcagliauano in aria il diſco, vna Clitenneſtra, vno Polinice, il quale ſi appreſtaua per tornare nello stato, & vn Capaneo. Non ſi deue laſciare indietro vno Erigono macinatore di colori nella bottega di Nealce, il quale ſalſe in tãta eccellenza di queſt’arte, che non ſolo egli fu di gran pregio, ma di lui ancora rimaſe diſcepolo quel Pauſia, di cui di ſopra habbiamo detto, che fu molto chiaro nel dipignere. Bella coſa è anchora, & degna d’eſſere raccontata, che molte opere vltime, & non finite di cotali maeſtri furono piu stimate, & piu tenute care, & con maggior piacere, & marauiglia riguardate, che le perfettißime, & l’intere. quale fu l’Iride di Aristide, i gemelli di Nicomaco, la Medea di Timomaco, e la Venere di Apelle, di cui diſopra dicemo. Queste tauole furono in grandißimo pregio, & ſommamente dilettarono vedendoſi in loro, per i diſegni rimaſi, i penſieri dello artefice: & quello che di loro mancaua, con vn certo piaceuol diſpiacere piu ſi haueua caro, che il perfetto di molte belle, & da buon maeſtri opere compiutamente fornite. E queſti voglio, che inſino a qui, fra li quaſi infiniti, che in cotale arte fiorirono mi basti hauere raccontati, li quali per lo piu o furono Greci, o delle parti alla Grecia vicine. Hebbero ancora di cotale arte pregio alcune donne, le quali di loro ingegno, & maeſtria abbellirono l’arte del ben [p. lxxvi modifica]dipignere. Infra le quali Timarete figliuola di Micone pittore dipinſe vna Diana, la quale in Epheſo fu fra le molte, & molto nobili, & antiche tauole celebrata. Irena figliuola, & diſcepola di Cratino, dipinſe vna fanciulla nel tempio di Cerere in Attica. Alcistene vno Saltatore. Ariſtarte figliuola, & diſcepola di Nearco vno Eſculapio. Martia di Marco Varrone nella ſua giouanezza adoperò il pennello, & ritraſſe figure, maßimamente di femmine, & la ſua isteſſa dallo ſpecchio; & ſecondo ſi dice niuna mano menò mai piu veloce pennello; & trapaßò di gran lunga Sopilo, & Dioniſio pittori della ſua età, i quali di loro arte molti luoghi empierono, & adornarono. Dipinſe anco vna Olimpiade, della quale nõ rimaſe altra memoria, ſe nõ ch’ella fu maeſtra di Antobulo. Fu in qualche pregio anco appreſſo i Romani cotale arte: poſcia che i Fabij honorati cittadini non ſdegnarono hauer ſopra nome il dipintore. Tra i quali, il primo che coſi fu per ſopra nome chiamato, dipinſe il tempio della Salute l’anno dl. dalla fondazione di Roma, la quale dipintura durò oltre all’età di molti Imperadori & inſino che quel tempio fu abbruſciato. Fu ancora in qualche nome Pacuuio poeta, dalla cui mano fu adorno il tempio di Hercole nella piazza del mercato de’ buoi. Costui, come ſi diceua, fu figliuolo d’vna ſorella di Ennio poeta, & fu chiara in lui cotale arte molto piu per eſſere ſtata accõpagnata dalla Poeſia. Dopo coſtoro non trouo io in Roma da perſone nobili cotale arte eſſere stata eſercitata, ſe gia non ci piaceſſe mettere in queſto numero Turpilio caualier Romano, il quale a Verona dipinſe molte coſe, le quali molto tempo durarono. lauoraua coſtui con la ſiniſtra mano, il che di niuno altro ſi ſa eſſere auuenuto. di cui opera furono molto lodate alcune picciole tauolette. Aterio Labeone ancora, il quale era ſtato pretore, & haueua tenuto il gouerno della prouincia di Nerbona dipinſe. Ma questo ſtudio negli vltimi tempi appreſſo i Romani era venuto in diſpregio, & riputato vile. Non voglio però laſciar di dire quello, che di cotale arte giudicaſſero i primi, maggior cittadini di Roma. Percioche a Q. Pedio, nipote di quel Pedio, che era ſtato conſolo, & haueua trionfato, & che da Giulio Ceſare nel testamento era ſtato laſciato in parte herede con Agusto, eſſendo nato mutolo, fu giudicato da Meſſala quel grande oratore, della cui famiglia era l’auola di quel fanciullo mutolo, che ſi doueſſe inſegnare a dipignere, il che fu confermato da Agusto, il quale ſaliua di cotale arte in gran nome, ſe in breue non haueſſe finito i giorni ſuoi. Pare, che l’opere di pittura cominciaſſero in Roma ad eſſere in pregio al tempo di Valerio Maßimo; quando Meſſala il primo poſe nella curia di Hoſtilio, doue ſi ſtrigneua il Senato, vna battaglia dipinta, nella quale egli haueua in Cicilia vinto i Cartagineſi, et Hierone Re l’anno dalla fondazione di Roma 490. Fece questo medeſimo poi L. Scipione, il quale conſacrò nel Campidoglio vna tauola, doue era dipinta la vittoria, che egli haueua hauuto in Aſia. E’ ſi dice, che il fratello, Scipione Africano, l’hebbe molto a male, concio fuſſe coſa, che in quella battaglia medeſima il figliuol di lui fuſſe rimaſo prigione. Giouò molto a l’eſſere fatto conſolo a Hoſtilio Mancino, il mettere in publico vna ſimil tauola, doue era dipinto il ſito, & [p. lxxvii modifica]l’aßedio di Cartagine, che ſe lo arrecò à grande ingiuria il ſecondo Africano, il quale conſolo l’haueua ſoggiogata; percioche Mancino ſtaua preſente, moſtrando al popolo, che deſideraua di intenderle coſa per coſa. e queſta publica corteſia, come noi dicemo ad ottenere il ſommo magistrato li fece gran fauore. Fu di poi molti anni l’ornamento della ſcena di Appio Pulchro tenuto marauiglioſo, il quale ſi dice, che fu di ſi bella proſpettiua, che le cornacchie, credẽdolo vero al tetto dipinto volauano per ſopra poſaruiſi. Ma le dipinture foreſtieri, per quãto io ritraggo, allora cominciarono ad eſſere care, & tenute marauiglioſe; quãdo L. Mummio, il quale per hauer vinta l’Achaia parte della Grecia, hebbe ſopranome l’Achaico, cõſagrò al tempio di Cerere vna tauola di Ariſtide; percioche nel vendere la preda, hauendo tenuto poco conto di molte coſe nobili, & vdendo dire, che Attalo Re l’haueua incantata vn gran numero di denari, marauigliandoſi del pregio, & estimando per cagione d’eſſo, che in quella tauola doueſſe eſſere alcuna virtu forſe a lui naſcoſa volle, che la vendita ſi ſtornaſſe, dolendoſene, & lamentandoſene molto quel Re. Et queſta tauola delle foreſtieri ſi crede, che fuſſe la prima, che ſi recaſſe in publico. Ma Ceſare dittatore dipoi diede loro grandißima riputazione, hauendo oltre a molte altre conſagrato nel tempio di Venere, origine di ſua famiglia, vno Aiace, & vna Medea, figure bellißime. Dopo lui Marco Agrippa piu toſto rozzo di ſimil leggiadrie, che altrimenti comperò da quelli di Cizico di Aſia due tauole Aiace, & Venere, & le miſe in publico, & egli ſteſſo con lungo, & bel ſermone s’ingegnò di perſuadere, acciò che ciaſcuno ne poteſſe prendere diletto, & che piu ſe ne adornaſſe la città, che tutte cotali opere ſi doueſſero recare a comune, il che era molto meglio, che quaſi in perpetuo eſilio per i contadi, & nelle ville de’ priuati laſciarle inuecchiare, & perderſi. Oltre a queſte poi Ceſare Agusto nella piu bella, & piu ornata parte del ſuo foro poſe due tauole bellißime, l’imagine della guerra legata al carro del trionfante Aleſſandro di mano di Apelle, & i Gemelli, & la vittoria. Dopo coſtoro, recandoſi la coſa ad honore, & magnificenza furono molti, i quali ne i loro magnifichi templi, & ampie loggie, & altri ſuperbi edificij publici infinite ne conſacrarono. Et andò tanto oltre la coſa, & a tanto honore ſe le recarono, (potendo ciò che voleuano i prencipi Romani, & i poſſenti Cittadini) che in brieue tutta la Grecia, & l’Aſia, & altre parti del mondo ne furono ſpogliate, & Roma non ſolo in publico, ma in priuato ancora ſe ne riueſtì, & ſe ne adornò, durando questa sfrenata voglia molto, & molte etadi, & molti Imperadori ſe ne abbellirono. Et come questo auuenne nelle coſe dipinte, coſi & molto piu nelle ſtatue di bronzo, & di marmo, delle quali à Roma ne fu portato d’altronde, & ne fu fatto ſi gran numero, che ſi teneua per certo, che vi fuſſe piu ſtatue, che huomini: delle arti delle quali, e de’ maeſtri piu nobili di eſſe, è tẽpo homai, che come habbiamo fatto de’ pittori, & delle pitture, coſi anco alcune coſe ne diciamo, quanto però pare, che al nostro proponimento ſi conuenga. Et però che egli pare, che il ritrarre di terra ſia comune a molte arti non ſi potendo coſi [p. lxxviii modifica]bene diuiſare nella mente dello artefice, ne coſi ben diſegnare le figure, le quali ſi deono formare; diremo, che queſta arte ſia madre di tutte quelle, che in tutto, o in parte in qualunche modo rileuano, maßimamente, che noi trouiamo, che queſte figure di terra in quei primi ſecoli furono in molto honore, & a Roma maßimamente quando i cittadini vi erano rozzi, & il comune pouero, doue hebbero molte imagini di quelli dei, che eßi adorauano di terra cotta, e ne ſacrificij appreſſo di loro furono in vſo i vaſi di terra. & molto piu ſi crede, che piaceſſe alli dei la ſemplicità, & pouertà di quei ſecoli, che l’oro, & l’argento, & la pompa di coloro, li quali poi vennero. Il primo, che ſi dice hauer ritratto di terra fu Dibutade Sicionio, che faceua le pentole in Coranto; & ciò per opera d’vna ſua figliuola, la quale eſſendo innamorata d’vn giouane, che da lei ſi deueua partire, ſi dice, che a lume di lucerna, con alcune linee haueua dipinta l’ombra della faccia di colui, cui ella amaua, drento alla quale poi il padre eſſendole piaciuto il fatto, & il diſegno della figliuola, di terra ne ritraſſe l’imagine, rileuandola alquanto dal muro; e questa figura poi aſciutta, con altri ſuoi lauori miſe nella fornace; & dicono, che la fu conſecrata al tempio delle Ninfe & che ella durò poi inſino al tempo, che Mummio conſolo Romano disfece Coranto. Altri dicono, che in Samo Iſola fu primieramente trouata queſta arte da vno Ideoco Rheto, & vno Teodoro molto innanzi a questo detto di ſopra, & inoltre, che Demarato padre di Tarquinio Priſco, fuggendoſi da Coranto ſua patria, haueua portato ſeco in Italia arte cotale, cõducendo in ſua compagnia Eucirapo, & Eutigrammo maestri di far di terra; & che da coſtoro cotale arte ſi ſparſe poi per l’Italia, & in Toſcana fiorì molto, & molto tempo. Il primo poi, che ritraeſſe le imagini de gli huomini col geſſo stemperato, & del cauo poi faceſſe le figure di cera riformandole meglio ſi dice eſſere ſtato Liſistrato Sicionio fratello di Liſippo. & queſti fu il primo, che ritraeſſe dal viuo, eſſendoſi sforzati innanzi a lui gli altri maestri di far le ſtatue loro piu belle, che eßi poteſſſero. & fu queſto modo di formare di terra tanto comune, che niuno cer buon maestro, che ei fuſſe ſi miſe à fare ſtatue di bronzo, fondendolo, o di marmo, o di altra nobile materia leuandone, che prima non ne faceſſe di terra i modegli. onde ſi puo credere, che queſta arte, come piu ſemplice, & molto vtile fuſſe molto prima, che quella, la quale cominciò in bronzo a ritrarre. Furono in queſta maniera di figure di terra cotta molto lodati Dimofilo, e Gorgaſo, i quali parimente furono dipintori, & a Roma dell’vna, e dell’altra loro arte adornarono il tempio di Cerere, laſciandoui verſi ſcritti ſignificanti, che la deſtra parte del tempio era opera di Dimofilo, & la ſinistra di Gorgaſo. E Marco Varrone ſcriue, che innanzi a coſtoro tutte opere cotali, che ne’ templi a Roma ſi vedeuano erano ſtate fatte da’ Toſcani. & che quando ſi rifece il tempio di Cerere molte di quelle imagini Greche erano ſtate del muro da alcuni leuate, i quali rinchiudendole drento a tauolette d’aſſe le portarono via. Calcoſtene fece anco in Athene molte imagini di terra. e da la ſua bottega quel luogo, che in Athene fu poi cotanto celebrato, & doue furono poſte tante ſtatue, & da cotale arte fu chiamato Ceramico. Il medeſimo [p. lxxix modifica]Marco Varrone laſciò ſcritto, che a ſuo tempo in Roma fu vn buon maestro di cotale arte, il quale egli molto ben conoſceua, & era chiamato Poſſonio, il quale oltre a molte opere egregie ritraſſe di terra alcuni peſci ſi begli, & ſi ſomiglianti, che non gli hareſti ſaputo diſcernere da’ veri, e da i viui. Loda il medeſimo Varrone molto vno amico di Lucullo, i modegli del quale ſi ſoleuano vendere piu cari, che alcun’altra opera di qualunche artefice; & che di mano di coſtui fu quella bella Venere, che ſi chiamò genitrice, la quale, innanzi che fuſſe interamente compiuta, hauendone fretta Ceſare fu dedicata, & conſacrata nel foro. di mano di queſto medeſimo vn modello di geſſo d’vn vaſo grande da vino, che voleua far lauorare Ottauio caualier Romano, ſi vendè vn talento. Loda molto Varrone il detto di Praßitele, il quale diſſe, che queſta arte di far di terra era madre di ogni altra, che in marmo, o in brõzo facci figure di rilieuo, o in quale altra ſi vogli materia: & che quel nobile maeſtro non ſi miſe mai a fare opera alcuna cotale, che prima di terra non ne faceſſe il modello. Dice il medeſimo autore, che questa arte fu molto honorata in Italia, & ſpezialmente in Toſcana. Onde Tarquinio Priſco Re de’ Romani chiamò vn Turiano, maeſtro molto celebrato, a cui egli dette a fare quel Gioue di terra cotta, che ſi deueua adorare, e conſacrare nel Campidoglio, e ſimilmente i quattro caualli agiogati, i quali ſi vedeuano ſopra il tempio. e ſi credeua ancora, che del medeſimo maeſtro fuſſe opera quello Hercole, che lungo tempo ſi vidde a Roma, e dalla materia, di che egli era fu chiamato l’Hercole di terra cotta. Ma, percioche questa arte, come che da per ſe la ſia molto nobile; & origine delle piu honorate tuttauia, peroche la materia in che ella lauora è vile, & l’opere d’eſſa poſſono ageuolmente riceuer danno, e guastarſi, & per lo piu a fine ſi fa di quelle, che ſi fondano di bronzo, & ſi lauorano di marmo, e però che coloro, che in eſſa ſi eſercitarono, e vi hebber nome, ſono anco in queſte altre chiari, laſcieremo di ragionare piu di lei, & verremo a dire di coloro, che di bronzo ritrahendo furono in maggior pregio, che volere ragionare di tutti ſarebbe coſa ſenza fine. Furono appreſſo i Greci, i quali queſte arti molto piu che alcun’altra natione, & molto piu nobilmente l’eſercitarono, in pregio alcune maniere di metallo l’vna dall’altra differenti, ſecondo la lega di quello. e quinci auenne, che alcune figure d’eßo ſi chiamarono Corinthie, altre Deliace, & altre Eginetiche, non che il metallo di questa, o di quella ſorte in questo, o in quel luogo per natura ſi faceſſe, ma per arte meſcolando il rame chi con oro, chi con argento, e chi con istagno, & chi piu, & chi meno, le quali miſture gli dauano poi proprio colore, e piu, e men pregio, & inoltre il proprio nome. ma fu in maggiore stima il metallo di Coranto, o fuße in vaſellamento, o fuße in figure, le quali furono di tal pregio, & di ſi rara, & ecceßiua bellezza, che molti grandi huomini quando andauano attorno le portauano per tutto ſeco, & ſi troua ſcritto, che Aleßandro Magno, quando era in campo reggeua il ſuo padiglione con istatue di metallo di Coranto, le quali poi furono portate a Roma. Il primo, che fuße chiaro in queſta ſorte di lauoro, ſi dice eſſere ſtato quel Fidia Athenieſe cotanto celebrato, il quale, oltre a lo hauer fatto nel [p. lxxx modifica]tempio Olimpico quel Gioue dello auorio ſi grande, & ſi venerãdo, fece anco molte ſtatue di bronzo. & auenga, che auanti a lui queſt’arte fuſſe ſtata molto in pregio, & in Grecia, & in Toſcana, & altroue, nondimeno ſi giudicò che egli di cotanto auanzaſſe ciaſcuno, che in tale arte haueſſe lauorato, che tutti gli altri ne diueniſſero oſcuri, & ne perdeſſero il nome. Fiori queſto nobile artefice ſecondo il cõto de’ Greci, nella Olimpiade ottantreeſima, che batte al cõto de’ Romani intorno a l’anno trecenteſimo, dopo la fondazione di Roma, & durò l’arte in buona riputazione dopo Fidia forſe centocinquanta anni, o poco piu, ſeguendo ſempre molti diſcepoli i primi maestri, i quali in questo ſpazio furono quaſi che ſenza numero. & queſte due, o tre etadi produſſero il fiore di queſta arte. Benche alcuna volta poi eſſendo caduta riſorgeſſe, ma non mai con tanta nobiltà, ne con tanto fauore. L’eccellenzia della quale mi sforzerò porre in queſte carte, ſecondo, che io trouo da altri eſſerne stato ſcritto. Et prima ſi dice, che furono fatte ſette Amazone, le quali ſi conſecrarono in quel tanto celebrato tempio di Diana Efeſia, a concorrenza da’ nobilißimi artefici: benche non tutte in vn medeſimo tempo. la bellezza, & la perfettione delle quali non ſi potendo coſi bene da ciaſcuno eſtimare, eſſendo ciaſcuna d’eſſe degna molto di eſſere commendata, giudicarono quella douer eſſere la migliore, & la piu bella, che i piu de gli artefici, che alcuna ne haueſſero fatta, commendaßero piu dopo la ſua propria. Et coſi toccò il primo vanto a quella di Policleto, il ſecondo a quella di Fidia, il terzo a quella di Creſilla, & coſi di mano in mano, ſecondo queſto ordine l’altre hebbero la propria loda. & queſto giudizio fu riputato verißimo. & a queſto poi ſtette ciaſcuno, hauẽdole per tali. Fidia, oltre a quel Gioue d’auorio, che noi dicemo, la quale opera fu di tanta ecceßiua bellezza, che niuno ſi trouò, che con ella ardiße di gareggiare, & oltre a vna Minerua pur d’auorio, che ſi guardaua in Athene nel tempio di quella dea, & oltre a quella Amazone, fece anco di bronzo vna Minerua di bellißima forma. la quale dalla bellezza fu la bella chiamata, & vn’altra ancora, la quale da Paolo Emilio fu al tẽpio della Fortuna cõſacrata. & due altre figure Greche cõ il mantello, le quali Q. Catulo poſe nel medeſimo tempio. Fece di piu vna figura di statura di coloßo, & egli medeſimo comincio, & mostrò come ſi dice a lauorare con lo ſcarpello di baßo rileuo. Venne dopo Fidia Policleto da Sicione, della cui mano fu quel morbido, & delicato giouane di bronzo con la benda intorno al capo, & che da quella ha il nome, il quale fu ſtimato, & comperato cẽto talenti; & del medeſimo anco fu quel giouinetto fiero, & di corpo robuſto, il quale dalla haſta, che ei teneua in mano, come ſuona la greca fauella, fu Doriforo nominato. Fece ancor egli quella nobil figura, la quale fu chiamata il Regolo della arte, dalla quale gli artefici, come da leggie giuſtißima ſoleuano prendere le miſure delle membra, & delle fattezze, che eßi intendeuano di fare; eſtimando quella in tutte le parti ſue perfettißima. Fece ancora vno, che ſi stropicciaua, & vno ignudo, che andaua ſopra vn pie ſolo, & duoi fanciulletti nudi, che giocauano a’ dadi, i quali da queſto hebbero il nome, i quali poi lungo tempo ſi uiddero a Roma [p. lxxxi modifica]nel palazzo di Tito Imperadore: della quale opera non ſi vide mai la piu cõpiuta. Fece medeſimamente vn Mercurio che ſi moſtraua in Liſimachia, & vno Hercole che era in Roma con Anteo inſieme, ilquale egli in aria ſoſtenendolo, e ſtrignẽdolo vccideua. & oltre a queste molte altre, le quali come opere di ottimo maeſtro furono per tutto estimate perfettißime, onde ſi tiene per fermo che egli deſſe ultimo compimento a queſta arte. fu proprio di questo nobile artefice temperare, e con tale arte ſoſpendere le ſue figure, che elle ſopra vn pie ſolo tutte ſi reggeſſero, o almeno che pareſſe. quaſi alla medeſima età fu anco celebrato infinitamente Mirone per quella bella giouenca, che egli formò di bronzo. la quale fu in verſi lodati molto cõmendata. fece anco vn cane di marauiglioſa bellezza, & vno giouane che ſcagliaua in aria il diſco, & vn Satiro, ilquale pareua che stupiſſe al ſuono della Sampogna, & vna Minerua, & alcuni vincitori de giuochi delfici, i quali per hauer vinto a due, o a tutti pentarli o pancratisti ſi ſoleuano chiamare. fece anco quel bello Hercole che era in Roma dal circo maßimo in caſa Pompeo magno. fece i ſepolchri del Cicala, e del Grillo come ne ſuoi uerſi laſcio ſcritto Erina poeteſſa. fece q(ue)llo Apollo, ilquale hauendolo inuolato Antonio triunuiro a quelli di Efeſo fu loro da Aguſto renduto eſſendoli cio in ſogno stato ricordato. Fu tenuto che coſtui per la uarietà delle maniere delle figure, e per il maggior numero che egli ne fece, e per le proporzioni di tutte le ſue opere piu diligente, e piu accorto di quei di prima. ma par bene che nel fare i corpi poneſſe maggiore studio che nel ritrarre l’animo, & nel dare ſpirito alle figure, e che ne capegli, e nelle barbe non fuſſe piu lodato, che ſi fuſſe ſtata l’antica rozezza degli altri. fu vinto da Pittagora Italiano da Reggio in vna figura fatta da lui, e posta nel tempio di Apollo a Delfo, laquale raſſembraua vno di quei campioni che alla lotta, & alle pugna inſiememente combatteuano, e che ſi chiamauano Panchratisti. Vinſelo anche Leontio; il quale a Delfo a cõcorrenza poſe alcune figure di giucatori olimpici. Iolpo ſimilmente il vinſe in vna bella figura d’un fanciullo che teneua vn libro, e d’un altro che portaua frutte, le quali figure ad Olimpia poi ſi uedeuano, doue le piu nobili, e le piu raguardeuoli di tutta la Grecia ſi cõſacrauano. di queſto medeſimo artefice era a Siracuſa un zoppo, ilquale dolendoſi nello andare pareua che a chi il miraua parimẽte porgeße dolore. fece ancora uno Apollo, ilquale con l’arco uccideua il ſerpente. Queſti il primo molto piu artificioſamente, e con maggior ſottigliezza ritraße ne corpi le uene & i nerui, & i capegli, e ne fu molto commendato. Fu un’altro Pitagora da Samo ilquale primieramente ſi eſercito nella pittura, e poi ſi diede a ritrarre nel bronzo, e di uolto, e di ſtatura ſi dice che era molto ſimigliante a quel detto poco fa, che fu da Reggio, e nipote di ſorella, e parimente diſcepolo. di mano di cui a Roma ſi uiddero alcune imagini di Fortuna nel tempio della iſteßa Iddea molto belle, mezze ignude. e per cio commendate, e molto uolentieri uedute. Dopo coſtoro fiori Lyſippo, il quale lauoro un gran numero di figure, e piu molto che alcuno altro: ilche ſi confermo alla morte ſua, percioche del pregio di ciaſcuna ſoleua ſerbarſi una moneta d’oro, e quella in ſicuro luogo tener guardata, e ſi dice che gli heredi ſuoi ne trouarono [p. lxxxii modifica]ſecento dieci, & a tal numero ſi tiene che arriuaßero le figure da lui fatte, e lauorate, la qual coſa a pena par che ſi poßa credere: ma nel vero che egli in queſto ogn’altro artefice uinceſſe non ſi puo dubitare, e fra le opere lodate di lui ſommamẽte piacque quella figura, la quale poſe Agrippa allo entrare delle ſue stufe, della quale inuaghi cotanto Tiberio Imperadore, che benche in molte coſe ſoleſſe uincere il ſuo appetito, e maſſimamente nel principio del ſuo Imperio, in queſto nondimeno nõ ſi potette tenere che mettendouene un’altra ſimile non faceſſe quella quindi leuare, et in camera ſua portarla, laquale fu con tanta instanza da tutto il popolo Romano nel Teatro, e con tanti gridi richiesta, & che ella quiui ſi riponeſſe dõde ella era ſtata leuata; che Tiberio benche molto l’haueſſe cara ne volle fare il popolo Romano contento ritornandola al ſuo luogo. Era queſta imagine d’uno che ſi stropicciaua, figura che troppo bene conueniua al luogo doue Agrippa l’haueua deſtinata. fu molto celebrato questo artefice in vna figura d’una femmina cantatrice ebbra, e in alcuni cani, e cacciatori marauiglioſamente ritratti, ma molto piu per vn carro del Sole con quattro cauagli, che egli fece a richiesta de Rodiani. Ritraſſe queſto nobile artefice Aleſſandro Magno in molte maniere cominciandoſi da pueritia, et d’età in eta, ſeguitando. vna delle quali ſtatue piacendo oltre a modo a Nerone la fece tutta coprire d’oro, laquale poi eßendone stata ſpogliata fu tenuta molto piu cara uedendouiſi entro le ferite, e le feſſure doue era stato l’oro commeſſo. Ritraſſe il medeſimo anche Efeſtione molto intrinſeco d’Aleſſandro. laqual figura alcuni crederono che fuſſe di mano di Policleto, ma s’ingannarono: percioche Policleto fu forſe cento anni inanzi ad Aleſſandro. Il medeſimo fece quella caccia di Aleſſandro, laquale poi fu conſacrata a Delfo nel tempio di Apollo. fece in oltre in Atene vna ſchiera di Satiri. ritraſſe con arte merauiglioſa raſſembrandoli uiui Aleſſandro Magno, e tutti li amici ſuoi, lequale figure Metello poi che hebbe uinta la Macedonia fece traportare a Roma. fece ancora carri con quattro cauagli in molte maniere, e ſi tiene per certo che egli arrecaſſe a questa arte molta perfettione, e ne i capegli i quali ritraſſe molto meglio, che nõ haueuano fatto i piu antichi, e nelle teste, lequali egli fece molto minori di loro. Fece anco i corpi piu aſſettati, e piu ſottili di maniera che la grandezza nelle statue n’appariua piu lunga: nelle quali egli oſſeruò ſẽpre marauiglioſa proportione partendoſi dalla groſſezza degli antichi, e ſoleua dire che innanzi a lui i maestri di cotale arte haueuano fatto le figure ſecondo che elle erano, & egli ſecondo che le pareuano. Fu proprio di questo artefice in tutte quante le opere ſue oſſeruare ogni ſottigliezza con grandiſſima diligenza, e gratia. Rimaſero di lui alcuni figliuoli chiari in questa arte medeſima. e ſopra li altri Euticrate. alquale piu piacque la fermezza del padre che la leggiadria, e s’ingegno piu di piacere nel graue, e nel ſeuero, che nel dolce, e nel piaceuole dilettare: doue il padre maßimamẽte fu celebrato, di costui fu in gran nome l’Hercole, che era a Delfo, & Aleßandro cacciatore, e la battaglia de Teſpienſi: & vn ritratto di Trofonio al ſuo oracolo. hebbe per diſcepolo Tiſicrate anch’eßo da Sicione, e ſapreſe molto alla maniera di Lyſippo, talmente che alcune figure apena ſi [p. lxxxiii modifica]riconosceuano ſe le erano dell’uno, o dell’altro maestro, come fu un uecchio Tebano: Demetrio Re: Peuceſte quello che campò in battaglia, e difeſe Aleßandro Magno, e furono queſti cotali cotanto stimati, & in tanto pregio tenuti, che chi ha ſcritto di cotali coſe gli loda ecceßiuamente, come anco un Telefane Foceo: ilquale per altro non fu apena conoſciuto: percioche in Teßaglia, la doue egli era quaſi ſempre uiuuto l’opere ſue erano state ſepolte. nondimeno per giudizio di alcuni ſcrittori fu poſto a paro di Policleto, e di Mrone, e di Pitagora. è molto lodata di lui vna Larißa, uno Apollo et un Cãpione vĩcitore a tutti i cĩq; giuochi: alcuni dißero che egli nõ e ſtato ĩ bocca de Greci, pero che egli ſi diede a lauorare in tutto per Dario, e per Xerſe Re Barbari, e che ne i loro regni fini la vita. Praßitele ancora auuenga che nel lauorare in marmo, come poco poi diremo, fuße tenuto maggior maestro, e per ciò ui habbi hauuto drento gran nome, nondimeno lauoro anche in bronzo molto ecceßiuamẽte, come ne fece fede la rapina di Proſerpina fatta da lui, e l’Ebrietà, & vno Bacco & vn Satiro inſieme di ſi marauiglioſa bellezza che ſi chiamò il celebrato. & alcune altre figure, lequali erano a Roma nel tempio della Felicità, & una bella Venere: la quale al tempo di Claudio Imperadore ardendo il tempio ſi guaſto, laquale era a nulla altra ſeconda. Fece molte altre figure lodate, & Armodio, et Aristigitone che in Atene vcciſero il tiranno, le quali figure hauendoſele Xerſe di Grecia portate nel regno ſuo, Aleſſandro poi che hebbe uinto la Perſia le rimandò grazioſamente agli Atenieſi, & in oltre vno Apollo giouinetto che con l arco teſo ſtaua per trarre a una lucertola, laquale li ueniua incontro, e da quello atto hebbe nome la figura che ſi chiamò lucertola uccidente. Vidonſi di lui parimente due bellißime figure l’una raſſembrante una honeſta mogliera che piangeua, e l’altra una femmina di mondo che rideua, e ſi crede che questa fuſſe quella Phrine famoſißima meretrice. e nel volto di quella honeſta donna pareua l’amore che ella portaua al marito, & in quello della dishonesta femmina l’ingordo prezzo, che ella chiedeua agli amanti. Pare che anco fuße ritratta la corteſia di queſto artefice in quel carro de quattro cauagli, che fece Calamide cotanto celebrato: percioche queſto artefice in formar cauagli non trouo mai pare, ma nel fare le figure humane non fu tanto felice, egli adunque a l’opera di Calamide, laquale era imperfetta diede il compimento aggiugnendoui il guidator de cauagli di arte marauiglioſa. fu anco molto chiaro in questa arte uno Ificle, ilquale oltre ad altre figure fece a nome degli Atenieſi una bella Liona con queſta occaſione. era in Atene una femmina chiamata Liona molto familiare di Ariſtogitone, e di Armodio per conto di amore, i quali in Atene uccidendo il tiranno vollono tornare il popolo nella ſua libertà. Costei eſſendo conſapeuole della congiura fu preſa, e con crudelißimi tormenti inſino a morte lacerata non confeſſo mai coſa alcuna di cotal congiura. la onde uolendo poi li Athenieſi pur fare honore a queſta femmina, per non far cio a una meretrice impoſono a questo artefice che ritraeſſe vna Liona, & accioche in questa figura ſi riconoſceſſe il fatto, & il ualor di lei, uollono che eſſo la faceſſe ſenza lingua. Briaxi fece vno Apolline, uno Seleuco Re, & un Batto che adoraua, & una Iunone, i [p. lxxxiv modifica]i quali ſi uidero a Roma nel tempio della concordia. Creſila ritraſſe uno ferito a morte nella qual figura ſi conoſceua quãto ancora reſtaſſe di vita, e quel Pericle Athenieſe, ilquale per ſopranome fu chiamato il Celeſte. Cefiſodoro fece nel porto degli Athenieſi vna Minerua marauiglioſa, & vno altare nel tempio di Gioue nel medeſimo porto. Canacho fece uno Apollo che ſi chiamò Fileſio, & un Ceruio con tanta arte ſopra i piedi ſoſpeſo che ſotto hor da vna, hor da vn’altra parte, ſi poteua tirare vn ſottilißimo filo. fece medeſimamente alcuni fanciulli a cauallo come ſe al palio a tutta briglia correſſero. uno Cherea ritraſſe Aleſſandro magno, e Filippo ſuo padre. & Cleſila uno armaro di haſta, & vna amazone ferita. Vn Demetrio ritraſſe Liſimacha, laquale era stata ſacerdoteſſa di Minerua ben 64. anni, et una Minerua che ſi chiamò Muſica, però che i Draghi i quali erano ritratti nello ſcudo di quella Dea erano talmente fatti, che quando erano percoßi al ſuono della cetera riſpondeano. il medeſimo vn Sarmone a cauallo, ilquale haueua ſcritto dell’arte del caualcare. vn Dedalo fra queſti fu molto celebrato, ilquale fece duoi fanciulletti, i quali l’un l’altro nel bagno stropicciauano. di Eufranore fu vn Paride, il quale fu molto lodato, che in vn ſubietto medeſimo ſi riconoſceua il giudice delle Dee, l’amante di Elena, e l’ucciditore d’Achille, del medeſimo era a Roma vna Minerua diſotto al Campidoglio che ſi chiamaua Catuleiana, pero che vela haueua conſagrata Luttatio Catulo, & una figura della buona ventura, la quale con l’vna delle mani teneua vna tazza, e con l’altra ſpighe di grano, e di papaueri. il medeſimo fece una Latona che di poco pareua che fuſſe vſcita di parto, e ſi uedeua a Roma nel tempio della Concordia, laquale teneua in braccio i ſuoi figliolini Apollo, e Diana. fece in oltre due figure in forma di coloſſo l’una era la Virtute, e l’altra Clito di marauiglioſa bellezza, & in oltre vna donna che adoraua, & al ſacrificio miniſtraua, e Filippo, & Aleſſandro ſopra carri di cauagli in guiſa di trionfanti. Buthieo diſcepolo di Mirone fece vn fanciullo che ſoffiaua nel fuoco ſi bello che ſarebbe ſtato degno del maestro, e gli argonauti, & una Aquila, la quale hauendo rapito Ganimede nel portaua in aria ſi destramente, che ella con gli artigli nõ gli noceua in parte alcuna. ritraſſe anco Autolico quel bel giouane uincitore alla lotta. a nome di cui Zenofonte ſcriſſe il libro del ſuo ſimpoſio. e quel Gioue tonante che fra le statue di Campidoglio fu tenuto marauiglioſo, uno Apollo medeſimamẽte con la diadema. Io trapaſſato qui molti de quali eſſendoſi perdute l’opere i nomi apena ſi ritruouano. pure ne aggiugneremo alcuni degli infiniti. fra i quali fu vno Nicerato di cui mano a Roma nel tempio della Concordia ſi uedeua Eſculapio, & Igia ſua figliuola. di Phiromaco una quadriga, laquale era guidata da Alcibiade ritratto. Policle fece uno Hermafrodito di ſingolar bellezza, e leggiadria. Stipace da Cipri fece un ministro di Pericle, ilquale ſopra lo altare accendeua il fuoco per arrostirne il ſagrificio. Sillanione ritraße uno Apollodoro anch’egli della arte, ma coſi faſtidioſo, e coſi apunto che non ſi contentando mai di ſua arte (e v’era pur drento eccellente) bene ſpeſſo rompeua, e guaſtaua le figure ſue belle, e finite. onde traſſe il ſopranome che ſi chiamo Apollodoro il bizzarro, e lo ritraſſe tanto [p. lxxxv modifica]bene che tu hareſti detto che non fuſſe imagine di huomo, ma la bizzarria ritratta al naturale. fece anco uno Achille molto celebrato, & un maestro di eſercitare i giouani alla lotta, & altri giuochi anticamente cotanto celebrati, & aggraditi, fece medeſimamente una Amazone, laquale dalla bellezza delle gambe, fu detta la belle gambe. e per questa ſua eccellentia Nerone douunche egli andaua ſe la faceua portar dietro. coſtui medeſimo fece di ſottil lauoro vn fanciulletto molto poi tenuto caro da quel Bruto, ilquale mori nella battaglia di Teſſaglia, e ne acquiſtò nome che poi ſempre ſi chiamo l’amore di Bruto. Teodoro quegli che a Samo fece vn laberinto, ritraſſe anco ſe medeſimo di bronzo figura a cui non mancaua altro che il ſomigliare, nel resto per ogni tẽpo celebratißima, e di finißimo lauoro, laquale nella man destra teneua una lima, e con tre dita della ſiniſtra reggeua un carro con quattro cauagli di opera ſi minuta che una moſca ſola ſimilmente di brõzo con l’ale ſue copriua il carro la guida, & i cauagli. e questa ſtatua ſi uide lungo tempo a Preneſte: Fu ancora eccellẽte in queſta arte uno Xenocrate diſcepolo chi dice di Tiſicrate, e chi di Eutichrate. ilquale uinſe l’uno di eccellenza di arte, e l’altro di numero di figure, e della arte ſua ſcriſſe uolumi. Molti furono ancora che in tauole di bronzo di rileuo ſcolpirono le battaglie di Eumene, e di Attalo Re di Pergamo contro a Francioſi, i quali paſſarono in Aſia. tra coſtoro furono Firomaco, Stratonico, & Antigono: ilquale ſcriſſe anco della arte ſua. Boeto benche fuße maggior maeſtro nel lauoro di ſcarpello in argento nondimeno di ſua arte ſi uide di bronzo un fanciullo che strangolaua una Ocha. E la maggiore, e la miglior parte di cotali opere furono a Roma da Veſpaſiano Imperadore conſagrate al tempio della Pace. e molto maggior numero dalla forza di Nerone tolte di molti luoghi, doue elle erano tenute care, & in quel ſuo gran palazzo che egli ſi fabricò in Roma portate, & in uarij luoghi per ornamento di quello diſpoſte. furono oltre a i molti raccontati diſopra altri infiniti, i quali hebbero qualche nome in queſta arte, li quali raccontare al preſente credo che ſarebbe opera perduta bastando al noſtro proponimento hauer fatto memoria di coloro, che hebbero nell’arte maggior pregio, furono oltre a questi alcuni altri chiari per ritrarre con iſcarpello in rame argento, & oro calici, & altro vaſellamento da ſacrificij, e da credenze come vn Lesbocle, vn Prodoro, vn Pitodico, e Polignoto, che furono anco pittori molto chiari. E Stratonico Scinno, ilquale diſſono che fu diſcepolo di Critia. Fu questa arte di far di bronzo anticamente molto in vſo in Italia. e lo mostraua quello Hercole, ilquale dicono eſſere ſtato da Euandro conſagrato a Roma nella piazza del Mercato de Buoi. Ilquale ſi chiamaua l’Her trionfale: pero che quando alcuno Cittadino Romano entraua in Roma trionfando ſi adornaua anco l’Hercole di habito trionfale. Medeſimamente lo diimostraua quel IANO, che fu conſagrato da Numa Pompilio il tempio del quale, oaperto, o chiuſo daua ſegno di guerra, o di pace. Le dita del quale erano talmente figurate che elle ſignificauano trecento ſeſſanta cinque; [p. lxxxvi modifica]moſtrando che era Dio dello anno, e della etâ, moſtraualo ancora molte altre ſtatue pur di bronzo di maniera Toſcana ſparſe per tutta quanta l’Italia. E pare che ſia coſa degna di marauiglia, che eſſendo queſta arte tanto antica in Italia i Romani di quel tẽpo amaßero piu li Iddei, che eßi adorauano ritratti di terra, o di legno intagliati, che di bronzo hauendone l’arte: percioche inſino al tempo, nel quale fu da Romani uinta l’Aſia cotali imagini di Dei ancora ſi adorauano. ma poi quella ſemplicità e pouerta Romana coſi nelle publiche, come nelle priuate coſe diuenne ricca, e põpoſa, e ſi muto ĩ tutto il coſtume, e fu coſa da nõ lo creder’ageuolmẽte ĩ quãto poco di tempo ella crebbe, che al tempo che M. Scauro fu Edile e, che egli fece per le feſte publiche lo apparato della piazza che era vfizio di quel magistrato ſi uidero in uno teatro ſolo fatto per quella festa, & in una ſcena tremila ſtatue di bronzo proueduteui, & accattateui come allora era vſanza di fare di piu luoghi. Mummio quel che uinſe la Grecia ne empie Roma. molte ve ne porto Lucullo, & in poco tempo ne fu ſpogliata l’Aſia, & la Grecia in gran parte, e con tutto cio fu chi laſcio ſcritto che a Rodi in queſto tempo n’erano ancora tre migliaia, ne minor numero in Atene ne minore ad Olimpia, e molto maggiore a Delfo. delle quali le piu nobili, e li maeſtri d’eſſe noi diſopra habbiamo in qualche parte raccontato. ne ſolo le imagini degli Dei, e le figure degli huomini raſſembrarono, ma ancora d’altri animali, in fra i quali nel Campidoglio nel tempio piu ſecreto di Giunone ſi uedeua un cane ferito, che ſi leccaua la piaga di ſi ecceßiua ſimiglianza che apena pare che ſi poſſa credere. la bellezza della qual figura quãto i Romani ſtimaſſero ſi puo giudicare dal luogo doue eßi la guardauano, e molto piu che coloro, a i quali ſi aſpettaua la guardia del tempio con cio che drento ui era, nõ ſi stimando ſomma alcuna di denari pari alla perdita di quella figura ſe ella fuſſe ſtata inuolata la deueuano guardare a pena della teſta Ne bastò alli nobili artefici imitare, e raſſembrare le coſe ſecõdo che elle ſono da natura, ma fecero ancora ſtatue altißime, e bellißime molto ſopra il naturale, come fu l’Apollo in Campidoglio alto trenta braccia, la qual figura Lucullo fece portare a Roma delle terre d’oltre il mar maggiore, e qual fu q(ue)lla di Gioue nel Campo Martio, laquale Claudio Aguſto ui conſagro. che dalla uicinanza del teatro di Pompeo fu chiamato il Gioue Pompeiano, e quale ne fu anco una in Taranto fattaui da Lyſippo alta ben trenta braccia, la quale con la grãdezza ſua da Fabio Maßimo ſi difeſe allora, quando la ſeconda uolta preſe quella città, non ſi potendo quindi ſe non con grã fatica leuare, che come ne portò l’Hercole che era in Campidoglio, coſi anco ne harebbe ſeco quella a Roma portata. Ma tutte l’altre marauiglie di coſi fatte coſe auanzò di gran lunga quel coloſſo che a Rodiani in honor del Sole, ĩ cui guardia ĩ cui era q(ue)lla Iſola, fece Carete da Lindo diſcepolo di Liſippo, il quale dicono che era alto 70. braccia, la qual mole dopo 56. anni che ella era stata piantata, fu da un grandißimo tremuoto abattuta, & in terra diſteſa, e tutta rotta, la quale ſi miraua poi con infinito ſtupore de riguardanti, che il dito maggiore del piede apena che un ben giuſto huomo haueße potuto abracciare, e le altre dita aproportione della figura fatte erano maggiori che le ſtatue comvnali, [p. lxxxvii modifica]udeuanſi per le membra uote cauerne grandißime, e ſaßi entroui di ſmiſurato peſo con li quali quello artefice haueua opera coſi grande contrapeſata, e ferma. diceſi che ben 12. anni fatico intorno a queſta opera, e che 300. talenti entro ui ſi ſpeſero. i quali ſi traſſero dello apparecchio dello hoſte che ui haueua laſciato Demetrio Re, quando lungo tempo ui tenne l’aſſedio. ne ſolo queſta figura ſi grãde era in Rodi, ma cento ancora maggiori delle comunali di marauiglioſa bellezza, di ciaſcuna delle quali ogni città, e luogo ſi ſarebbe potuto honorare, & abellire. Ne fu ſolamẽte proprio de Greci il far coloßi, ma ſe ne uide alcuno anco in Italia, come fu quello che ſi uedeua nel Monte Palatino alla libreria di Aguſto d’opera, e di maniera toſcana dal capo al pie di cinquanta cubiti, marauiglioſo non ſi ſa ſe piu per l’opere, o per la temperatura, e lega del metallo, che l’una coſa, e l’altra haueua molto rara. Spurio Caruilio fece fare anco anticamente un Gioue delle celate, e pettorali, e stinieri, & altre armadure di rame di Sanniti, quando combattendo con eßi ſcõgiuratiſi a morte li vinſe, e lo conſagrò al Campidoglio; la qual figura era tanto alta che di molti luoghi di Roma ſi poteua uedere, e ſi dice che della limatura di questa statua fece anco ritrarre l’imagine ſua, la quale era posta a pie di quella grãde. Dauano anco nel medeſimo Campidoglio marauiglia due teſte grandißime, l’una fatta da quel Carete medeſimo di cui ſopra dicemo, e l’altra da vn Decio a pruoua, nella quale Decio rimaſe tanto da meno che l’opera ſua poſta al paragone di quell’altra pareua opera di artefice meno che ragioneuole. Ma di tutte cotali ſtatue fu molto maggiore una che al tempo di Nerone fece in Francia Zenodoto, la quale era alta 400. piedi in forma di Mercurio intorno alla quale egli haueua faticato dieci anni, ma pero che egli era per questo in gran nome mandò a chiamarlo a Roma Nerone, e per lui ſi miſe a fare una imagine in forma di coloſſo 120. piedi alta, la quale morto Nerone fu dedicata al Sole, non conſentendo i Romani che di lui per le ſue ſceleratezze rimaneſſe memoria tanto honorata, nel qual tempo ſi conobbe che l’arte del ben legare, e ben temperare il metallo era perduta: eßendo diſposto Nerone a non perdonare a ſomma alcuna di denari, pur che quella ſtatua haueſſe dogni parte la ſua perfettione. nella quale quanto fu maggiore il magistero tanto piu a riſpetto degli antichi ui parue il difetto nel metallo. Hora lo hauere de gli infiniti che ritraſſero in bronzo i piu nobili inſino a qui raccontato vogliamo che al preſente ci baſte. paſſeremo a quelli, i quali in marmo ſcolpirono, e di queſti anche ſceglieremo le cime, ſecondo che noi habbiamo trouato ſcritto nelle memorie degli antichi ſeguendo lordine incominciato. Diceſi adunque che i primi maeſtri di questa arte di cui ci ſia memoria, furono Dipeno, e Scilo, i quali nacquero nella Iſola di Creti, al tempo che i Perſi regnarono, che ſecondo il conto degli anni de Greci uiene a eſſere intorno alla Olimpiade cinquanteſima cioè dopo alla fondatione di Roma anni 137. coſtoro ſe ne andarono in Sicione, laquale fu gran tempo madre, e nutrice di tutte quante queste arti nobili, e doue eſſe piu che altroue ſi eſercitarono. e percioche eßi erano tenuti buon maeſtri fu dato loro dal comune di quella città a fare di marmo alcune figure de i loro Dei. ma innanzi che eßi le [p. lxxxviii modifica]haueſſero cõpiute per ingiurie che loro pareua riceuere da q(ue)l Comune quindi ſi partirono: onde a quella città ſoprauẽne vna grã fame, et vna grã careſtia. la onde domandãdo q(ue)l popolo agli Dei miſericordia fu loro dallo oracolo d’Apollo riſposto che la trouerrebbero ogni volta che quegli artefici fuſſero fatti tornare a finire le incominciate figure. la qual coſa i Sicionij con molto ſpendio, e preghiere finalmente ottennero, e furono queſte imagini Apollo, Diana, Hercole, e Minerua. non molto dopo coſtoro in Chio Iſola dello Arcipelago furono medeſimamente altri nobili artefici di ritrarre in marmo, uno chiamato Mala, & un ſuo figliuolo Micciade, & vn nipote Antermo. i quali fiorirano al tempo di Hipponatte Poeta, che ſi ſa chiaro eſſere ſtato nella Olimpiade ſeſſanteſima. e ſe ſi andaſſe cercando l’auolo e’l biſauolo di coſtoro, ſi trouerrebbe certo queſta arte hauere hauuto origine con le Olimpiade ſteß.efu quello Hipponatte Poeta molto brutto huomo, e molto cõtrafatto nel viſo. onde questi artefici per beffarlo con l’arte loro lo ritraſſero, e per far ridere il popolo lo miſero in publico, di che egli sdegnandoſi che ſtizzoſißimo era con i ſuoi uerſi, i quali erano molto uelenoſi gli trafiſſe nel uiuo, et in maniera gli abominò che ſi diſſe che alcuni di loro per dolore della riceuuta ingiuria ſe ſteßi impiccarono. il che non fu vero: percioche poi per l’Iſole vicine fecero molte figure: et in Delo maßimamente. ſotto le quali ſcolpirono verſi che diceuano che Delo fra l’Iſole della Grecia era in buon nome non ſolo per la eccllenza del uino, ma ancora per le opere de i figliuoli di Antermo ſcultori. Moſtrauano i Laſij una Diana fatta di mano di coſtoro, & in Chio Iſola ſi diceua eſſerne un’altra poſta in luogo molto rileuato di vn tempio; la faccia della quale a coloro che entrauano nel tempio pareua ſeuera, & adirata. & a coloro a che ne uſciuano placata, e piaceuole. A Roma erano di mano di questi artefici nel tempio di Apollo Palatino alcune figure posteui, e conſagrateui da Agusto in luogo piu alto, e piu raguardeuole. Vedeuonſene ancora in Delo molte altre, & ĩ Lebedo. e delle opere del padre loro Ambracia, Argo, e Cleone città nobili furono molto adorne. Lauorarono ſolamente in marmo bianco, che ſi cauaua nelle Iſole di Paro. il quale come anco ſcriſſe Varrone pero che delle caue a lume di lucerna ſi traheua fu chiamato marmo di lucerna. ma furono poi trouati altri marmi molto piu bianchi, ma forſe non coſi fini come è anco quel di Carrara. Auenne in quelle caue come ſi dice coſa che apena par da credere, che fendẽdoſi con eßi i conij vn maſſo di questo marmo ſi ſcoperſe nel mezzo vna imagine d’una teſta di Sileno. come ella vi fuſſe entro non ſi ſa coſi bene, e ſi crede che cio a caſo aueniſſe. dicono che quel Fidia di cui diſopra habbiamo detto che ſi bene haueua lauorato in metallo, e fatto d’auorio alcune nobilißime ſtatue; fu anco buõ maeſtro di ritrarre in marmo, e che di ſua mano fu quella bella Venere, che ſi uedeua a Roma nella loggia di Ottauia. e che egli fu maeſtro di Alcmane Athenieſe in q(ue)ſta arte molto pregiato. delle opere di cui molte gli Athenieſi ne loro tempi conſacrarono. e fra le altre quella bellißma Venere: laquale per eſſere ſtata poſta fuor delle mura fu chiamata la fuor di città; alla quale ſi diceua che Fidia haueua dato la perfettione, e come è in prouerbio hauerui posto l’ultima mano. Fu diſcepolo del [p. lxxxix modifica]medeſimo Fidia anco Agoraclito da Paro a lui per il fiore della eta molto caro. onde molti credettero che Fidia a queſto giouane donaſſe molte delle ſue opere. lauorarono questi duoi diſcepoli di Fidia a pruoua ciaſcuno una Venere, e fu giudicato vincitore l’Athenieſe nõ gia per la bellezza della opera: ma percioche i Cittadini Athenieſi, che ne deueuano eſſer giudici piu fauorarono l’artefice lor cittadino, che il foreſtiero. di che sdegnato Agoracrito uendè quella ſua figura cõ patto che mai la nõ ſi doueſſe portare in Athene, e la chiamò lo sdegno. laquale fu poi poſta pur nella terra Attica in un Borgo che ſi chiamaua Rannunte: la qual figura Marco Varrone uſaua dire che gli pareua che di bellezza auanzaſſe ogn’altra. Erano ancora di mano di questo medeſimo Agoracrito nel tempio della madre degli Dei pure in Athene alcune altre opere molto eccellenti. Ma che quel Fidia maeſtro di queſti due fuſſe di tutti li artefici cotali eccellentißimo niuno fu che io creda che ne dubitaße gia mai, ne ſolo per quelle nobilißime figure grande di Gioue d’auorio, ne per quella Minerua d’Athene pur d’auorio, e d’oro di 26. cubiti d’altezza, ma non meno per le piccioli, e per le minime: delle quali in quella Minerua n’era un numero infinito, le quali non ſi debbono laſciare che le non ſi cõtino. dicono adunche, che nello ſcudo della Dea, e nella parte che rileua era ſcolpita la battaglia che gia anticamẽte fecero gli Athenieſi con le Amazone. e nel cauo di drento i giganti che cõbatteuano con li Dei, e nelle pianelle il conflitto de Centauri, e de Lapithi, e cio con tanta maeſtria, e ſottigliezza che non ui rimaneua parte alcuna, che non fuße marauiglioſamẽte lauorata. nella baſe erano ritratti i xii Dei che pareua che conoſceſſero la uittoria di bellezza ecceßiua. ſimilmente faceua marauiglia il drago ritratto nello ſcudo, e ſotto l’asta una Sfinge di bronzo. habbiamo uoluto agiugnere anco questo di quel nobile artefice non mai a baſtanza lodato, accio ſi ſappi l’eccellenza di lui non ſolo nelle grandi opere, ma nelle minori ancora, & nelle minime, & in ogni ſorta di rileuo eſſere ſtata ſingolare. fu di poi Praßitele, ilquale nelle figure di marmo come che egli fuſſe anco eccellente nel metallo, fu maggiore di ſe steſſo. Molte delle ſue opere in Athene ſi uedeuano nel Ceramico. ma fra le molte eccellenti, e non ſolo di Praßitele, ma di qualunche altro maeſtro ſingolare in tutto il mondo, e piu chiara, e piu famoſa quella Venere, laqual ſol per uedere, e nõ per altra cagione alcuna molti di lontano paeſe nauigauano a Gnido. Fece queſto artefice due figure di Venere, l’una ignuda, e l’altra ueſtita, e le uendè un medeſimo pregio: la ignuda comperarono quei di Gnido. laquale fu tenuta di gran lunga migliore, e la quale Nicomede Re volle da loro comperare offerendo di pagare tutto il debito che haueua il lor comune, che era grandiſſimo. i quali eleſſero innanzi di priuarſi d’ogni altra ſuſtanza, e rimaner mendichi che di ſpogliarſi di coſi bello ornamento, e fecero ſauiamente: percioche quanto haueua di buono quel luogo che per altro non era in pregio lo haueua da questa bella ſtatua. la cappelletta doue ella ſi teneua chiuſa, ſi apriua d ogn’intorno, talmente che la bellezza della Dea, laquale non haueua parte alcuna che non moueſſe a marauiglia ſi poteua per tutto uedere. Diceſi che fu chi innamorandoſene ſi naſcoſe nel tempio, e che l’abbracciò, e che [p. xc modifica]del fatto ne rimaſe la macchia, laquale poi lungo ſpazio ſi parue. Erano in Gnido parimẽte alcune altre imagini pur di marmo d’altri nobili artefici come vn Bacco di Briaxi, & vn’altro di Scopa, & una Minerua, le quali agiugneuano infinita lode a quella bella Venere: percioche queste altre auuenga che di buoni maeſtri non erano in quel luogo tenute di pregio alcuno. fu del medeſimo artefice quel bel Cupido, il quale Tullio rimprouerò a Verre nelle ſue accuſationi, e quell’altro per il quale era ſolamente tenuta chiara la città di Teſpia in Grecia. ilquale fu poi a Roma grãde ornamento della ſcuola di Ottauia: di mano del medeſimo ſi uedeua vn’altro Cupido in Pario Colonia della propontide: alquale fu fatto la medeſima ingiuria, che a quella Venere da Gnido: percioche uno Alchida Rodiano ſe ne innamorò, e dello amore vi laſcio il ſegnale. A Roma erano molte delle opere di questo Praßitele. Vna Flora uno Triptolemo, & una Cerere nel giardino di Seruilio. e nel Campidoglio una figura della buona ventura, & alcune Baccanti, & al ſepolcro di Pollione uno Sileno, uno Apollo, e Nettunno. rimaſe di lui un figliuolo chiamato Cefiſodoro herede del patrimonio, e dell’arte inſieme, del quale è lodato a marauiglia a Pergamo di Aſia una figura. le dita della quale pareuano piu veracemente a carne, che a marmo impreſſe. di coſtui mano erano anco in Roma una Latona al tempio d’Apollo Palatino. vna Venere al ſepolcro di Aſinio Pollione, e drento alla loggia di Ottauia al tempio di Giunone uno Eſculapio, & una Diana. Scopa ancora al medeſimo tempo fu di chiarißimo nome, & con i detti diſopra conteſe del primo honore. fece egli una Venere, & un Cupido, & un Phetonte, i quali con gran diuozione, e cirimonie erano a Samotracia adorati, e lo Apollo detto il palatino dal luogo doue egli fu conſacrato, & una Veſta che ſedeua nel giardino di Seruilio, e due ministre della Dea apreſſoli, alle quali due altre ſimiglianti pur del medeſimo maeſtro ſi uedeuano fra le coſe di Pollione. di cui ancora erano molto tenute in pregio nel tempio di Gneo Domitio nel Circo Flamminio un Nettunno, una Tetide cõ Achille, e le ſue ninfe a ſedere ſopra i Delfini, & altri Moſtri marini, e Tritoni, e Phorco, & vn coro d’altre Ninfe tutte opere di ſua mano, lequali ſole quando non haueſſe mai fatto altro in ſua vita ſarieno bastate ad honorarlo. fuor di queſte molte altre ſe ne uedeuano in Roma, le quali ſi ſapeua certo che erano opere di questo artefice, e cio era vn Marte a ſedere, vn coloſſo del medeſimo al tempio di Bruto Callaico dal circo, che ſi uedeua da chi andaua inuerſo la porta Labicana. e nel medeſimo luogo vna Venere tutta ignuda che ſi tiene che auanzi di bellezza quella famoſa da Gnido di Praßitele. ma in Roma per il numero grãde che da ogni parte ve n’era stato portato a pena che le ſi riconoſceſſero. che oltre alle narrate ve ne haueua molte altre bellißime. i nomi degli artefici che le haueuano fatte s’erano in tutto perduti. ſi come advenne di quella Venere che Veſpaſiano Imperadore conſagrò al tempio della Pace. la quale per la ſua bellezza era degna d’eſſere di qualũche de piu nominati artefici opera. Il ſimigliante advenne nel tempio di Apollo di vna Niobe con i figliuoli. laquale dallo arco di Apollo era ferita, e pareua che ne moriſſe: laquale non bene ſi ſapeua, ſe l’era opera di Praßitele, o pure di Scopa. [p. xci modifica]Simimente ſi dubitaua di vno Iano: ilquale haueua condotto di Egitto Aguſto, e nel ſuo tempio l’haueua conſagrato: la medeſima dubitanza rimaneua di quel Cupido che haueua in mano l’arme di Gioue, che ſi uedeua nella Curia di Ottauia: ilquale ſi teneua per certo che fuſſe imagine nella piu fiorita età d’Alcibiade Athenieſe; ilquale fu di ſi rara bellezza che tutti gl’altri giouani della ſua età trapaßò. parimente non ſi ſa di cui fuſſero mano i quattro Satiri che erano nella ſcuola di Ottauia: de quali uno mostraua a Venere Bacco bambino, & un’altro Libera pure bambina, il terzo uoleua racchetarlo che piangeua, il quarto con vna tazza gli porgeua da bere le due Ninfe, lequali con un velo pareua che lo uoleſſero coprire. nel medeſimo dubbio ſi rimaſero Olimpo, Pane, Chirone, et Achille nõ ſe ne ſapendo il maeſtro vero. Hebbe Scopa al ſuo tempo molti concorrenti Briaxi, Timoteo, e Leochare, de quali inſieme ci conuien ragionare, percioche inſieme lauorarono di ſcarpello a quel famoſo ſepolchro di Mauſolo Re di Caria: ilquale fu tenuto vna delle ſette marauiglie del mondo fattole dopo la morte d’eſſo da Artemiſia ſua moglie. il quale ſi dice eſſere morto l’anno ſecondo della cẽteſima Olimpiade cioe l’anno 329. dalla fondatione di Roma. la forma di questo ſipolcro ſi dice eſſere ſtata cotale. dalla parte di tramontana, e di mezzo giorno ſi allargaua per ciaſcuno lato piedi 63. da Leuante, e Ponente fu alquanto piu ſtretto. l’altezza ſua era 25. cubiti, & intorno intorno era retto da 16. colonne, la parte da Leuante lauorò Scopa, quella da Tramontana Briaxi, a mezzo di Timoteo, da Occidente Leochare, & innanzi che l’opera fuſſe compiuta mori Artemiſia, e nondimeno quei maeſtri conduſſero il lauoro a fine: il quale da ogni parte fu bellißimo. ne ſi ſeppe coſi bene chi di loro foße piu da eſſere commẽdato: eſſendo ſtata l’opera di ciaſcuno perfettißima. a queſti quattro ſi aggiunſe un quinto maestro, il quale ſopra il ſepolcro fece una piramide di pari altezza di quello, e ſopra ui poſe un carro con quattro cauagli d’opera ſingularißima. ſerbauaſi in Roma di mano di quel Timoteo vna Diana nel tempio di Apollo Palatino alla qual figura che venne ſenza, rifece la teſta Euandro Aulanio. fu ancora di gran marauiglia vno Hercole di Menestrato, et vna Ecate nel tempio di Diana di Efeſo di marmo talmente rilucente, che i ſacerdoti del tempio ſoleuano auuertire chi vi entraua che non miraſſero troppo fiſo quella imagine però che dal troppo ſplendore la vista resterebbe abbagliata. furono anco nello antiporto di Atene poste le tre Gratie, lequali non ſi deueno ad alcuna delle altre figure poſporre. le quali ſi dice che furono opera di vn Socrate non quel pittore, ma un’altro, benche alcuno voglia che ſia il medeſimo che il dipintore. di quel Mirone ancora, ilqual nel far di metallo fu cotanto celebrato ſi uedeua a Smirna una uecchia ebbra di marmo fra le altre buone figure molto celebrata. Aſinio Pollione come nelle altre coſe fu molto ſollecito, & iſquiſito coſi anco ſi ingegnò che le coſe da lui fatte a lunga memoria fußero ſingolari, e ragguardeuoli, e le adornò di molte figure d’ottimi artefici ragunãdole da ciaſcuna parte. le quali chi voleſſe ad vna ad vna raccõtare harebbe troppo che ſcriuere. ma ĩ fra le molto lodate vi ſi uedeuano alcuni Cẽtauri, i quali via ſene portauano Ninfe, e le Muſe, e Bacco, e Gioue, e [p. xcii modifica]l’Oceano, e Zete & Amphione, e molte altre opere di eccellentiſsimi maeſtri. medeſimamente nella loggia di Ottauia ſorella di Aguſto, era vno Apollo di mano di Fliſco Rodiano, & vna Latona, & una Diana, & le noue Muſe, & un’altro Apollo ignudo, l’vno de quali quello che ſonaua la lira ſi credeua eſſere opera di Timarchide. dentro alla loggia di Ottauia nel tempio di Iunone era la Iunone ſteſſa di mano di Dioniſio, e di Policle. vn’altra Venere che era nel medeſimo luogo di Philiſco. l’altre figure che ui ſi uedeuano erano opera di Praßitele, e molte altre nobili ſtatue di ottimi maeſtri. fu per il luogo doue ella era posta stimata molto bella opera vn carro con quattro cauagli, & Apollo, e Diana ſopraui d’una pietra ſola. i quali Augusto in honore di Ottauio padre ſuo haueua conſagrato nel colle Palatino ſopra l’arco in un tempio adorno di molte colonne. e questo ſi diceua eſſere ſtato lauoro di Lyſia. nel giardino di Seruilio furono molto lodati uno Apollo di quel Calamide chiaro maeſtro, & vn Calliſthene, quel che ſcriſſe la ſtoria di Aleſſandro Magno di mano di Amfiſtrato. di molti altri che ſi conoſceua ᵱ l’oᵱe che erano stati nobili maestri, è ſmarrito il nome ᵱ il grã numero delle opere, e degli artefici che infinite, et ĩfiniti furono. come anco mancò poco che non ſi perderono coloro ſi buoni maeſtri li quali formarono quel Laocoonte di marmo, ilquale fu a Roma nel palazzo di Tito Imperadore opera da aguagliarla a qual ſi voglia celebrata di pittura, o di ſcoltura, o d’altro. doue d’vn medeſimo marmo ſono ritratti il padre, e duoi figliuoli con duoi ſerpenti. i quali gli legono, & in molti modi gli stringono come prima gli haueua dipinti Vergilio Poeta. i quali hoggi in Roma ſi veggono anco ſaldi in Beluedere, & il ritratto d’eßi in Firenze nel cortile della caſa de Medici, il qual lauoro inſieme fecero Ageſandro, Polidoro, & Atenodoro Rodiani degni per questo lauoro ſolo d’eſſere a paro degli altri celebrati lodati. Furono i palazzi degli Imperadori Romani di figure molto buone adornati di Cratero, Pitodoro, Polidette, Hermolao, e dun’altro Pitodoro, e d’Artemone molto buoni maeſtri. & il Pãteo di Agrippa hoggi chiamato la Ritonda, fornirono di molte belle figure Diogene Athenieſe, e Carſatide. ſopra le colonne del qual tempio, & in luogo molto alto nel frõteſpizio fra le molte erano celebrate molte opere di cõtoro. ma per l’altezza doue elle furono põte la bontà, e bellezza d’eſſe non ſi poteua coſi bene diſcernere. in questo tempio era uno Hercole al quale i Carthagineſi anticamente ſacrificauano humane uittime. innanzi che ſi entraſſe nel tempio ſi vedeuano da buoni maeſtri ſcolpiti tutti quegli che furono della ſchiatta di Agrippa. Fu grandemente celebrato da Varrone uno Archeſilao, del quale laſciò ſcritto che haueua veduta vna liona cõ alcuni Amori intorno, i quali con eſſa ſcherzauano, de quali alcuni la teneuano legata, altri con vn corno li uoleuano dar bere, & altri la calzauano. e tutti di vn marmo medeſimo. non ſi vuole laſciare indietro uno Sauro, et uno Batraco artefici coſi chiamati, i quali fecero i templi compreſi nella loggia di Ottauia, e furono di Grecia, e Spartani, e come ſi diceua molto ricchi. e vi ſpeſero aſſai del loro con intenzione di metterui il lor nome. il quale auiſo venendo lor fallito cõ nuouo modo lo ſignificarono ſcolpendo ne capitegli delle colonne ranocchi, e [p. xciii modifica]lucertole, che queſto viene a dire Batraco, e quel Sauro. Oltre a queſti nominati di ſopra furono alcuni che studiarono in fare nella arte coſe piccolißime. infra i quali Mirmecide vno ſcultore coſi chiamato fece vn carro con quattro cauagli, e con la guida d’eßi ſi piccioli che una moſca con l’ale gli harebbe potuto coprire. e Callicrate, da cui le gambe delle ſcolpite formiche, e l’altre membra a pena che ſi poteßero uedere. Potrebbeſi oltre a queſti detti ancora aggiugnere molti altri i quali hebbero alcuno nome. ma pero che ci pare hauerne raccolti tanti che bastino finiremo in q(ue)ſti. maßimamente eſſendo stato nostro intendimento raccontare i piu honorati, e famoſi, e l’opere d’eßi piu perfette. e questi, come diſopra de pittori ſi diſſe, furono per lo piu Greci che auenga che i Toſcani a tempi molto antichi fuſſero di qualche nome in queſte arti, e di loro maestria ſi vedeſſero molte statue nondimeno a giudizio di ciaſcuno i Greci ne hebbero il vanto per la bonta, e uirtu delle loro figure, e per il numero grande d’eſſe, e degli artefici, i quali studioſamente ſi sforzarono non ſolamente per il premio che eßi ne traeuano che era grandiſſimo (contendendo infra di loro i comuni, e le città con molta ambizione di hauere a preſſo di loro le piu belle, e le migliori opere che tali arti poteſſero fare) ma molto piu per gloria di tal nome. per cagione della quale eßi talmente faticarono, che dopo vna infinità di ſecoli e dopo molte rouine della Grecia ancora ne dura il nome, auenga che l’opere d’eßi, o ſieno in tutto perdute, o piu non ſi riconoſchino: percioche le pitture come coſa fatta in materia, la quale ageuolmente, o da ſe ſi corrompe, o daltronde riceue ogni ingiuria ſono ĩ tutto disfatte, e le ſtatue di brõzo, o da chi nõ conoſce la bõtà d’eſſe, o da chi nõ le stima hãno mutato forma, et i marmi oltre ad eſſere per le rouine che auuẽgano, mutãdoſi per il girar del cielo ogni coſa la maggior parte rotti, e ſepolti ſono anche ad arbitrio di chi piu puo ſtati ſouente qua, e la traportati, et i nomi degli artefici che erano in eßi perdutiſi, e mutatiſi, come aduenne ad infiniti, i quali la potẽza Romana daltrõde in lungo tẽpo portò a Roma. onde partẽdoſi poi Goſtãtino Imperadore, e traportãdo l’imperio in Grecia molte delle piu belle ſtatue ſeguendo l’imperio, e laſciãdo Italia in Grecia la dõde elle erano uenute ſe ne tornarono. e Goſtãtino ſteſſo, e li altri Imperadori poſcia delle Iſole, e delle cittadi della Grecia ſcelſero le migliori, e come ſi truoua ſcritto il ſeggio ĩperiale ne adornarono. doue poi al tẽpo di Zenone Imp. per vn grandiß. incẽdio, il quale disfece la piu bella, e la miglior parte di Goſtãtinopoli molte ne furono guaſte. infra le quali fu q(ue)lla bella Venere da Gnido di Praßitele di cui diſopra facemo mẽtione. e q(ue)l marauiglioſo Gioue olimpico fatto ᵱ mano di Fidia, e molte altre nobili di marmo, e di brõzo. e fra li altri dãni ue ne fu uno grãdiß. che ui abruciò una libreria nella quale ſi dice che eran ragunati 120. migliaia di uolumi, e q(ue)ſto fu ĩtorno agli ãni della ſalute 466. e poi un’altra fiata forſe 70. anni dopo della medeſima città arſe un’altra parte piu nobile, doue medeſimamente s’era ridotto il fiore di coſi nobili arti. e coſi a Roma da barbari, et in Gostantinopoli dal fuoco fu ſpento il piu bello ſplendore che haueſſero cotali arti, la onde in quelle che ſono rimaſe, e che ſi veggiono in Roma, & altroue riconoſcerui il maestro, credo che ſia coſa malageuolißima eſſendo ſtato in arbitrio di ciaſcuno porui il nome di queſto, o di quello. Auuenga [p. xciv modifica]che per la bellezza d’alcune ſcampate, e per la virtu loro ſi poſſa eſtimare che elle ſieno ſtate opere d’alcuni de ſopra da noi nominati. L’origine di far le ſtatue ſi conoſce appreſſo i Greci primieramente eſſer nata dalla religione. che le prime imagini che di brõzo, o di marmo ſi faceſſero furono fatte a ſimigliãza degli Dei, e quali li huomini gli adorauano, e ſecondo che penſauano che eßi foſſero. dagli Dei ſi ſceſe agli huomini, da li quali i comuni, e le prouincie eſtimauano hauer riceuuto alcuno benifizio ſtraordinario, e ſi dice che in Athene, laquale fu città ciuilißima, & humanißima il primo honore di questa ſorte, fu dato ad Harmodio, & Aristogitone, i quali haueuano voluto con l’uccidere il tiranno liberare la patria dalla ſeruitu: ma cio potette eſſer uero in Athene, percioche molto prima a coloro, i quali ne giuochi ſacri di Grecia, e maßimamente negli Olimpici erano publicamente banditi uincitori in quel luogo ſi faceuano le ſtatue. queſta ſorte di honore del quale i Greci furono liberalißimi trapaſſo a Roma, e forſe come io mi credo ue la recarono i Toſcani lor uicini, e parte di loro accettati nel numero de Cittadini; percioche ſi uedeuano a Roma anticamente le statue de i primi Re Romani nel Campidoglio. & a quello Attio Nauio, ilquale per conſeruazione degli agurij tagliò col raſoio la pietra vi fu poſto anche la statua. hebbeuela anco quel Hermodoro ſauio da Efeſo, ilquale a quei diece Cittadini Romani che compilauano le leggi, le Grece leggi interpretaua. e quello Horatio Coclite, ilquale ſolo ſopra il ponte haueua l’impeto de Toſcani ſoſtenuto. vedeuanſene in oltre molte altre antiche poste dal popolo, o dal ſenato a i lor Cittadini, e maßimamente a coloro i quali eſſendo imbaſciadori del lor comune erano ſtati da nimici ucciſi. Era anco molto antica in Roma la statua di Pitagora, e d’Alcibiade, l’uno riputato ſapientißimo, e l’altro fortißimo. ne ſolo fu fatto questo honore di statue agli huomini da Romani, ma ancora ad alcuna donna: pero che a Caia Suffecia uergine ueſtale, fu diliberato che ſi faceſſe una ſtatua: percioche come in alcuna cronaca de Romani era ſcritto ella al popolo Romano haueua fatto dono del campo vicino al fiume. queſto medeſimo honore fu fatto a Coclia, e forſe maggiore, percioche coſtei fu ritratta a cauallo, che s’era fuggita del cãpo del Re Porſena, ilquale era uenuto con l’hoſte contro a Romani. molti oltre a queſti ſe ne potrebbero contare, i quali per alcuno benefizio raro fatto al comune loro meritarono la statua. e molto prima a Roma fu questo honore di statue di bronzo, o di marmo dato agli huomini, che in cotal materia li Dei ſi ritraeßero contentandoſi quegli antichi di hauere le imagini de i loro Dei rozze di legno intagliato, e di terra cotta. e la prima imagine di bronzo che agli Dei in Roma ſi faceſſe, ſi dice eſſere ſtata di Cerere, la quale ſi traſſe dello hauere di q̃llo Spurio Melio, che nella careſtia col uẽdere a minor pregio il ſuo grano s’ingegnaua di allettare il popolo, e di procacciarſi la ſignoria della patria, e che per queſto conto fu ucciſo. Haueuano le Greche ſtatue, e le Romane differenza infra di loro aſſai chiara, che le Greche per lo piu erano ſecondo l’uſanza delle paleſtre ignude. doue i giouani alla lotta, & ad altri giuochi ignudi ſi eſercitauano, che in quelli poneuano il ſommo honore. le Romane ſi faceuano ueſtite, o d’armadura, o di toga, habito ſpetialmente Romano: il [p. xcv modifica]quale honore come noi dicemo poco fa daua primieramente il comune. poi cominciando l’ambizione acreſcere fu dato anco da priuati, e da comuni foreſtieri a queſto, & a quel Cittadino, o per benefizio riceuuto, o per hauerlo amico, e maßimamente lo faceuano gli humili, e baßi amici in uerſo i piu potenti, e maggiori. & andò tanto oltre la coſa che in brieue ſpazio le piazze i tẽpli, e le loggie ne furono tutte ripiene. E non ſolo fiorirono queſte arti nel tempo che i Greci in mare, & in terra molto poterono appreſſo a quella natione, ma poi molti ſecoli dopo che hebbero perduto l’Imperio al tempo degli Imperadori Romani alcune uolte riſorſero, che in Roma ſi vede ancora l’arco di Settimio ornato di molte belle figure, e molte altre opere egregie, delle quali non ſi ſanno i maestri eſſendoſene perduta la memoria. ma non estimo gia che queſte cotali ſieno da aguagliare a quelle, che ne i tempi che i Greci cotanto ci studiarono furono fatte. apreſſo i quali furono in oltre alcuni, i quali hebbero gran nome nel lauorare in argento di ſcarpello. l’opere de i quali, e per la materia, laquale ageuolmente muta forma, e che l’uſo in poco ſpazio logora non ſi conduſſero molto oltre, e nondimeno ne ſono chiari alcuni artefici. de nomi de quali brieuemente faremo mentione per finire vna volta quello che voi hauete voluto che io facci; nella quale arte fra i primi fu molto celebrato Mentore. ilquale lauoraua di ſottilißimo lauoro vaſi d’argento, & tazze da bere, & ogni altra ſorte di vaſellamento che ſi adoperaua ne ſacrificij, & erano tenuti questi lauori, & ne templi, e nelle caſe de nobili huomini molto cari, dopo coſtui nella medeſima arte hebbero gran nome uno Acragante, vno Boeto, & un’altro chiamato Mys. de i quali nella Iſola di Rodi ſi uedeuano per i templi in uaſi ſacri molto belle opere, e di q̃l Boeto ſpetialmẽte Cẽtauri, e Bacche fatti con lo ſcarpello in Hidrie, & in altri vaſi molti begli: e di quello vltimo un Cupido, & uno Sileno di marauiglioſa bellezza. dopo costoro fu molto chiaro il nome d’uno Antipatro: ilquale ſopra una tazza fece vn Satiro grauato dal ſonno tanto proprio che ben ſi poteua dire che piu preſto velo haueſſe ſu posto che uelo haueſſe con lo ſcarpello ſcolpito. furono anco di qualche nome uno Tauriſco da Cizico, uno Ariſtone, vno Onico, & uno Ecateo, & alcuni altri, e poi a tempi piu oltre di Pompeo il grande un Praßitele, & un Ledo da Efeſo: il quale ritraeua di minutißimo lauoro huomini armati, e battaglie molto bene. Fu anco in gran nome vn Zopiro, ilquale haueua in due tazze ritratto il giudizio di Oreste nello Ariopago. fu anco chiaro vn Pitea, ilquale haueua commeſſo in vn vaſo due figurette l’una di Vliſſe, e l’altra di Diomede quando in Troia inſieme furarono la ſtatua di Pallade. ma queſti lauori erano di tanta ſottigliezza, che in breue il bello d’eßi ſene conſumaua, & erano poi in pregio piu per il nome degli artefici che li haueuano fatti che per virtu, o per eccellẽza che ſi ſcorgeße nelle figure: delle quali poi apena ſe ne poteſſe ritrarre l’eſemplo. ma questa, e l’altre arti nobili, delle quali noi habbiamo diſopra piu che non penſauamo di douer fare ragionato l’età preſente, e due, o tre altre diſopra hanno talmente tornato in luce che io non credo che ci biſogni deſiderare l’antiche per prenderne diletto, & admirarle però che ſono stati tali i maeſtri di queſte arti, e per lo piu i Toſcani, e [p. xcvi modifica]ſpezialmente i noſtri Fiorentini che hanno moſtro l’ingegno, e l’industria loro eſſere di poco vinta da quegli antichi cotanto celebrati in arti cotali. li quali da voi, M. Giorgio ſono nelle lor vite in modo, e ſi ſottilmente deſcritti, e lodati che io non trapaſſero piu oltre con lo ſcriuere, godendo infinitamente che oltre agli altri beni di Toſcana, che ſono infiniti, li quali la uirtu, e la buona mente del Duca Coſimo de Medici noſtro Signore ci fa parere molto migliori, habbiamo anco l’ornamento di coſi nobili arti. delle quali non ſolo la Toſcana, ma tutta l’Europa ſene abbelliſce. vedendoſi quaſi in ogni parte l’opere de Toſcani artefici, e de loro diſcepoli riſplendere, e cio debbiamo ſperare molto piu nel tempo auenire, poi che non ſolo i nobili maestri per l’opere loro pregiare, ma anco per le penne de nobili ſcrittori ſi ueggiono commendare, e molto piu per il fauore, & aiuto che continouamente lor danno i nostri Illustriß. Prencipi, e Signori, valendoſi con grande utile, & honore d’eſſi artefici dell’opere loro in adornare, & abbellire la patria, & in publico ancora la loro Accademia fauorendo, e ſolleuando, e cio maßimamente per opera voſtra. di che tutti ſe grati, e buoni huomini vogliono eſſere, ue ne debbono honorare, & infinitamente ringratiare. che Dio vi guardi. Di caſa alli VIII. di Settẽbre 1597.



Vostro Giovambatista Adriani.


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Lettera

DI MESSER GIOVAMBATISTA

DI MESSER MARCELLO ADRIANI

a Messer Giorgio Vasari;


Nella quale brevemente si racconta i nomi, e l’opere de’ piu eccellenti Artefici antichi in Pittura, in Bronzo e in Marmo, qui aggiunta, acciò non ci si desideri cosa alcuna di quelle che appartenghino alla intera notitia e gloria di queste nobilissime Arti.


O sono stato in dubbio Messer Giorgio carissimo, se quello di che voi e il molto Reverendo Don Vincenzo Borghini mi avete più volte ricerco si devea metter in opera, o no; cioè il raccorre e brevemente raccontare coloro che nella Pittura e nella Scultura e in arti simiglianti ne gli antichi tempi furono celebrati, de’ quali il numero è grandissimo, e a che tempo essi fecero fiorire l’arti loro, e delle opere di quelli le piu onorate e le più famose; cosa che, s’io non m’inganno, ha in se del piacevole assai, ma che più si converrebbe a coloro, i quali in cotali arti fussero esercitati, o come pratichi ne potessero più propriamente ragionare. Imperoche egli è forza, che nel dettare una cosi fatta cosa, occorra bene spesso parlare di cosa che altri non sa cosi a pieno, avendo massimamente ciascuna arte cose e vocaboli speziali i quali non si sanno e non s’intendano cosi apunto, se non da coloro i quali sono in esse ammaestrati. Ne solo questa dubitanza, ma molte delle altre mi si facevano incontro, le quali tutte si sforzavano di levarmi da cotale impresa; alle quali ho messo incontro primieramente l’amore che io meritamente vi porto, il quale mi costringe a far questo e ogni altra cosa che vi sia in piacere; e di poi quello di voi stesso inverso di me, il quale basterebbe solo a vincere questa e ogn’altra difficultà, avisando che amandomi voi, come voi fate, non mi areste ricerco di cosa, che mi fosse disdicevole; tale, che confidato nella affezione e giudizio vostro mi sono miso a questa opera, la quale non sarà però ne molto lunga ne molto faticosa, dovendosi per lo più raccontare e brevemente, cose dette da altri, che altramente non si poteva fare trattandosi di quello che in tutto è fuori della memoria de’ vivi e che gia tanti secoli sono è trappassato. Duolmi bene, che dovendosi ciò, come io mi aviso<,> aggiugnere al vostro cosi bello, cosi vario, cosi copioso e d’ogni parte [p. lviii modifica]compiuto libro<,> non sia tale che egli possa arrecare alcuna orrevolezza, ma mi gioverà pure che postogli a lato mostrerà meglio la bellezza di lui, percioche il vostro è tale che, e per le cose che entro vi si trattono e per la leggiadria con la quale voi l’avete scritto e per le virtù dell’animo vostro, le quali chiare vi si scorgono, è forza che egli sia sempre pregiato e vi mostri a tutto il mondo intendente, gentile e cortese, virtù molto rade e che poche volte in un medesimo animo si accolgono e massimamente d’artefice, dove l’invidia piu che altrove suole mettere a fondo le sue radici; della quale infermità il vostro libro vi mostra interamente sano. Nel quale voi, non so se intendentemente piu, o vero piu cortesemente<,> avete onorate queste arti, infra le manuali nobilissime e piacevolissime, e insieme li maestri di quelle, tornando alla memoria de gli uomini con molta fatica e lungo studio e spesa di tempo<,> da quanto tempo in qua dopo il disfacimento di Europa e delle nobili arti e scienze<,> elle cominciassero a rinascere, a crescere, a fiorire e finalmente siano venute al colmo della loro perfettione, dove veracemente io credo che le siano arrivate; tale che (come delle altre eccellenze suole avvenire, e come altra fiata di queste medesime avvenne) è piu da temerne la scesa che da sperarne piu alta la salita. Ne vi è bastato questa rada cortesia di mantenere in vita coloro i quali gia molti anni erano morti e di cui l’opere erano gia piu che smarrite, e in brieve per non si ritrovare ne riconoscersi per li maestri che le aveano fatte, e con quelle cerco di procacciarsi nome; ma con nuova e non usata cortesia diligentemente avete ricerco de’ ritratti delle loro imagini, e quelle con la bella arte vostra in fronte alle vite e alle opere loro avete aggiunte, acciò che coloro che dopo noi verranno sappino non solo i costumi, le patrie, l’opere, le maniere e l’ingegno de’ nobili artefici, ma quasi se li veggino innanzi a gli occhi, cosa la quale avanza di gran lunga ogni cortesia la quale si sia usata inverso de i morti, cioè di coloro da cui non si può piu sperare cosa alcuna; il che è tanto degno di maggior lode che non è quella che al presente vi posso dare io quanto ella è piu rada, e usata solamente<,> quanto io posso ritrarre dalle antiche memorie<,> da duoi nobilissimi e dottissimi cittadini Romani, Marco Varrone e Pomponio Attico; de’ quali Varrone, in un libro che egli scrisse de gli uomini chiari, oltre a i fatti loro pregiati e costumi laudevoli, aggiunse ancora le imagini di forse 700 di loro, e Pomponio Attico similmente, come si trova scritto<,> di cotali ritratti di persone onorate ne messe insieme un volume, cotanto quelli animi gentili ebbero in pregio la memoria de gli uomini grandi e illustri, e tanto s’ingegnarono con ogni lor potere e con ogni maniera<,> di onore far pregiati, chiari e eterni i nomi e le imagini di coloro i quali per loro virtù avevano meritato di viver sempre. Voi adunque spinto da un generoso e bello animo, oltre al consueto degli artefici<,> avete fatto il simigliante inverso i vostri chiari artefici, illustri maestri, e nel vostro onorato mestiero pregiati compagni<,> ponendoci innanzi a gli occhi quasi vivi i volti loro nel vostro cosi piacevole e ben disposto libro<,> insieme con le virtù e con l’opere piu pregiate di quegli; che pure non vi doveva parer poco se dell’ingegno vostro si vivo e della mano si [p. lix modifica]nobile e si pronta era ripiena della vostra arte onorata in pochi anni una gran parte d’Italia, e la nostra città in piu luoghi adorna, e il palazzo de’ nostri illustrissimi Prencipi e Signori fattone si a tutto il mondo raguardevole, che egli non piu della virtù e della gloria e della ricchezza de’ suoi Signori, che dell’arte vostra medesima ne sarà<,> sempre che le pitture saranno in pregio, tenuto maraviglioso; mostrando in quelle, oltre a mille altri leggiadri e gravi ornamenti, i quali in quello per tutto si veggono, le giuste imprese, le perigliose guerre, le fiere battaglie e l’onorate vittorie avute gia dal popolo Fiorentino e novellamente da i nostri illustrissimi Prencipi, con le imagini istesse di quegli onorati Capitani, e franchi guerrieri, e prudenti Cittadini, i quali in quelle valorosamente e saviamente adoperarono; cosa, che non solo diletta gli occhi de’ riguardanti, ma molto piu alletta l’animo vago d’onore e di gloria ad opere somiglianti; ma non è luogo al presente ragionar di voi, il quale da voi istesso con l’opere in vita vi lodate a bastanza, e vie piu ne’ secoli avenire ne sarete lodato e ammirato, i quali senza alcuna animosità, che bene spesso s’oppone al vero, sinceramente ne giudicheranno. Ma per venire a quello che voi mi domandate, dico che impossibil cosa sarebbe volere veracemente raccontare chi fussero coloro i quali primieramente dettero principio a queste arti, non essendo la memoria loro per la lunghezza del tempo e per la varietà delle lingue e per molti altri casi che seco porta il girar del cielo<,> alla notitia nostra trappassata, e medesimamente quale di loro fosse prima o piu pregiata; pure all’una cosa e a l’altra si può agevolmente sodisfare, parte con la memoria de gli antichi Scrittori, e parte con le congetture che seco reca la ragione e l’essempio delle cose; percioche <e’> si conosce chiaramente<,> per quanto ne scrive Erodoto antichissimo historico, il quale cercò molto paese e molte cose vide e molte ne udì e molte ne lesse<,> gli Egittij essere stati antichissimi di chi si abbi memoria, e della religione<,> qualunche fosse la loro<,> solenni osservatori; i quali li loro Iddij sotto varie figure di nuovi e diversi animali adoravano; e quelle in oro, in argento e in altro metallo e in pietre pretiose e quasi in ogni materia che forma ricever potesse rassembravano; delle quali imagini alcune insino alli nostri giorni si sono conservate, massimamente essendo stati, come anchora se ne vede segnali manifesti<,> quei popoli potentissimi e copiosi di uomini, e i loro Re ricchissimi e oltre a modo desiderosi di prolungare la memoria loro per secoli infiniti, e oltre a questo di maraviglioso ingegno e d’industria singolare e scienza profonda cosi nelle divine cose, come nelle umane. Il che si conosce da questo chiaramente, impero che quelli che fra li Greci furono dipoi tenuti savij e scientiati oltre a gli altri uomini<,> andarono in Egitto, e da’ savij e da<’> sacerdoti di quella natione molte cose appararono e le loro scienze aggrandirono, come si dice aver fatto Pithagora, Democrito, Platone e molti altri, che non pareva in quel tempo che potesse essere alcuno interamente scienziato se al sapere di casa non si aggiungeva della scienza forestiera, che allora si teneva che regnasse in Egitto. Appresso costoro mi adviso io che fosse in gran pregio l’arte del ben disegnare, e del colorire, e dello scolpire e del [p. lx modifica]ritrarre in qualunche materia e ogni maniera di forme; percioche della Architettura non si debbe dubitare che essi non fussero gran maestri, vedendosi di loro arte ancora le piramidi e altri edificij stupendi che durano e che dureranno, come io mi penso, secoli infiniti. Senza che e’ pare, che dietro a gli Imperij grandi e alle ricchezze e alla tranquillità de gli stati sempre seguitino le lettere e le scienze e arte cotali appresso<,> cosi nel comune come nel privato; e questo non si debbe stimare che sia senza alcuna ragione, impero che essendo l’animo dello uomo, per mio avviso, per sua natura desideroso sempre d’alcuna cosa ne mai sazio, aviene che conseguito stato, ricchezze, diletto, virtù e ogni altra cosa, che fra noi molto s’apprezza, via piu desidera vita come piu di tutte cara, e quanto far piu si puote lunghissima, e non solo nel corpo suo proprio, ma molto piu nella memoria; il che fanno i fatti eccellenti primieramente e poi coloro i quali con la penna gli raccontano e gli celebrano. Di che non piccola parte si debbe attribuire a’ Pittori, a gli Scultori, a gli Architettori e altri maestri, i quali hanno virtù con le arti loro di prolungare la figura, i fatti e i nomi de gli uomini ritrahendoli e scolpendoli. E perciò si vede chiaramente che quasi tutte quelle nationi che hanno avuto imperio e sono state mansuete e<,> per consequente<,> facoltà di poter ciò fare, si sono ingegnate di fare la memoria delle cose loro con tali argomenti lunga quanto loro è stato possibile. A questa cagione ancora, e forse la primiera, si vuole aggiugnere la religione e il culto de gli Dei qualunque esso stato si sia, intorno al quale in buona parte coloro che di ritrarre in qualunque modo hanno saputo l’arte, si sono esercitati. Questo, come poco innanzi dicemo, veggiamo noi aver fatto gli Egittij, questo i Greci, questo i Latini e li antichi Toscani e li moderni, e quasi ogni altra natione, la quale per la religione e per la umanità sia stata celebrata; i quali<,> le imagini di quelli che essi sotto diversi colori adoravano, hanno prima semplicemente o nel legno intagliato o con rozza pittura adombrato o in qualunche altro modo ritratto; e, come nelle altre cose de gli uomini suole avvenire<,> a poco a poco andandosi innalzando, queste ancora non solamente a devotione e santità, ma a pompa e a magnificenza hanno recato; come anco si conosce aver fatto l’Architettura, la quale dalle umili e private case semplicemente e senza arte murate, a far templi e palazzi altissimi e theatri e logge con gran maestria e spesa si diede. Questi adunche pare che fussero i principij di cotali arti, le quali in tanta nobiltà e maraviglia de gli uomini per ingegno de i loro maestri egregij <salirono>, che e’ pare che non contenti dello imitar la natura con quella alcuna volta abbino voluto gareggiare; ma di tutte queste, che molte sono e che tutte pare che venghino da un medesimo fonte, qual sia piu nobile non è nostro intendimento di voler cercare al presente, ma si bene quali fussero quelli di chi sia rimasa memoria e che in esse ebbero alcuno nome e che primieramente le esercitarono. E però che ci pare che l’origine di tutte cotali arti sia il disegno semplice, il quale è parte di pittura o che da quella ha principio, facendosi ciò nel piano, parleremo primieramente de’ Pittori e poi di coloro che di terra hanno formato e di quegli che in bronzo o in altra materia [p. lxi modifica]nobile fondendola hanno ritratto, e ultimamente di coloro i quali nel marmo o in altra sorte di pietra con lo scarpello levandone hanno scolpito, fra i quali verranno ancora coloro i quali del rilevo piu alto o piu basso hanno alcuno nome avuto. Dicesi adunche, lasciando stare gli Egittij de i quali non è certezza alcuna<,> in Grecia la Pittura avere avuto suo principio, alcuni dicono in Sicione e alcuni in Coranto, ma tutti in questo convengono ciò essersi fatto prima semplicemente con una sola linea circondando l’ombra d’alcuno, e di poi con alcuno colore con alquanto piu di fatica; la qual maniera di dipignere sempre è stata<,> come semplicissima<,> in uso, e anchora è; e questa dicono aver insegnato la prima volta altri Filocle di Egitto e altri Cleante da Coranto. I primi che in questa si esercitarono si truova essere stato Ardice da Coranto e Telefane Sicionio, li quali non adoperando altro che un color solo ombravano le lor figure dentro con alcune linee. E percioche<,> essendo l’arte loro ancor rozza e le figure d’un color solo, non bene si conosceva di cui elle fussero imagini, ebbero per costume di scrivervi a piè chi essi avevano voluto rassembrare. Il primo che trovasse i colori nel dipignere, come dicono aver fatto fede Arato, fu Cleofanto da Coranto; e questi non si sa cosi bene se ei fu quello stesso il quale disse Cornelio Nepote esser venuto con Demarato<,> padre di Tarquino Prisco che fu re delli Romani, quando da Coranto sua patria partendosi venne in Italia per paura di Cipselo Prencipe di quella città, o pure un altro; come che a questo tempo in Italia fusse l’arte del dipignere in buona riputazione, come si può congetturare agevolmente, percioche in Ardea antichissima città, ne molto lontana da Roma, oltre al tempo di Vespasiano Imperadore si vedevano ancora in alcuno tempio nel muro coperto alcune pitture, le quali erano molto innanzi che Roma fusse state dipinte, si bene mantenute che elle parevano di poco innanzi colorite. In Lanuvio parimente ne’ medesimi tempi, cioè innanzi a Roma e forse del medesimo maestro<,> una Atalanta e una Elena ignude<,> di bellissima forma ciascuna, le quali lunghissimo tempo furono conservate intere dalla qualità del muro dove erano state dipinte, avenga che un Pontio uficiale di Gaio Imperadore struggendosi di voglia d’averle si fosse sforzato di torle quindi e a casa sua portarnele, e lo arebbe fatto se la forma del muro l’avesse sofferto. Donde si può manifestamente conoscere in quei tempi, e forse molto piu che in Grecia e molto prima<,> la pittura essere stata in pregio in Italia. Ma poi che le cose nostre sono in tutto perdute e ci bisogna andare mendicando le forestieri, seguiremo la incominciata historia di raccontare gli altri di cotale arte maestri, quali da prima si dichino essere stati; benche ne i Greci ancora non hanno cosi bene distinto i tempi loro in questa parte; percioche e’ si dice essere stata molto in pregio una tavola, dove era dipinta una battaglia de’ Magneti con si bella arte, che Candaule Re di Lidia la aveva comperata altro e tanto peso d’oro, il che venne a essere intorno alla età di Romolo primo fondatore di Roma e primo Re de’ Romani, che gia era cotale arte in tanta stima. Onde siamo forzati confessare l’origine di lei essere molto piu [p. lxii modifica]antica; e parimente coloro i quali un solo colore adoperarono, l’età de’ quali non cosi bene si ritrova; e parimente Igione che per sopranome fu chiamato Monocromada da questo, percioche con un solo colore dipinse, il quale affermano essere stato il primo nelle cui figure si conoscesse il mastio dalla femmina; e similmente Eumaro d’Athene, il quale s’ingegnò di ritrarre ogni figura, e quello che dopo lui venendo le cose da lui trovate molto meglio trattò<,> Cimone Cleoneo, il quale prima dipinse le figure in iscorcio, e i volti altri in giu, altri in su e altri altrove guardanti, e le membra partitamente con i suoi nodi distinse, che primo mostrò le vene ne’ corpi e ne’ vestimenti le crespe. Paneo ancora fratello di quel Fidia nobile statuario fece di assai bella arte la battaglia degli Atheniesi con i Persi a Marathona, che gia era a tale venuta l’arte che nell’opera di costui si viddero primieramente ritratti i capitani nelle loro figure stesse<,> Milciade Atheniese, Callimaco e Cinegiro; e de’ Barbari Dario e Tissaferne. Drieto al quale alquanti vennero i quali questa arte fecero migliore, de i quali non si ha certa notitia; intra i quali fu Polignoto da Taso il primo che dipinse le donne con <vesti> lucenti e di begli colori, e i capi di quelle con ornamenti varij e di nuove maniere adornò; e ciò fu intorno a gli anni 330 dopo Roma edificata; per costui fu la pittura molto inalzata. Egli primo nelle figure umane mostrò aprir la bocca, scoprire i denti, e i volti da quella antica rozzezza fece parere piu arrendevoli e piu vivi. Rimase di lui fra le altre una tavola che si vide in Roma assai tempo nella loggia di Pompeo, nella quale era una bella figura armata con lo scudo, la quale non bene si conosceva se scendeva o saliva. Egli medesimo a Delpho dipinse quel Tempio nobilissimo, egli in Athene la loggia che dalla varietà delle dipinture che drento vi erano fu chiamata la Varia, e l’uno e l’altro di questi lavori fece in dono, la qual liberalità molto gli accrebbe la riputazione e la grazia appresso a tutti i popoli della Grecia; talmente che li Anfittioni, che era un consiglio comune di gran parte della Grecia che a certi tempi, per trattare delle bisogne publiche a Delfo si ragunava<,> gli stanziarono che dovunche egli andasse per la Grecia fosse graziosamente ricevuto e fattoli publicamente le spese. A questo tempo medesimo furono due altri pittori d’un medesimo nome, de’ quali Micone il minore si dice essere stato padre di Timarete, la quale esercitò la medesima arte della pittura. A questo tempo stesso o poco piu oltre furono Aglaofone, Cefisodoro, Frilo et Evenore padre di Parrasio di cui si parlerà a suo luogo, e furono costoro assai chiari, ma non tanto però, che essi meritino, che per loro virtù, o per loro opere si metta molto tempo, studiandoci massimamente d’andare alla eccellenza dell’arte; alla quale arrecò poi gran chiarezza Apollodoro Atheniese intorno a l’anno 345 da Roma edificata, il quale primo cominciò a dar fuori figure bellissime e arrecò a quest’arte gloria grandissima; di cui molti secoli poi si vedeva in Asia a Pergamo una tavola entrovi un sacerdote adorante, e in un’altra uno Aiace percosso dalla saetta di Giove<,> di tanto eccessiva bellezza, che si dice inanzi a questa non si esser veduta opera di questa arte la quale allettasse gli occhi de’ riguardanti. Per la porta da costui primieramente aperta entrò [p. lxiii modifica]Zeusi di Eraclea dodici o tredici anni poscia, il quale condusse il pennello ad altissima gloria e di cui Apollodoro<,> quello stesso poco innanzi da noi raccontato<,> scrisse in versi l’arte sua toltagli<,> portarne seco Zeusi. Fece costui con questa arte ricchezza infinita, tale che venendo egli alcuna volta ad Olimpia, là dove ogni cinque anni concorreva quasi tutta la Grecia a vedere i giuochi e gli spettacoli publici<,> per pompa a lettere d’oro nel mantello portava scritto il nome suo, acciò da ciascuno potesse essere conosciuto. Stimò egli cotanto l’opere sue che giudicando non si dover trovare pregio pari a quelle si mise nell’animo non di venderle, ma di donarle; e cosi donò una Atalanta al Comune di Gergento, Pane Dio de’ pastori ad Archelao Re. Dipinse una Penelope nella quale, oltre alla forma bellissima<,> si conoscevano ancora la pudicizia, la patienza e altri bei costumi che in onesta donna si ricercano. Dipinse un Campione, di quelli che i Greci chiamano Athleti, e di questa sua figura cotanto si satisfece che egli stesso vi scrisse sotto quel celebrato motto: Troverassi chi lo invidi sì, ma chi il rassembri, no. Videsi di lui un Giove nel suo trono sedente con grandissima maestà, con tutti li dei intorno. Uno Ercole nella zana che con ciascuna delle mani strangolava un serpente<,> presente Amphitrione e Almena madre, nella quale si scorgeva la paura stessa. Parve nondimeno, che questo artefice facesse i capi delle sue figure un poco grandetti. Fu con tutto ciò accurato molto, tanto che dovendo fare a nome de’ Crotoniati una bella figura di femmina, dove pareva che egli molto valesse, la quale si deveva consacrare al Tempio di Giunone che egli aveva adornato di molte altre nobili dipinture, chiese di avere commodità di vedere alcune delle loro piu belle e meglio formate donzelle; che in quel tempo si teneva che Crotone terra di Calavria avesse la piu bella gioventù dell’uno e dell’altro sesso che al mondo si trovasse; di che egli fu tantosto compiaciuto; delle quali egli elesse cinque le piu belle, i nomi delle quali non furono poi taciuti da’ Poeti come di tutte le altre bellissime, essendo state giudicate cotali da chi ne poteva e sapeva meglio di tutti gli altri uomini giudicare; e delle piu belle membra di ciascuna ne formò una figura bellissima, la quale Elena volle che fosse, togliendo da ciascuna quello che in lei giudicò perfettissimo. Dipinse inoltre di bianco solamente alcune altre figure molto celebrate. Alla medesima età e a lui nell’arte concorrenti furono Timante, Androcide, Eupompo e Parrasio, con cui (Parrasio dico) si dice Zeusi avere combattuto nell’arte in questo modo; che mettendo fuori Zeusi uve dipinte con si bell’arte che gli uccegli a quelle volavano, Parrasio messe innanzi un velo si sottilmente in una tavola dipinto come se egli ne coprisse una dipintura, che credendolo Zeusi vero, non senza qualche tema d’esser vinto, chiese che levato quel velo una volta si scoprisse la figura, e accorgendosi dello inganno, non senza riso dello avversario si rese per vinto confessando di buona conscienza la perdita sua, conciosia che egli avesse ingannato gli uccegli e Parrasio se<,> cosi buon Maestro. Dicesi il medesimo Zeusi aver dipinto un fanciullo il quale portava uve, alle quali volando gli augelli seco stesso s’adirava, parendogli non aver dato a cotale figura intera [p. lxiv modifica]perfettione, dicendo<:> se il fanciullo cosi bene fusse ritratto, come l’uve sono<,> gli augelli dovrebbono pur temerne. Mantennesi in Roma lungo tempo nella loggia di Filippo una Elena, e nel Tempio della Concordia un Marsia legato<,> di mano del medesimo Zeusi. Parrasio, come noi abbiamo detto<,> fiorì in questa medesima età e fu di Epheso città di Asia, il quale in molte cose accrebbe e nobilitò la pittura. Egli primo diede intera proporzione alle figure, egli primo con nuova sottigliezza e vivacità ritrasse i volti e dette una certa leggiadria a i capegli e grazia infinita e mai non piu vista alle facce, e a giudizio d’ogni uomo allui si concesse la gloria del bene e interamente finire, e nelli ultimi termini far perfette le sue figure; percioche in cotale arte questo si tiene che sia la eccellenza. Dipignere bene i corpi e il mezzo delle cose è bene assai, ma dove molti sono stati lodati, terminare e finir bene e con certa maestria rinchiudere drento a se stessa una figura<,> questo <è> rado e pochi si sono trovati li quali in ciò sieno stati da commendare; percioche l’ultimo d’una figura debbe chiudere se stesso talmente che ella spicchi dal luogo dove ella è dipinta, e prometta molto piu di quello che nel vero ella ha e che si vede. E cotale onore li diedero Antigono e Senocrate, i quali di cotale arte e delle opere della pittura ampiamente trattarono, non pure lodando ciò in lui e molte altre cose, ma ancora celebrandonelo oltre a modo. Rimasero di lui e di suo stile in carte e in tavole alcune adombrate figure con le quali non poco si avanzarono poscia molti di cotale arte. Egli, come poco fa dicemo, fu tale nel bene e interamente finire l’opere sue che paragonato a se stesso nel mezzo di loro apparisce molto minore. Dipinse con bellissima invenzione il Genio e<,> come sarebbe a dire sotto una figura stessa<,> la natura del popolo Atheniese quale ella era, dove in un subietto medesimo volle che apparisse il vario, l’iracondo, il placabile, il clemente, il misericordioso, il superbo, il pomposo, l’umile, il feroce, il timido, e’l fugace, che tale era la condizione e natura di quel popolo. Fu molto lodato di lui un capitano di nave armato di corazza, e in una tavola che era a Rodi<,> Meleagro, Ercole e Perseo, la quale<,> abronzata tre volte dalla saetta e non iscolorita accresceva la maraviglia. Dipinse ancora uno Archigallo, della quale figura fu tanto vago Tiberio Imperadore, che per poterla vagheggiare a suo diletto se la fece appiccare in camera. Videsi di lui ancora una balia di Creti col bambino in braccio, figura molto celebrata, e Flisco e Bacco con la Virtù appresso e due vezzosissimi fanciullini<,> ne’ quali si scorgeva chiara la semplicità della età e quella vita senza pensiero alcuno. Dipinse inoltre un sacerdote sacrificante con un fanciullo appresso ministro del sacrificio<,> con la grillanda e con l’incenso. Ebbero gran fama due figure di lui armate, l’una che in battaglia correndo pareva che sudasse, e l’altra che per stanchezza ponendo giu l’arme pareva che ansasse. Fu lodata ancho di questo artefice medesimo una tavola dove era Enea, Castore e Polluce, e simigliantemente un’altra dove era Telefo, Achille, Agamennone e Ulisse. Valse ancora molto nel ben parlare, ma fu superbo oltre a misura, lodando se stesso arrogantemente e l’arte sua, chiamandosi per sopranome or Grazioso e ora con cotali altri nomi [p. lxv modifica]dichiaranti lui essere il primo, e convenirsegli il pregio di quell’arte, e d’averla condotta a somma perfettione, e sopra tutto d’essere disceso da Apollo, e che l’Ercole, il quale egli aveva dipinto a Lindo città di Rodi era tale quale egli diceva piu volte esserli apparito in visione. Fu con tutto ciò vinto a Samo la seconda volta da Timante, il che male agevolmente sopportò. Dipinse ancora per suo diporto in alcune picciole tavolette congiungimenti amorosi <molto> lascivi. In Timante, il quale fu al medesimo tempo<,> si conobbe una molto benigna natura; di cui intra le altre ebbe gran nome, e che è posta da quegli che insegnono l’arte del ben dire per essempio di convenevolezza, una tavola dove è dipinto il sacrificio che si fece di Iphigenia figliuola di Agamennone, la quale stava dinanzi allo altare per dover essere uccisa dal sacerdote, d’intorno a cui erano dipinti molti che a tal sacrificio intervenieno e tutti assai nel sembiante mesti e<,> fra gli altri<,> Menelao zio della fanciulla alquanto piu de gli altri; ne trovando nuovo modo di dolore che si convenisse a padre in cosi fiero spettacolo, avendo ne gli altri consumato tutta l’arte, con un lembo del mantello gli coperse il viso, quasi che esso non potesse patire di vedere si orribile crudeltà nella persona della figliuola, che cosi pareva che a padre si convenisse. Molte altre cose ancora rimasero di sua arte, le quali lungo tempo fecero fede della eccellentia dello ingegno e della mano di lui, come fu un Polifemo in una picciola tavoletta<,> che dorme, del quale volendo che si conoscesse la lunghezza, dipinse appresso alcuni satiri, che con la verga loro gli misuravano il dito grosso della mano. E in somma in tutte l’opere di questo artefice sempre s’intendeva molto piu di quello che nella pittura appariva, e come che l’arte vi fusse grande, l’ingegno sempre vi si conosceva maggiore. Bellissima figura fu tenuta di questo medesimo, e nella quale pareva che apparisse tutto quello che puo far l’arte, uno di quei Semidei che gli antichi chiamarono Eroi, la quale poi a Roma lungo tempo fu ornamento grande del tempio della Pace. Questa medesima età produsse Euxenida, che fu discepolo d’Aristide pittore chiaro, et Eupompo, il quale fu maestro di Panfilo, da cui dipoi imparò Apelle. Durò assai di questo Eupompo una figura di gran nome, rassembrante uno di quei campioni vincitori de’ giuochi Olimpici con la palma in mano. Fu egli di tanta autorità appresso i Greci, che dividendosi prima la pittura in due maniere l’una chiamata Asiatica e l’altra Greca, egli partendo la Greca in due di tutte ne fece tre<:> Asiatica, Sicionia e Attica. Da Panfilo fu la battaglia e la vittoria degli Atheniesi a Phliunte dipinta, e dal medesimo<,> Ulisse, come è descritto da Omero, in mare sopra una nave rozza a guisa di fodero. Fu di natione Macedonico e il primo di cotale arte che fosse nelle lettere scienziato e principalmente nella Arimetica e nella Geometria, senza le quali scienze egli soleva dire non si potere nella pittura fare molto profitto. Insegnò apprezzo, ne volle meno<,> da ciascuno discepolo in dieci anni<,> di uno talento, il qual salario gli pagarono Melanthio e Apelle; e potè tanto l’esempio di questo artefice che prima in Sicione e poi in tutta la Grecia fu stabilito, che fra le prime cose che s’insegnavano nelle scuole a’ fanciulli nobili fusse il disegnare, che va inanzi al [p. lxvi modifica]colorire, e che l’arte della pittura si accettasse nel primo grado delle arti liberali, e nel vero appresso i Greci sempre fu tenuta questa arte di molto onore e fu esercitata non solo da’ nobili, ma da persone onorate ancora<,> con espressa prohibitione che i servi non si ammettessero per discepoli di cotale arte; laonde non si trova che ne in pittura ne in alcuno altro lavoro che dal disegno proceda sia stato alcuno nominato che fusse stato servo. Ma innanzi a questi ultimi de’ quali noi abbiamo parlato, forse xx anni<,> si trova essere stati di qualche nome Echione e Terimanto. Di Echione furono in pregio queste figure<:> Bacco, la Tragedia e la Comedia in forma di donne, Semiramis, la quale di serva diveniva Regina di Babilonia, una suocera che portava la faccellina innanzi a una nuora che ne andava a marito, nel volto della quale si scorgeva quella vergogna che a pulzella in cotale atto e tempo si richiede. Ma a tutti i di sopra detti e coloro che di sotto si diranno trappassò di gran lunga Apelle, che visse intorno alla xii e centesima Olimpiade, che dalla fondazione di Roma batte intorno a ccccxxi anno, ne solamente nella perfettione dell’arte, ma ancora nel numero delle figure; percioche egli solo molto meglio di ciascuno e molto piu ne dipinse, e piu arrecò a tale arte d’aiuto scrivendone ancora volumi i quali di quella insegnarono la perfettione. Fu costui maraviglioso nel fare le sue opere graziose; e avenga che al suo tempo fussero maestri molto eccellenti, l’opere de i quali egli soleva molto commendare e ammirare, nondimeno a tutti diceva mancare quella leggiadria la quale da’ Greci e da noi è chiamata grazia: nell’altre cose<,> molti essere da quanto lui, ma in questo<,> non aver pare. Di questo altro si dava egli anche vanto, che riguardando i lavori di Protogene con maraviglia di fatica grande e di pensiero infinito e commendandoli oltre a modo in tutti diceva averlo pareggiato, e forse in alcuna parte essere da lui vinto, ma in questo senza dubbio essere da piu, percioche Protogene non sapeva levar mai la mano d’in sul lavoro. Il che detto da cotale artefice si vuole avere per ammaestramento che spesse fiate nuoce la soverchia diligenza. Fu costui non solamente nell’arte sua eccellentissimo maestro, ma d’animo ancora semplicissimo e molto sincero, come ne fa fede quello che di lui e di Protogene dicono essere avvenuto. Dimorava Protogene nell’Isola di Rodi sua patria, dove alcuna volta venendo Apelle con desiderio grande di vedere l’opere di lui, che le udiva molto lodare et egli solamente per fama lo conosceva, dirittamente si fece menare alla bottega dove ei lavorava e giunsevi apunto in tempo che egli era ito altrove; dove entrando Apelle, vidde che egli aveva messo su una gran tavola per dipignerla e insieme una vecchia sola a guardia della bottega, la quale, domandandola Apelle del maestro, rispose lui essere ito fuore. Domandò ella lui chi fusse quegli che ne domandava: questi<,> rispose tostamente Apelle, e preso un pennello tirò una linea di colore sopra quella tavola<,> di maravigliosa sottigliezza, e andò via. Torna Protogene, la vecchia gli conta il fatto, guarda egli, e considerata la sottigliezza di quella linea s’avisò troppo bene ciò non essere opera d’altri che di Apelle, che in altri non caderebbe opera tanto perfetta; e preso il pennello sopra quella istessa d’Apelle d’altro [p. lxvii modifica]colore ne tirò un’altra piu sottile e disse alla vecchia: dirai a quel buono uomo<,> se ci torna<,> mostrandoli questa, che questi è quegli che ei va cercando; e cosi non molto poi avvenne, che tornato Apelle e udito dalla vecchia il fatto, vergognando d’esser vinto con un terzo colore partì quelle linee stesse per lungo il mezzo, non lasciando piu luogo veruno ad alcuna sottigliezza. Onde tornando Protogene e considerato la cosa e confessando d’esser vinto, corse al porto cercando d’Apelle e seco nel menò a casa. Questa tavola<,> senza altra dipintura vedervisi entro, fu tenuta degna per questo fatto solo d’esser lungo tempo mantenuta viva e fu poi come cosa nobile portata a Roma e nel palazzo de gli Imperadori veduta volentieri da ciascuno e sommamente ammirata, e piu da coloro che ne potevano giudicare, tutto che non vi si vedesse altro che queste linee<,> tanto sottili che poi a pena si potevano scorgere e fra le altre opere nobilissime fu tenuta cara, e per quello istesso che entro altro non vi si vedeva allettava gli occhi de’ riguardanti. Ebbe questo artefice in costume di non lasciar mai passare un giorno solo che almeno non tirasse una linea e in qualche parte esercitasse l’arte sua; il che poi venne in proverbio. Usava egli similmente mettere l’opere sue finite in publico, e appresso star nascoso ascoltando quello che altri ne dicesse, estimando il vulgo d’alcune cose essere buon conoscitore, e poterne ben giudicare. Avvenne (come si dice) che un calzolaio accusò in una pianella d’una figura non so che difetto, e conoscendo il maestro che e’ diceva il vero la racconciò; tornando poi l’altro giorno il medesimo calzolaio e vedendo il maestro averli creduto nella pianella cominciò a voler dire non so che di una delle gambe, di che sdegnato Apelle e uscendo fuori disse proverbiandolo che a calzolaio non conveniva giudicar piu su che la pianella, il qual detto fu anco accettato per proverbio. Fu inoltre molto piacevole e alla mano, e per questo oltre a modo caro ad Alessandro Magno, talmente che quel Re lo andava spesso a visitare a bottega prendendo diletto di vederlo lavorare e insieme d’udirlo ragionare. Et ebbe tanto di grazia e di autorità appresso a questo Re, benche stizzoso e bizzarro, che ragionando esso alcune volte della arte di lui meno che saviamente, con bel modo gli imponeva silentio, mostrandoli i fattorini che macinavano i colori ridersene. Ma quale Alessandro lo stimasse nell’arte si conobbe per questo, che egli prohibì a ciascuno dipintore il ritrarlo fuori che ad Apelle. E quanto egli lo amasse e avesse caro si vide per questo altro, percioche avendoli imposto Alessandro che gli ritraesse nuda Cansace<,> una <e> la piu bella delle sue concubine, la quale esso amava molto, e accorgendosi per segni manifesti che nel mirarla fiso Apelle s’era acceso della bellezza di lei, concedendoli Alessandro tutto il suo affetto gne ne fece dono, senza aver riguardo ancho a lei che essendo amica di Re, e di Alessandro Re, li convenne divenire amica d’un pittore. Furono alcuni che stimarono che quella Venere Dionea tanto celebrata fusse il ritratto di questa bella femmina. Fu questo Apelle molto umano inverso li artefici de’ suoi tempi e il primo che dette riputazione alle opere di Protogene in Rodi, percioche egli, come il piu delle volte suole avvenire, tra i suoi cittadini non [p. lxviii modifica]era stimato molto, e domandandogli Apelle alcuna volta quanto egli stimasse alcune sue figure, rispose non so che piccola cosa, onde egli dette nome di voler per se comperar quelle ch’egli avea lavorato, e lavorerebbe<,> per rivenderle per sue prezzo molto maggiore, il che fece aprire gli occhi a’ Rodiani, ne volle cederle loro se non arrogevano al prezzo con non poco utile di quel pittore. <È> cosa incredibile quello che è scritto di lui, cioè che egli ritraeva si bene e si apunto le imagini altrui dal naturale, che uno di questi che nel guardare in viso altrui fiso sogliono indovinare quello che ad alcuno sij avvenuto nel passato tempo o debba avvenire nel futuro, i quali si chiamano fisiomanti, guardando alcun ritratto fatto da Apelle conobbe per quello quanto quegli di cui era il ritratto dovesse vivere o fusse vivuto. Dipinse con un nuovo modo Antigono Re, che l’uno de gl’occhi aveva meno, in maniera che il difetto della faccia non apparisse, percioche egli lo dipinse col viso tanto volto quanto bastò a celare in lui quel mancamento, non parendo però difetto alcuno nella figura. Ebbero gran nome alcune imagini da lui fatte di persone che morivano, ma fra le molte sue e molto lodate opere qual fosse la piu perfetta non si sa cosi bene. Agusto Cesare consagrò al tempio di Giulio suo padre quella Venere nobilissima che per uscir del mare e da quell’atto stesso fu chiamata Anadiomene, la quale da’ poeti Greci fu mirabilmente celebrata e illustrata, alla parte di cui che s’era corrotta non si trovò chi ardisse por mano, il che fu grandissima gloria di cotal’artefice. Egli medesimo cominciò a quelli di Coo un’altra Venere e ne fece il volto e la parte sovrana del petto, e si pensò da quel che se ne vedeva che egli arebbe e quella prima Dionea e se stesso in questa avanzato. Morte cosi bella opera interroppe, ne si trovò poi chi alla parte disegnata presumesse aggiugner colore. Dipinse ancora a quelli di Epheso, nel tempio della lor Diana<,> un Alessandro Magno con la saetta di Giove in mano, le dita della quale pareva che fussero di rilievo e la saetta che uscisse fuor della tavola, e ne fu pagato di moneta d’oro, non a novero, ma a misura. Dipinse molte altre figure di gran nome, e Clito familiar di Alessandro in atto di apprestarsi a battaglia, con il paggio suo che gli porgeva la celata. Non bisogna domandare quante volte ne in quante maniere, e’ ritraesse Alessandro o Filippo suo padre, che furono infinite, e quanti altri Re e personaggi grandi ei dipignesse. In Roma si vide di lui Castore e Polluce con la Vittoria, e Alessandro trionfante con l’imagine della guerra con le mani legate drieto al carro, le quali due tavole Agusto consacrò al suo foro nelle parti piu onorate di quello, e Claudio poi cancellandone il volto di Alessandro vi fece riporre quello di Agusto. Dipinse uno Eroe ignudo, quasi in quest’opera volesse gareggiare con la natura. Dipinse ancora a pruova con certi altri pittori un cavallo, dove temendo del giudizio degli uomini e insospettito del favore de’ giudici inverso i suoi avversarij<,> chiese che se ne stesse al giudizio de’ cavagli stessi, et essendo menati i cavalli d’attorno a’ ritratti di ciascuno<,> ringhiarono a quel d’Apelle solamente, il qual giudizio fu stimato verissimo. Ritrasse Antigono in corazza con il cavallo drieto, e in altre maniere molte, e di tutte le sue opere quelli che di cosi fatte opere s’intesero, giudicarono l’ottima essere uno Antigono a cavallo. Fu bella anco di lui una Diana, secondo che la dipinse in versi Omero, e [p. lxix modifica]pare che il dipintore in questo vincesse il poeta. Dipinse inoltre con nuovo modo e bella invenzione la Calunnia prendendone questa occasione. Era egli in Alessandria in corte di Tolomeo Re, e per la virtù sua in molto favore. Ebbevi dell’arte stessa chi l’invidiava e cercando di farlo mal capitare l’accusò di congiura contro a Tolommeo di cosa nella quale non solo non aveva colpa veruna Apelle, ma ne anco era da credere che un tal pensiero gli fusse mai caduto nell’animo; fu nondimeno vicino al perderne la persona, credendo cio il Re scioccamente; e percio, ripensando egli seco stesso il pericolo il quale aveva corso, volle mostrare con l’arte sua che e come pericolosa cosa fosse la calunnia. E cosi dipinse un Re a sedere con orecchie lunghissime e che porgeva innanzi la mano, da ciascuno de’ lati del quale era una figura, il Sospetto e l’Ignoranza; dalla parte dinanzi veniva una femmina molto bella e bene adobbata, con sembiante fiero e adirato, e con essa la sinistra teneva una facellina accesa, e con la destra strascinava per i capegli un doloroso giovane, il quale pareva che con gli occhi e con le mani levate al cielo gridasse misericordia e chiamasse li dei per testimonio della vita sua di niuna colpa macchiata. Guidava costei una figura pallida nel volto e molto sozza, la quale pareva che pure allora da lunga infermità si sollevasse; questa si giudicò che fusse l’Invidia. Drieto alla Calunnia, come sue serventi e di sua compagnia seguivano due altre figure, secondo che si crede, che rassembravano l’Inganno e l’Insidia. Dopo a queste era la Penitenza atteggiata di dolore e involta in panni bruni, la quale si batteva a palme e pareva che dietro guardandosi mostrasse la Verità, in forma di donna modestissima e molto contegnosa. Questa tavola fu molto lodata, e per la virtù del maestro, e per la leggiadria dell’arte, e per la invenzione della cosa, la quale può molto giovare a coloro li quali sono proposti ad udire le accuse de gli uomini. Furono del medesimo artefice molte altre opere celebrate da gli scrittori, le quali si lasciano andare per brevità, essendosene raccontate forse piu che non bisognava. Trovò nell’arte molte cose e molto utili, le quali giovarono molto a quegli che di poi le appararono. Questo non si trovò giamai dopo lui chi lo sapesse adoperare, e questo fu un color bruno, o vernice che si debba chiamare, il quale egli sottilmente distendeva sopra l’opre gia finite, il quale con la sua riverberazione destava la chiarezza in alcuni de’ colori e gli difendeva dalla polvere, e non appariva se non da chi ben presso il mirava; e cio faceva con isquisita ragione, accioche la chiarezza d’alcuni accesi colori meno offendessero la vista di chi da lontano come per vetro le riguardasse, temperando cio col piu e col meno secondo giudicava convenirsi. Al medesimo tempo fu Aristide Tebano il quale, come si dice, fu il primo che dipignesse l’animo e le passioni di quello. Fu alquanto piu rozzo nel colorire. Ebbe gran nome una tavola di costui dove era ritratto<,> fra la strage d’una terra presa per forza<,> una madre la quale moriva di ferite e appresso aveva il figliuolo che carpone si traheva alla poppa, e nella madre pareva temenza che’l figliuolo non bevesse con il latte il sangue di lei gia morto. Questa tavola estimandola bellissima fece portare in Macedonia a Pella sua patria Alessandro Magno. Dipinse ancora la battaglia d’Alessandro con i Persi, mettendo in una stessa tavola cento figure, [p. lxx modifica]avendo prima pattuito con Mnasone<,> Prencipe de gli Elatresi<,> cento mine per ciascuna. Di questo medesimo si potrebbono raccontare altre figure molto chiare le quali e a Roma e altrove furono molto in pregio assai tempo, e fra l’altre uno infermo lodato infinitamente, percioche ei valse tanto in questa arte, che si dice il Re Attalo aver comperato una delle sue tavole cento talenti. Visse al medesimo tempo e fiorì Protogene, suddito de’ Rodiani, di cui alquanto di sopra si disse, povero molto nel principio del suo mestiere, e di cui si dice che egli aveva da prima esercitato la pittura in cose basse e quasi aveva lavorato a opera dipignendo le navi; ma fu diligente molto e nel dipignere tardo e fastidioso, ne cosi bene in esso si sodisfaceva. Il vanto delle sue opere porta lo Ialiso, il quale insino al tempo di Vespasiano Imperadore si guardava ancora a Roma nel Tempio della Pace. Dicono, che nel tempo che egli faceva cotale opera non mangiò altro che lupini dolci, sodisfacendo a un tempo medesimo con essi alla fame e alla sete per mantenere l’animo e i sensi piu saldi e non vinti da alcuno diletto. Quattro volte mise colore sopra colore a questa opera<,> riparo contro alla vecchiezza e schermo contro al tempo, acciò consumandosi l’uno succedesse l’altro di mano in mano. Vedevasi in questa tavola stessa un cane di maravigliosa bellezza fatto da l’arte e insieme dal caso in cotal modo. Voleva egli ritrarre intorno alla bocca del cane quella schiuma la quale fanno i cani faticati e ansanti, ne poteva in alcun modo entro sodisfarvisi; ora scambiava pennello, ora con la spugna scancellava i colori, ora insieme li mescolava, che arebbe pur voluto che ella uscisse della bocca dell’animale e non che la paresse di fuora appiccata, ne si contentava in modo veruno tanto che<,> avendovi faticato intorno molto ne riuscendogli meglio l’ultima volta che la prima, con istizza trasse la spugna che egli aveva in mano piena di quei colori nel luogo stesso dove egli dipigneva. Maravigliosa cosa fu a vedere, quello che non aveva potuto fare con tanto studio e fatica l’arte, lo fece il caso in un tratto solo, percioche quelli colori vennero appiccati intorno alla bocca del cane di maniera che ella parve proprio schiuma che di bocca gli uscisse. Questo stesso dicono essere avvenuto a Nealce pittore, nel fare medesimamente la schiuma alla bocca d’un cavallo ansante, o avendolo apparato da Protogene o essendoli avvenuto il caso medesimo. Questa figura di Protogene fu quella che difese Rodi da Demetrio Re, il quale fieramente con grande esercito la combatteva, percioche potendo agevolmente prendere la terra dalla parte dove si guardava questa tavola, che era luogo men forte, dubitando il Re che la non venisse arsa nella furia de’ soldati, volse l’impeto dell’oste altrove, e intanto gli trappassò l’occasione di vincere la terra. Stavasi in questo tempo Protogene in una sua villetta, quasi sotto le mura della città, cioè dentro alle forze di Demetrio e nel suo campo; ne per combattere che si facesse ne per pericolo che e’ portasse lasciò mai di lavorare, e chiamato una fiata dal Re e domandato in su che egli si fidasse che cosi gli pareva star sicuro fuor delle mura, rispose percioche egli sapeva molto bene, che Demetrio aveva guerra con i Rodiani e non con le arti. Fece Demetrio, piacendogli la risposta di questo [p. lxxi modifica]artefice<,> guardare <ch’e’> non fusse da alcuno noiato o offeso, e perche egli non si avesse a scioperare spesso andava a visitarlo e tralasciata la cura delle armi e dell’oste molte volte stava a vederlo dipignere fra i romori del campo e il percuotere delle mura, e quinci si disse poi che quella dipintura, che egli allora aveva fra mano, fu lavorata sotto il coltello, e questo fu quel Satiro di maravigliosa bellezza, il quale, percioche egli appoggiandosi a una colonna si riposava, ebbe nome il Satiro riposantesi, il quale, quasi nullo altro pensiero lo toccasse, mirava fiso una sampogna, che egli teneva in mano. Sopra a quella colonna aveva anco quel maestro dipinta una quaglia tanto pronta e tanto bella, che non era alcuno che senza maraviglia la riguardasse, alla quale le dimestiche tutte cantavano, invitandola a combattere. Molte altre opere di questo artefice si lasciono indrieto per andare a gli altri che ebbero pregio di cotale arte. Fra i quali fu al medesimo tempo Asclepiodoro, il quale nella proportione valse un mondo, e però da Apelle era in questo maravigliosamente lodato. Ebbe da Mnasone Prencipe de gli Elatensi, per dodici dei dipintili, trecento mine per ciascuno. Fra questi, merita d’esser raccontato Nicomaco, figliuolo o discepolo di Aristodemo, il quale dipinse Proserpina rapita da Plutone, la qual tavola era in Roma nel Campidoglio sopra la cappella della Gioventù, e nel medesimo luogo un’altra pur di sua mano dove si vedeva una Vittoria, la quale in alto ne portava un carro insieme con i cavagli. Dipinse anco Apollo e Diana, e Rhea madre de gli Dei sedente sopra un leone, medesimamente alcune giovenche con alquanti satiri appresso in atto di volere involandole trafugar via, e una Scilla, che era a Roma nel tempio della Pace. Niuno di lui in questa arte fu piu presto di mano e si dice, che avendo tolto a dipignere un sepolcro che faceva fare a Teleste poeta Aristrato Prencipe de’ Sicionij in termine di non molto tempo, et essendo venuto tardi a l’opera e crucciandosene e minacciandolo Aristrato, egli in pochissimi giorni lo dette compito con prestezza e destrezza maravigliosa. Discepoli suoi furono Aristide fratello suo e Aristocle figliuolo, e Philoxeno d’Eretria, di cui si dice essere stata una tavola fatta per Cassandro Re, entrovi ritratta la battaglia d’Alessandro con i Persi, la qual fu tale che non merita d’essere lasciata indietro per alcun’altra. Fece molte altre cose ancora, imitando la prestezza del maestro e trovando nuove vie e piu brevi di dipignere. A questi si aggiunghino Nicofane<,> gentile e pulito artefice, e Perseo discepolo d’Apelle, il quale molto fu da meno del maestro. Furono al medesimo tempo alcuni altri che partendosi da quella maniera grande di questi detti di sopra esercitarono l’ingegno e l’arte in cose molto piu basse, ma che furono tenute in pregio assai ne meno stimate delle altre. Tra i quali fu Pireo, che dipigneva e ritraeva botteghe di barbieri, di calzolai, taverne, asini, lavoratori e cosi fatte cose, onde egli trasse anco il sopranome, che si chiamava il Dipintore delle cose basse, le quali nondimeno<,> per essere lavorate con bella arte<,> non erano stimate meno che le magnifiche e le onorate. Altri fu che dipinse molto bene le scene delle comedie e da questo ebbe nome, e altri altre diverse cose, variando assai dalli gravi e celebrati pittori, non senza [p. lxxii modifica]grande utile loro e diletto altrui. Fu anco poi all’età d’Augusto un Ludio, il primo che cominciasse a dipignere per le mura<,> con piacevolissimo aspetto<,> ville, logge, giardini, spalliere fronzute, selve, boschetti, vivai, laghi, riviere, liti e piacevoli imagini di viandanti, di naviganti, di vetturali e d’altre simili cose in bella prospettiva, altri che pescavano, cacciavano, vendemmiavano, femmine che correvano, e fra queste molte piacevolezze e cose da ridere mescolate. Ma e’ pare, che non sieno stati celebrati di questi cotali alcuni<,> tanto quanto quelli antichi i quali in tavole solamente dipinsero, e percio è in grandissima riverenzia l’antichità, percioche quei primi artefici non adoperavano l’arte loro se non in cose che si potessero tramutare, e fuggire le guerre e gl’incendij e l’altre rovine, e agli antichi tempi in Grecia ne in publico ne in privato non si truova mura dipinte da nobili artefici. Protogene visse in una sua casetta con poco d’orto senza ornamento alcuno di sua arte. Apelle niuno muro dipinse giamai. Tutta l’arte di questi solenni maestri si dava alli communi e il pittor buono era cosa publica riputato. Ebbe alcuno nome poco inanzi alla età d’Augusto uno Arellio, il quale fu tanto dissoluto nello amore delle femmine che mai non fu senza, e perciò dipignendo dee sempre vi si riconosceva drento alcuna delle da lui amate e le meretrici stesse. Tra questi detti di sopra non si vuol lasciar indietro Pausia Sicionio, discepolo di quel Panfilo che fu anco maestro d’Apelle, il quale pare che fusse il primo che cominciò a dipignere per le case i palchi e le volte, il che innanti non s’era usato. Dipigneva costui per lo piu tavolette picciole, e massimamente fanciulli, il che i suoi avversarij dicevano farsi da lui, percioche quel modo di lavorare era molto lungo, onde egli per acquistare nome di sollecito e presto dipintore<,> quando voglia o bisogno glie ne venisse<,> fece in un giorno solo una tavola, la quale da questo fu chiamata il Lavoro d’un solo giorno, entrovi un fanciul dipinto molto bello. Fu innamorato costui in sua giovanezza d’una fanciulletta di sua terra che faceva grillande di fiori, e recò nell’arte una infinità di fiori di mille maniere quasi facendo con lei, cui egli amava, a gara; e in ultimo dipinse lei con una grillanda di fiori in mano, la quale ella tesseva, e questa tavola fu stimata di grandissimo prezzo, e da colei che v’era entro dipinta ebbe nome la Grillanda tessente, il ritratto della quale di mano d’un altro buon maestro comperò Lucullo in Athene duoi talenti. Fece questo artefice medesimo alcune altre opere molto magnifiche, come fu un sacrificio di buoi, del quale se ne adornò in Roma la loggia di Pompeo Magno, all’eccellenza della quale opera e all’inventione si sono provati d’arrivare molti, ma niuno vi aggiunse giamai. Egli primieramente, volendo mostrare con bella arte la grandezza d’un bue lo dipinse non per lo lungo, ma in iscorcio, e in tal maniera che la lunghezza vi appariva giustissima, e poi conciosia che tutti coloro che vogliono far parere in piano alcuna cosa di rilievo adoperino color chiaro e bruno, mescolandoli insieme con certa ragione e proporzione, egli lo dipinse tutto di color bruno e del medesimo fece apparir l’ombre del corpo; grande arte certamente nel piano far parere le cose di rilievo e nel rotto intere. Visse costui in Sicione, che lungo tempo fu [p. lxxiii modifica]questa terra quasi la casa della pittura, e onde tutte le nobili tavole, che molte ve ne ebbe per debito del Comune pegnorate, furono poi portate a Roma da Scauro Edile, per adornare nella sua magnifica festa il foro Romano. Dopo questo Pausia Eufranore da Ismo avanzò tutti gli altri di sua età, e visse intorno a gli anni della Olimpiade 124 che batte intorno a l’anno di Roma 430<,> avenga che egli lavorasse anco in marmo, in metallo e in argento colossi e altre figure, che fu molto agevole ad imprendere qualunche si fusse di queste arti, ma bene le esercitava con molta fatica e in tutte fu ugualmente lodato. Ebbe vanto d’essere il primo che alle imagini de gli Eroi desse tale maestà quale a quegli si conviene, e che nelle sue figure usasse ottimamente le proporzioni, come che nel fare i corpi alle sue figure paresse un poco sottile, e ne<’> capi e nelle mani maggior del dovere. L’opere di lui piu lodate sono una battaglia di cavalieri, Dodici dei, un Theseo, sopra il quale soleva dire il suo essere pasciuto di carne e quel di Parrasio di rose. Vedevasi del medesimo a Epheso una tavola molto nobile dove era Ulisse, il quale fingendosi stolto metteva a giogo un bue e un cavallo, e Palamede che nascondeva la spada in un fascio di legne. Al medesimo tempo fu Ciclia, una tavola di cui contenente gli Argonauti comperò Ortensio Oratore, credo quarantaquattro talenti, e a questa sola a Tuscolo sua villa fabricò una cappelletta. Di Eufranore fu discepolo Antidoto, di cui si diceva essere in Athene uno con lo scudo in atto di combattere, uno che giocava alla lotta, uno che sonava il flauto<,> lodati eccessivamente. Fu costui per se chiaro assai, ma molto piu per essere stato suo discepolo Nicia Atheniese, quegli che cosi bene dipinse le femmine e il chiaro e l’oscuro nelle sue opere cosi bene rassembrò, di maniera che le opere di lui tutte parevano nel piano rilevate, nel che egli si sforzò e valse molto. L’opere di costui molto chiare furono una Nemea, la quale a Roma da Sillano fu portata d’Asia, medesimamente un Bacco, il quale era nel tempio della Concordia, uno Iacintho, il quale Cesare Agusto piacendogli oltre modo portò seco a Roma d’Alessandria poi che esso l’ebbe presa, e perciò Tiberio Cesare nel tempio di lui lo consacrò a Diana. A Epheso dipinse il sepolcro molto celebrato di Megalisia sacerdotessa di Diana. In Athene, l’inferno d’Omero, che nella greca lingua si chiama Necia, il quale egli dipinse con tanta attenzione d’animo e con tanto affetto che bene spesso domandava i suoi famigliari se egli quella mattina aveva desinato o no; la qual pittura, potendola vendere alcuni dicono a Attalo Re e altri a Tolommeo sessanta talenti, volle piu tosto farne dono alla patria sua. Dipinse inoltre figure molto maggiori del naturale, ciò furono Calipso, Io, Andromeda, Alessandro che a Roma si vedeva nella loggia di Pompeo, e un’altra Calipso a sedere. Fu nel ritrarre le bestie maraviglioso e i cani principalmente. Questi è quel Nicia, di cui soleva dire Prassitele, domandato qual delle sue figure di marmo egli avesse per migliore, quelle a cui Nicia aveva posto l’ultima mano, tanto dava egli a quella ultima politura con la quale si finiscono le statue. Fu giudicato pare a questo Nicia, e forse maggiore<,> uno Athenione Maronite discepolo di Glaucone da Coranto, tutto che nel colorire fusse [p. lxxiv modifica]alquanto piu austero, ma tale nondimeno che quella severità dilettava e che nell’arte di lui si mostrava molto sapere. Dipinse nel tempio di Cerere Eleusina<,> nella Attica<,> Filarco, e in Athene quel gran numero di femmine che in certi sacrifizij andavano a processione con canestri in capo. Diedegli gran nome un cavallo dipinto, con uno che lo menava, e medesimamente Achille, il quale sotto abito feminile nascoso era trovato da Ulisse; e se egli non fusse morto molto giovane non aveva pare alcuno. Fu anco quasi a questa età medesima in Athene Metrodoro filosofo insiememente e pittore, e grande nell’una e nell’altra professione, di maniera, che poi che Paolo Emilio ebbe vinto e preso Perse re di Macedonia<,> chiedendo agli Atheniesi che gli procacciassero un filosofo che insegnasse a’ figliuoli e uno pittore che gli adornasse il trionfo, gli Atheniesi di comun parere li mandarono Metrodoro solo, giudicandolo sufficiente a l’una cosa e a l’altra, il che approvò Paolo medesimo. Fu anco poi al tempo di Giulio Cesare dittatore uno Timomaco di Bisanzio, il quale dipinse uno Aiace e una Medea, le quali tavole furono vendute ottanta talenti. Di questo medesimo fu molto lodato uno Oreste e una Efigenia, e Lecito maestro di esercitare i giovani nelle palestre, e ancora alcuni Atheniesi in mantello, altri in atto di aringare e altri a sedere, e come che in tutte queste opere sij lodato molto, pare nondimeno che l’arte lo favorisse molto piu nel Gorgone. Di quel Pausia detto di sopra fu figliuolo e discepolo Aristolao pittore molto severo, del quale furono opere Epaminonda, Pericle, Medea, la Virtù, Teseo e il ritratto della plebe di Athene e un sacrificio di buoi. Ebbe anchora a chi piacque Menochare discepolo di quello stesso Pausia, la virtù e diligenza del quale intendevano solamente coloro che erano dell’arte. Fu rozzo nel colorire, ma abondante molto. Tra le opere di cui sono celebrate queste: Esculapio con le figliuole Igia, Egle e Pane, e quella figura neghittosa che chiamarono Ocno, che è un povero uomo che tesse una fune di stramba e uno asino drieto che la si mangia, non accorgendosene egli. E questi che noi insino a qui abbiamo raccontati furono di cotale arte tenuti i principali. Aggiugnerannosi alcuni altri che li secondarono appresso, non gia per ordine di tempo non si potendo rinvenire l’età loro cosi apunto; come Aristoclide, il quale ornò il tempio del Delfico Apollo, e Antifilo di cui è molto lodato un fanciullo che soffia nel fuoco, tale che tutta una stanza se ne alluma. Medesimamente una bottega di lana, dove si veggono molte femmine in diverse maniere sollecitar ciascuna il suo lavoro. Uno Tolommeo in caccia, e un Satiro bellissimo con pelle di Pantera indosso. Aristofane ancora è in buon nome per uno <Anceo> ferito dal Cignale con Astipale dolente oltra modo. E inoltre per una tavola entrovi Priamo, la Semplice credenza, l’Inganno, Ulisse e Deifebo. Androbio ancora dipinse una Scilla, mostro marino, che tagliava l’ancore del navilio de’ Persi. Artemone una Danae in mare portata da’ venti e alcuni corsali i quali con istupore la rimiravano, la regina Stratonica, uno Ercole, e una Deianira. Ma oltre a modo furono di lui chiare quelle che erano in Roma nelle logge di Ottavia; ciò furono uno Ercole [p. lxxv modifica]nel monte Eta, che nella pira ardendo e lasciando in terra l’umano era ricevuto in cielo nel divino di comun parere de gli dei, e la storia di Nettuno e d’Ercole intorno a Laomedonte. Alcidamo anco dipinse Diosippo, che ne’ giuochi Olimpici alla lotta insieme e alle pugna aveva vinto, come era il proverbio, senza polvere. Uno Chresiloco, il quale fu discepolo d’Apelle<,> ritrasse Giove, e nel vero con poca reverenzia in atto di voler partorire Bacco, lagnantesi a guisa di femmina fra le mani delle levatrici, con molte delle dee intorno, le quali dolenti e lagrimanti ministravano al parto. Uno Cleside, parendogli aver ricevuto ingiuria da Stratonica Regina, non essendo stato da lei accettato come pareva se li convenisse<,> dipinse il Diletto in forma di femmina insieme con un pescatore, che si diceva essere amato dalla Regina, e lasciò questa tavola in Epheso in publico e noleggiata una nave con gran prestezza favorito da’ venti fuggì via; la Regina non volle che ella fosse quindi levata, come che questo artefice l’avesse molto bene rassembrata in quella figura e il pescatore altresì ritratto al naturale. Nicearco dipinse Venere e Cupido fra le Grazie, e uno Ercole mesto in atto di pentirsi della pazzia. Nealce dipinse una battaglia navale nel Nilo, fra i Persi e gli Egittij, e per ciò che le acque del Nilo per la grandezza di quel fiume rassembrano il mare, accioche la cosa fusse riconosciuta<,> con bel trovato e grazia maravigliosa, dipinse alla riva uno asinello che beeva e poco piu oltre un gran cocodrillo in aguato per prenderlo. Filisco dipinse una bottega d’un dipintore con tutti i suoi ordigni e un fanciullo, che soffiava nel fuoco. Theodoro un che si soffiava il naso; il medesimo dipinse Oreste che uccideva la madre et Egisto adultero, e in piu tavole la guerra Troiana, la quale era in Roma nella loggia di Filippo, e una Cassandra nel tempio della Concordia. Leontio dipinse Epicuro filosofo pensoso e Demetrio Re. Taurisco uno di coloro che scagliavano in aria il disco, una Clitennestra, uno Polinice, il quale si apprestava per tornare nello stato, e un Capaneo. Non si deve lasciare indietro uno Erigono macinatore di colori nella bottega di Nealce, il quale salse in tanta eccellenza di quest’arte che non solo egli fu di gran pregio, ma di lui ancora rimase discepolo quel Pausia, di cui di sopra abbiamo detto che fu molto chiaro nel dipignere. Bella cosa è anchora, e degna d’essere raccontata, che molte opere ultime e non finite di cotali maestri furono piu stimate e piu tenute care e con maggior piacere e maraviglia riguardate, che le perfettissime e l’intere, quale fu l’Iride di Aristide, i Gemelli di Nicomaco, la Medea di Timomaco, e la Venere di Apelle di cui di sopra dicemo. Queste tavole furono in grandissimo pregio, e sommamente dilettarono vedendosi in loro, per i disegni rimasi, i pensieri dello artefice, e quello che di loro mancava<,> con un certo piacevol dispiacere<,> piu si aveva caro che il perfetto di molte belle e da buon maestri opere compiutamente fornite. E questi voglio che insino a qui, fra li quasi infiniti che in cotale arte fiorirono<,> mi basti avere raccontati, li quali per lo piu o furono Greci o delle parti alla Grecia vicine. Ebbero ancora di cotale arte pregio alcune donne, le quali di loro ingegno e maestria abbellirono l’arte del ben [p. lxxvi modifica]dipignere. Infra le quali Timarete<,> figliuola di Micone pittore<,> dipinse una Diana, la quale in Epheso fu fra le molte e molto nobili e antiche tavole celebrata. Irena figliuola e discepola di Cratino dipinse una fanciulla nel tempio di Cerere in Attica. Alcistene uno Saltatore. Aristarte figliuola e discepola di Nearco<,> uno Esculapio. Martia di Marco Varrone nella sua giovanezza adoperò il pennello e ritrasse figure, massimamente di femmine, e la sua istessa dallo specchio e<,> secondo si dice<,> niuna mano menò mai piu veloce pennello e trapassò di gran lunga Sopilo e Dionisio pittori della sua età, i quali di loro arte molti luoghi empierono e adornarono. Dipinse anco una Olimpiade, della quale non rimase altra memoria se non ch’ella fu maestra di Antobulo. Fu in qualche pregio anco appresso i Romani cotale arte, poscia che i Fabij onorati cittadini non sdegnarono aver sopra nome il Dipintore. Tra i quali il primo che cosi fu per sopra nome chiamato, dipinse il tempio della Salute l’anno dl dalla fondazione di Roma, la quale dipintura durò oltre all’età di molti Imperadori e insino che quel tempio fu abbrusciato. Fu ancora in qualche nome Pacuvio poeta, dalla cui mano fu adorno il tempio di Ercole nella piazza del mercato de’ buoi. Costui, come si diceva, fu figliuolo d’una sorella di Ennio poeta e fu chiara in lui cotale arte molto piu per essere stata accompagnata dalla Poesia. Dopo costoro non trovo io in Roma da persone nobili cotale arte essere stata esercitata, se gia non ci piacesse mettere in questo numero Turpilio cavalier Romano, il quale a Verona dipinse molte cose, le quali molto tempo durarono; lavorava costui con la sinistra mano, il che di niuno altro si sa essere avvenuto, di cui opera furono molto lodate alcune picciole tavolette. Aterio Labeone ancora, il quale era stato pretore e aveva tenuto il governo della provincia di Nerbona<,> dipinse. Ma questo studio negli ultimi tempi appresso i Romani era venuto in dispregio e riputato vile. Non voglio però lasciar di dire quello che di cotale arte giudicassero i primi maggior cittadini di Roma. Percioche a Q. Pedio, nipote di quel Pedio che era stato consolo e aveva trionfato e che da Giulio Cesare nel testamento era stato lasciato in parte erede con Agusto, essendo nato mutolo fu giudicato da Messala<,> quel grande oratore della cui famiglia era l’avola di quel fanciullo mutolo, che si dovesse insegnare a dipignere, il che fu confermato da Agusto; il quale saliva di cotale arte in gran nome se in breve non avesse finito i giorni suoi. Pare che l’opere di pittura cominciassero in Roma ad essere in pregio al tempo di Valerio Massimo; quando Messala il primo pose nella curia di Ostilio, dove si strigneva il Senato, una battaglia dipinta nella quale egli aveva in Cicilia vinto i Cartaginesi e Ierone Re l’anno dalla fondazione di Roma 490. Fece questo medesimo poi L. Scipione, il quale consacrò nel Campidoglio una tavola dove era dipinta la vittoria che egli aveva avuto in Asia. E si dice che il fratello, Scipione Africano, l’ebbe molto a male, concio fusse cosa che in quella battaglia medesima il figliuol di lui fusse rimaso prigione. Giovò molto a l’essere fatto consolo a Ostilio Mancino il mettere in publico una simil tavola, dove era dipinto il sito e [p. lxxvii modifica]l’assedio di Cartagine, che se lo arrecò a grande ingiuria il secondo Africano, il quale consolo l’aveva soggiogata; percioche Mancino stava presente, mostrando al popolo che desiderava di intenderle cosa per cosa, e questa publica cortesia, come noi dicemo<,> ad ottenere il sommo magistrato li fece gran favore. Fu dipoi molti anni l’ornamento della scena di Appio Pulchro tenuto maraviglioso, il quale si dice, che fu di si bella prospettiva che le cornacchie, credendolo vero<,> al tetto dipinto volavano per sopra posarvisi. Ma le dipinture forestieri, per quanto io ritraggo, allora cominciarono ad essere care e tenute maravigliose quando L. Mummio, il quale per aver vinta l’Achaia<,> parte della Grecia, ebbe sopranome l’Achaico, consagrò al tempio di Cerere una tavola di Aristide; percioche nel vendere la preda, avendo tenuto poco conto di molte cose nobili e udendo dire che Attalo Re l’aveva incantata un gran numero di denari, maravigliandosi del pregio e estimando per cagione d’esso che in quella tavola dovesse essere alcuna virtù forse a lui nascosa<,> volle che la vendita si stornasse, dolendosene e lamentandosene molto quel Re. E questa tavola delle forestieri si crede che fusse la prima che si recasse in publico. Ma Cesare dittatore dipoi diede loro grandissima riputazione, avendo<,> oltre a molte altre<,> consagrato nel tempio di Venere, origine di sua famiglia, uno Aiace e una Medea, figure bellissime. Dopo lui Marco Agrippa piu tosto rozzo di simil leggiadrie che altrimenti<,> comperò da quelli di Cizico di Asia due tavole<,> Aiace e Venere, e le mise in publico, et egli stesso con lungo e bel sermone s’ingegnò di persuadere, acciò che ciascuno ne potesse prendere diletto e che piu se ne adornasse la città, che tutte cotali opere si dovessero recare a comune, il che era molto meglio che quasi in perpetuo esilio per i contadi e nelle ville de’ privati lasciarle invecchiare e perdersi. Oltre a queste poi Cesare Agusto nella piu bella e piu ornata parte del suo foro pose due tavole bellissime, l’imagine della guerra legata al carro del trionfante Alessandro<,> di mano di Apelle, e i Gemelli e la Vittoria. Dopo costoro, recandosi la cosa ad onore e magnificenza<,> furono molti i quali nei loro magnifichi templi e ampie logge e altri superbi edificij publici infinite ne consacrarono. E andò tanto oltre la cosa e a tanto onore se la recarono (potendo ciò che volevano i Prencipi Romani e i possenti Cittadini) che in brieve tutta la Grecia e l’Asia e altre parti del mondo ne furono spogliate, e Roma non solo in publico, ma in privato ancora se ne rivestì e se ne adornò, durando questa sfrenata voglia molto, e molte etadi e molti Imperadori se ne abbellirono. E come questo avvenne nelle cose dipinte cosi e molto piu nelle statue di bronzo e di marmo, delle quali a Roma ne fu portato d’altronde e ne fu fatto si gran numero che si teneva per certo che vi fusse piu statue che uomini; delle arti delle quali e de’ maestri piu nobili di esse è tempo omai che<,> come abbiamo fatto de’ pittori e delle pitture, cosi anco alcune cose ne diciamo, quanto però pare che al nostro proponimento si convenga. E però che egli pare che il ritrarre di terra sia comune a molte arti<,> non si potendo cosi [p. lxxviii modifica]bene divisare nella mente dello artefice ne cosi ben disegnare le figure le quali si deono formare, diremo che questa arte sia madre di tutte quelle che in tutto o in parte in qualunche modo rilevano; massimamente che noi troviamo che queste figure di terra in quei primi secoli furono in molto onore, e a Roma massimamente quando i Cittadini vi erano rozzi e il Comune povero, dove ebbero molte imagini di quelli dei che essi adoravano di terra cotta, e ne<’> sacrificij appresso di loro furono in uso i vasi di terra. E molto piu si crede che piacesse alli dei la semplicità e povertà di quei secoli che l’oro e l’argento e la pompa di coloro li quali poi vennero. Il primo che si dice aver ritratto di terra fu Dibutade Sicionio che faceva le pentole in Coranto, e ciò per opera d’una sua figliuola, la quale essendo innamorata d’un giovane che da lei si deveva partire, si dice che a lume di lucerna con alcune linee aveva dipinta l’ombra della faccia di colui cui ella amava, drento alla quale poi il padre<,> essendoli piaciuto il fatto e il disegno della figliuola, di terra ne ritrasse l’imagine rilevandola alquanto dal muro; e questa figura poi asciutta, con altri suoi lavori mise nella fornace; e dicono, che la fu consecrata al tempio delle Ninfe e che ella durò poi insino al tempo che Mummio consolo Romano disfece Coranto. Altri dicono, che in Samo Isola fu primieramente trovata questa arte da uno Ideoco Rheto e uno Teodoro<,> molto innanzi a questo detto di sopra, e inoltre che Demarato padre di Tarquinio Prisco, fuggendosi da Coranto sua patria, aveva portato seco in Italia arte cotale, conducendo in sua compagnia Eucirapo et Eutigrammo maestri di far di terra, e che da costoro cotale arte si sparse poi per l’Italia, e in Toscana fiorì molto e molto tempo. Il primo poi che ritraesse le imagini de gli uomini col gesso stemperato, e del cavo poi facesse le figure di cera riformandole meglio<,> si dice essere stato Lisistrato Sicionio fratello di Lisippo. E questi fu il primo che ritraesse dal vivo, essendosi sforzati innanzi a lui gli altri maestri di far le statue loro piu belle che essi potessero. E fu questo modo di formare di terra tanto comune che niuno<,> per buon maestro che ei fusse<,> si mise a fare statue di bronzo fondendolo, o di marmo o di altra nobile materia levandone, che prima non ne facesse di terra i modegli, onde si può credere che questa arte, come piu semplice e molto utile<,> fusse molto prima che quella la quale cominciò in bronzo a ritrarre. Furono in questa maniera di figure di terra cotta molto lodati Dimofilo e Gorgaso, i quali parimente furono dipintori, e a Roma dell’una e dell’altra loro arte adornarono il tempio di Cerere, lasciandovi versi scritti significanti che la destra parte del tempio era opera di Dimofilo e la sinistra di Gorgaso. E Marco Varrone scrive, che innanzi a costoro tutte opere cotali, che ne’ templi a Roma si vedevano<,> erano state fatte da’ Toscani. E che quando si rifece il tempio di Cerere molte di quelle imagini Greche erano state del muro da alcuni levate, i quali rinchiudendole drento a tavolette d’asse le portarono via. Calcostene fece anco in Athene molte imagini di terra<,> e da la sua bottega quel luogo, che in Athene fu poi cotanto celebrato e dove furono poste tante statue, e da cotale arte fu chiamato Ceramico. Il medesimo [p. lxxix modifica]Marco Varrone lasciò scritto che a suo tempo in Roma fu un buon maestro di cotale arte, il quale egli molto ben conosceva, et era chiamato Possonio, il quale oltre a molte opere egregie ritrasse di terra alcuni pesci si begli e si somiglianti che non gli aresti saputo discernere da’ veri e dai vivi. Loda il medesimo Varrone molto uno amico di Lucullo, i modegli del quale si solevano vendere piu cari che alcun’altra opera di qualunche artefice, e che di mano di costui fu quella bella Venere che si chiamò genitrice, la quale innanzi che fusse interamente compiuta, avendone fretta Cesare<,> fu dedicata e consacrata nel foro. Di mano di questo medesimo un modello di gesso d’un vaso grande da vino, che voleva far lavorare Ottavio cavalier Romano, si vendè un talento. Loda molto Varrone il detto di Prassitele, il quale disse che questa arte di far di terra era madre di ogni altra che in marmo o in bronzo facci figure di rilievo, o in quale altra si vogli materia, e che quel nobile maestro non si mise mai a fare opera alcuna cotale che prima di terra non ne facesse il modello. Dice il medesimo autore, che questa arte fu molto onorata in Italia, e spezialmente in Toscana. Onde Tarquinio Prisco Re de’ Romani chiamò un Turiano, maestro molto celebrato, a cui egli dette a fare quel Giove di terra cotta che si deveva adorare e consacrare nel Campidoglio, e similmente i quattro cavalli agiogati i quali si vedevano sopra il tempio; e si credeva ancora, che del medesimo maestro fusse opera quello Ercole che lungo tempo si vidde a Roma, e dalla materia di che egli era fu chiamato l’Ercole di terra cotta. Ma percioche questa arte, come che da per se la sia molto nobile, e origine delle piu onorate tuttavia, peroche la materia in che ella lavora è vile e l’opere d’essa possono agevolmente ricever danno e guastarsi, e per lo piu a fine si fa di quelle che si fondano di bronzo e si lavorano di marmo, e però che coloro che in essa si esercitarono, e vi ebber nome, sono anco in queste altre chiari, lasceremo di ragionare piu di lei e verremo a dire di coloro che di bronzo ritrahendo furono in maggior pregio, che volere ragionare di tutti sarebbe cosa senza fine. Furono appresso i Greci, i quali queste arti molto piu che alcun’altra natione e molto piu nobilmente l’esercitarono, in pregio alcune maniere di metallo l’una dall’altra differenti, secondo la lega di quello, e quinci avenne che alcune figure d’esso si chiamarono Corinthie, altre Deliace e altre Eginetiche; non che il metallo di questa o di quella sorte in questo o in quel luogo per natura si facesse, ma per arte<,> mescolando il rame chi con oro, chi con argento e chi con istagno e chi piu e chi meno, le quali misture gli davano poi proprio colore e piu e men pregio e inoltre il proprio nome. Ma fu in maggiore stima il metallo di Coranto, o fusse in vasellamento o fusse in figure, le quali furono di tal pregio e di si rara et eccessiva bellezza che molti grandi uomini quando andavano attorno le portavano per tutto seco, e si trova scritto che Alessandro Magno quando era in campo reggeva il suo padiglione con istatue di metallo di Coranto, le quali poi furono portate a Roma. Il primo che fusse chiaro in questa sorte di lavoro, si dice essere stato quel Fidia Atheniese cotanto celebrato, il quale, oltre a lo aver fatto nel [p. lxxx modifica]tempio Olimpico quel Giove dello avorio si grande e si venerando, fece anco molte statue di bronzo. E avenga che avanti a lui quest’arte fusse stata molto in pregio, e in Grecia e in Toscana e altrove, nondimeno si giudicò che egli di cotanto avanzasse ciascuno che in tale arte avesse lavorato, che tutti gli altri ne divenissero oscuri e ne perdessero il nome. Fiorì questo nobile artefice<,> secondo il conto de’ Greci, nella Olimpiade ottantreesima, che batte al conto de’ Romani intorno a l’anno trecentesimo dopo la fondazione di Roma, e durò l’arte in buona riputazione dopo Fidia forse centocinquanta anni o poco piu, seguendo sempre molti discepoli i primi maestri i quali in questo spazio furono quasi che senza numero. E queste due o tre etadi produssero il fiore di questa arte, benche alcuna volta poi essendo caduta risorgesse, ma non mai con tanta nobiltà, ne con tanto favore; l’eccellenzia della quale mi sforzerò porre in queste carte secondo che io trovo da altri esserne stato scritto. E prima si dice che furono fatte sette Amazone, le quali si consecrarono in quel tanto celebrato tempio di Diana Efesia, a concorrenza da nobilissimi artefici, benche non tutte in un medesimo tempo; la bellezza e la perfettione delle quali non si potendo cosi bene da ciascuno estimare, essendo ciascuna d’esse degna molto di essere commendata, giudicarono quella dover essere la migliore e la piu bella che i piu de gli artefici, che alcuna ne avessero fatta, commendassero piu dopo la sua propria. E cosi toccò il primo vanto a quella di Policleto, il secondo a quella di Fidia, il terzo a quella di Cresila, e cosi di mano in mano secondo questo ordine l’altre ebbero la propria loda. E questo giudizio fu riputato verissimo, e a questo poi stette ciascuno avendole per tali. Fidia, oltre a quel Giove d’avorio che noi dicemo, la quale opera fu di tanta eccessiva bellezza che niuno si trovò che con ella ardisse di gareggiare, e oltre a una Minerva pur d’avorio che si guardava in Athene nel tempio di quella dea, e oltre a quella Amazone, fece anco di bronzo una Minerva di bellissima forma la quale dalla bellezza fu la Bella chiamata, e un’altra ancora, la quale da Paolo Emilio fu al tempio della Fortuna consacrata, e due altre figure Greche con il mantello, le quali Q. Catulo pose nel medesimo tempio. Fece di piu una figura di statura di colosso et egli medesimo cominciò e mostrò come si dice a lavorare con lo scarpello di basso rilevo. Venne dopo Fidia Policleto da Sicione, della cui mano fu quel morbido e delicato giovane di bronzo con la benda intorno al capo, e che da quella ha il nome, il quale fu stimato e comperato cento talenti; e del medesimo anco fu quel giovinetto fiero e di corpo robusto, il quale dalla asta che ei teneva in mano, come suona la greca favella, fu Doriforo nominato. Fece ancor egli quella nobil figura la quale fu chiamata il Regolo della arte, dalla quale gli artefici, come da legge giustissima<,> solevano prendere le misure delle membra e delle fattezze che essi intendevano di fare, estimando quella in tutte le parti sue perfettissima. Fece ancora uno che si stropicciava, e uno ignudo che andava sopra un piè solo, e duoi fanciulletti nudi che giocavano a’ dadi i quali da questo ebbero il nome, i quali poi lungo tempo si viddero a Roma [p. lxxxi modifica]nel palazzo di Tito Imperadore, della quale opera non si vide mai la piu compiuta. Fece medesimamente un Mercurio che si mostrava in Lisimachia, e uno Ercole che era in Roma con Anteo insieme, il quale egli in aria sostenendolo e strignendolo uccideva. E oltre a queste molte altre, le quali come opere di ottimo maestro furono per tutto estimate perfettissime, onde si tiene per fermo che egli desse ultimo compimento a questa arte. Fu proprio di questo nobile artefice temperare e con tale arte sospendere le sue figure che elle sopra un piè solo tutte si reggessero, o almeno che paresse. Quasi alla medesima età fu anco celebrato infinitamente Mirone per quella bella giovenca che egli formò di bronzo, la quale fu in versi lodati molto commendata. Fece anco un cane di maravigliosa bellezza, e uno giovane che scagliava in aria il disco, e un Satiro il quale pareva che stupisse al suono della Sampogna, e una Minerva, e alcuni vincitori de’ giuochi delfici i quali<,> per aver vinto a due o a tutti<,> Pentatli o Pancratisti si solevano chiamare. Fece anco quel bello Ercole che era in Roma dal Circo Massimo in casa Pompeo Magno. Fece i sepolchri del Cicala e del Grillo come ne<’> suoi versi lasciò scritto Erina poetessa. Fece quello Apollo il quale<,> avendolo involato Antonio triunviro a quelli di Efeso<,> fu loro da Agusto renduto essendoli cio in sogno stato ricordato. Fu tenuto che costui<,> per la varietà delle maniere delle figure e per il maggior numero che egli ne fece e per le proporzioni di tutte le sue opere<,> <fusse> piu diligente e piu accorto di quei di prima, ma par bene che nel fare i corpi ponesse maggiore studio che nel ritrarre l’animo e nel dare spirito alle figure, e che ne<’> capegli e nelle barbe non fusse piu lodato che si fusse stata l’antica rozezza degli altri. Fu vinto da Pitagora italiano da Reggio in una figura fatta da lui e posta nel tempio di Apollo a Delfo, la quale rassembrava uno di quei campioni che alla lotta e alle pugna insiememente combattevano e che si chiamavano Panchratisti. Vinselo anche Leontio, il quale a Delfo a concorrenza pose alcune figure di giucatori olimpici. Iolpo similmente il vinse in una bella figura d’un fanciullo che teneva un libro e d’un altro che portava frutte, le quali figure ad Olimpia poi si vedevano dove le piu nobili e le piu raguardevoli di tutta la Grecia si consacravano. Di questo medesimo artefice era a Siracusa un zoppo, il quale dolendosi nello andare pareva che a chi il mirava parimente porgesse dolore. Fece ancora uno Apollo il quale con l’arco uccideva il serpente. Questi il primo<,> molto piu artificiosamente e con maggior sottigliezza<,> ritrasse ne<’> corpi le vene e i nervi e i capegli, e ne fu molto commendato. Fu un altro Pitagora da Samo il quale primieramente si esercitò nella pittura e poi si diede a ritrarre nel bronzo, e di volto e di statura si dice che era molto simigliante a quel detto poco fa, che fu da Reggio, e nipote di sorella e parimente discepolo; di mano di cui a Roma si viddero alcune imagini di Fortuna nel tempio della istessa Iddea molto belle, mezze ignude e per cio commendate e molto volentieri vedute. Dopo costoro fiorì Lysippo, il quale lavorò un gran numero di figure e piu molto che alcuno altro; il che si confermò alla morte sua, percioche del pregio di ciascuna soleva serbarsi una moneta d’oro e quella in sicuro luogo tener guardata, e si dice che gli eredi suoi ne trovarono [p. lxxxii modifica]secento dieci e a tal numero si tiene che arrivassero le figure da lui fatte e lavorate, la qual cosa a pena par che si possa credere; ma nel vero che egli in questo ogn’altro artefice vincesse non si può dubitare, e fra le opere lodate di lui sommamente piacque quella figura la quale pose Agrippa allo entrare delle sue stufe, della quale invaghì cotanto Tiberio Imperadore, che benche in molte cose solesse vincere il suo appetito e massimamente nel principio del suo Imperio, in questo nondimeno non si potette tenere che mettendovene un’altra simile non facesse quella quindi levare e in camera sua portarla, la quale fu con tanta instanza da tutto il popolo Romano nel Teatro e con tanti gridi richiesta, e che ella quivi si riponesse donde ella era stata levata, che Tiberio<,> benche molto l’avesse cara<,> ne volle fare il popolo Romano contento ritornandola al suo luogo. Era questa imagine d’uno che si stropicciava, figura che troppo bene conveniva al luogo dove Agrippa l’aveva destinata. Fu molto celebrato questo artefice in una figura d’una femmina cantatrice ebbra, e in alcuni cani e cacciatori maravigliosamente ritratti, ma molto piu per un carro del Sole con quattro cavagli che egli fece a richiesta de<’> Rodiani. Ritrasse questo nobile artefice Alessandro Magno in molte maniere<,> cominciandosi da pueritia e d’età in età seguitando; una delle quali statue piacendo oltre a modo a Nerone la fece tutta coprire d’oro, la quale poi essendone stata spogliata fu tenuta molto piu cara vedendovisi entro le ferite e le fessure dove era stato l’oro commesso. Ritrasse il medesimo anche Efestione<,> molto intrinseco d’Alessandro, la qual figura alcuni crederono che fusse di mano di Policleto, ma s’ingannarono, percioche Policleto fu forse cento anni inanzi ad Alessandro. Il medesimo fece quella caccia di Alessandro la quale poi fu consacrata a Delfo nel tempio di Apollo; fece inoltre in Atene una schiera di Satiri. Ritrasse con arte meravigliosa rassembrandoli vivi Alessandro Magno e tutti li amici suoi, le quali figure Metello<,> poi che ebbe vinta la Macedonia<,> fece traportare a Roma. Fece ancora carri con quattro cavagli in molte maniere e si tiene per certo che egli arrecasse a questa arte molta perfettione, e nei capegli<,> i quali ritrasse molto meglio che non avevano fatto i piu antichi, e nelle teste, le quali egli fece molto minori di loro. Fece anco i corpi piu assettati e piu sottili di maniera che la grandezza nelle statue n’appariva piu lunga, nelle quali egli osservò sempre maravigliosa proportione partendosi dalla grossezza degli antichi, e soleva dire che innanzi a lui i maestri di cotale arte avevano fatto le figure secondo che elle erano, et egli secondo che le parevano. Fu proprio di questo artefice in tutte quante le opere sue osservare ogni sottigliezza con grandissima diligenza e gratia. Rimasero di lui alcuni figliuoli chiari in questa arte medesima, e sopra li altri Euticrate, al quale piu piacque la fermezza del padre che la leggiadria, e s’ingegnò piu di piacere nel grave e nel severo che nel dolce e nel piacevole dilettare, dove il padre massimamente fu celebrato; di costui fu in gran nome l’Ercole che era a Delfo, e Alessandro cacciatore, e la battaglia de<’> Tespiensi, e un ritratto di Trofonio al suo oracolo. Ebbe per discepolo Tisicrate<,> anch’esso da Sicione, e s<’>aprese molto alla maniera di Lysippo, talmente che alcune figure apena si [p. lxxxiii modifica]riconoscevano se le erano dell’uno o dell’altro maestro, come fu un vecchio Tebano, Demetrio Re, Peuceste quello che campò in battaglia e difese Alessandro Magno, e furono questi cotali cotanto stimati e in tanto pregio tenuti che chi ha scritto di cotali cose gli loda eccessivamente; come anco un Telefane Foceo, il quale per altro non fu apena conosciuto, percioche in Tessaglia, là dove egli era quasi sempre vivuto<,> l’opere sue erano state sepolte; nondimeno per giudizio di alcuni scrittori fu posto a paro di Policleto e di Mirone e di Pitagora. È molto lodata di lui una Larissa, uno Apollo e un Campione vincitore a tutti i cinque giuochi; alcuni dissero che egli non è stato in bocca de<’> Greci pero che egli si diede a lavorare in tutto per Dario e per Xerse Re Barbari, e che nei loro regni finì la vita. Prassitele ancora avvenga che nel lavorare in marmo, come poco poi diremo, fusse tenuto maggior maestro e per cio vi abbi avuto drento gran nome, nondimeno lavorò anche in bronzo molto eccessivamente, come ne fece fede la rapina di Proserpina fatta da lui, e l’Ebrietà, e uno Bacco e un Satiro insieme di si maravigliosa bellezza che si chiamò il Celebrato. E alcune altre figure, le quali erano a Roma nel tempio della Felicità, e una bella Venere, la quale al tempo di Claudio Imperadore ardendo il tempio si guastò, la quale era a nulla altra seconda. Fece molte altre figure lodate, e Armodio e Aristogitone che in Atene uccisero il tiranno, le quali figure avendosele Xerse di Grecia portate nel regno suo, Alessandro<,> poi che ebbe vinto la Persia<,> le rimandò graziosamente agli Ateniesi, e inoltre uno Apollo giovinetto che con l’arco teso stava per trarre a una lucertola la quale li veniva incontro, e da quello atto ebbe nome la figura che si chiamò Lucertola uccidente. Vidonsi di lui parimente due bellissime figure l’una rassembrante una onesta mogliera che piangeva, e l’altra una femmina di mondo che rideva, e si crede che questa fusse quella Phrine famosissima meretrice, e nel volto di quella onesta donna pareva l’amore che ella portava al marito e in quello della dishonesta femmina l’ingordo prezzo che ella chiedeva agli amanti. Pare che anco fusse ritratta la cortesia di questo artefice in quel carro de<’> quattro cavagli che fece Calamide cotanto celebrato, percioche questo artefice in formar cavagli non trovò mai pare, ma nel fare le figure umane non fu tanto felice, egli adunque a l’opera di Calamide, la quale era imperfetta<,> diede il compimento aggiugnendovi il guidator de<’> cavagli di arte maravigliosa. Fu anco molto chiaro in questa arte uno Ificle il quale<,> oltre ad altre figure<,> fece a nome degli Ateniesi una bella Liona con questa occasione. Era in Atene una femmina chiamata Liona molto familiare di Aristogitone e di Armodio per conto di amore, i quali in Atene uccidendo il tiranno vollono tornare il popolo nella sua libertà. Costei<,> essendo consapevole della congiura fu presa, e con crudelissimi tormenti insino a morte lacerata non confessò mai cosa alcuna di cotal congiura, laonde volendo poi li Atheniesi pur fare onore a questa femmina, per non far cio a una meretrice<,> imposono a questo artefice che ritraesse una Liona e accioche in questa figura si riconoscesse il fatto e il valor di lei vollono che esso la facesse senza lingua. Briaxi fece uno Apolline, uno Seleuco Re, e un Batto che adorava, e una Iunone, i [p. lxxxiv modifica]quali si videro a Roma nel tempio della Concordia. Cresila ritrasse uno ferito a morte nella qual figura si conosceva quanto ancora restasse di vita, e quel Pericle Atheniese il quale per sopranome fu chiamato il Celeste. Cefisodoro fece nel porto degli Atheniesi una Minerva maravigliosa, e uno altare nel tempio di Giove nel medesimo porto. Canacho fece uno Apollo che si chiamò Filesio, e un Cervio con tanta arte sopra i piedi sospeso che sotto<,> or da una or da un’altra parte, si poteva tirare un sottilissimo filo; fece medesimamente alcuni fanciulli a cavallo come se al palio a tutta briglia corressero. Uno Cherea ritrasse Alessandro Magno e Filippo suo padre, e Cresila uno armato di asta e una amazone ferita. Un Demetrio ritrasse Lisimacha la quale era stata sacerdotessa di Minerva ben 64 anni, e una Minerva che si chiamò Musica però che i Draghi<,> i quali erano ritratti nello scudo di quella Dea<,> erano talmente fatti che quando erano percossi al suono della cetera rispondeano; il medesimo un Sarmone a cavallo, il quale aveva scritto dell’arte del cavalcare. Un Dedalo fra questi fu molto celebrato il quale fece duoi fanciulletti i quali l’un l’altro nel bagno stropicciavano. Di Eufranore fu un Paride, il quale fu molto lodato, che in un subietto medesimo si riconosceva il giudice delle Dee, l’amante di Elena e l’ucciditore d’Achille; del medesimo era a Roma una Minerva<,> di sotto al Campidoglio<,> che si chiamava Catuleiana pero che ve la aveva consagrata Luttatio Catulo, e una figura della Buona ventura, la quale con l’una delle mani teneva una tazza, e con l’altra spighe di grano e di papaveri; il medesimo fece una Latona che di poco pareva che fusse uscita di parto, e si vedeva a Roma nel tempio della Concordia, la quale teneva in braccio i suoi figliolini Apollo e Diana; fece inoltre due figure in forma di colosso<,> l’una era la Virtute e l’altra Clito<,> di maravigliosa bellezza, e inoltre una donna che adorava e al sacrificio ministrava, e Filippo e Alessandro sopra carri di cavagli in guisa di trionfanti. Buthieo discepolo di Mirone fece un fanciullo che soffiava nel fuoco si bello che sarebbe stato degno del maestro, e gli Argonauti, e una Aquila, la quale avendo rapito Ganimede nel portava in aria si destramente che ella con gli artigli non gli noceva in parte alcuna; ritrasse anco Autolico<,> quel bel giovane vincitore alla lotta, a nome di cui Zenofonte scrisse il libro del suo Simposio, e quel Giove tonante che fra le statue di Campidoglio fu tenuto maraviglioso; uno Apollo medesimamente con la diadema. <I’ò> trapassato qui molti de<’> quali<,> essendosi perdute l’opere<,> i nomi apena si ritruovano, pure ne aggiugneremo alcuni degli infiniti, fra i quali fu uno Nicerato di cui mano a Roma nel tempio della Concordia si vedeva Esculapio e Igia sua figliuola, di Phiromaco una quadriga la quale era guidata da Alcibiade ritratto. Policle fece uno Ermafrodito di singolar bellezza e leggiadria. Stipace da Cipri fece un ministro di Pericle il quale sopra lo altare accendeva il fuoco per arrostirne il sagrificio. Sillanione ritrasse uno Apollodoro anch’egli della arte, ma cosi fastidioso e cosi apunto che non si contentando mai di sua arte (e v’era pur drento eccellente) bene spesso rompeva e guastava le figure sue belle e finite, onde trasse il sopranome che si chiamò Apollodoro il bizzarro, e lo ritrasse tanto [p. lxxxv modifica]bene che tu aresti detto che non fusse imagine di uomo, ma la bizzarria ritratta al naturale. Fece anco uno Achille molto celebrato, e un maestro di esercitare i giovani alla lotta e altri giuochi anticamente cotanto celebrati e aggraditi, fece medesimamente una Amazone la quale dalla bellezza delle gambe fu detta la Belle gambe, e per questa sua eccellentia Nerone dovunche egli andava se la faceva portar dietro. Costui medesimo fece di sottil lavoro un fanciulletto molto poi tenuto caro da quel Bruto il quale morì nella battaglia di Tessaglia, e ne acquistò nome che poi sempre si chiamò l’amore di Bruto. Teodoro<,> quegli che a Samo fece un laberinto, ritrasse anco se medesimo di bronzo<,> figura a cui non mancava altro che il somigliare, nel resto per ogni tempo celebratissima e di finissimo lavoro, la quale nella man destra teneva una lima e con tre dita della sinistra reggeva un carro con quattro cavagli<,> di opera si minuta che una mosca sola<,> similmente di bronzo<,> con l’ale sue copriva il carro<,> la guida e i cavagli, e questa statua si vide lungo tempo a Preneste. Fu ancora eccellente in questa arte uno Xenocrate discepolo chi dice di Tisicrate e chi di Eutichrate, il quale vinse l’uno di eccellenza di arte e l’altro di numero di figure, e della arte sua scrisse volumi. Molti furono ancora che in tavole di bronzo di rilevo scolpirono le battaglie di Eumene e di Attalo<,> Re di Pergamo<,> contro a<’> Franciosi, i quali passarono in Asia; tra costoro furono Firomaco, Stratonico e Antigono, il quale scrisse anco della arte sua. Boeto<,> benche fusse maggior maestro nel lavoro di scarpello in argento<,> nondimeno di sua arte si vide di bronzo un fanciullo che strangolava una ocha. E la maggiore e la miglior parte di cotali opere furono a Roma da Vespasiano Imperadore consagrate al tempio della Pace, e molto maggior numero dalla forza di Nerone tolte di molti luoghi, dove elle erano tenute care, e in quel suo gran palazzo che egli si fabricò in Roma portate e in varij luoghi per ornamento di quello disposte. Furono oltre ai molti raccontati di sopra altri infiniti, i quali ebbero qualche nome in questa arte, li quali raccontare al presente credo che sarebbe opera perduta<,> bastando al nostro proponimento aver fatto memoria di coloro che ebbero nell’arte maggior pregio. Furono oltre a questi alcuni altri chiari per ritrarre con iscarpello in rame<,> argento e oro calici e altro vasellamento da sacrificij e da credenze<,> come un Lesbocle, un Prodoro, un Pitodico e Polignoto, che furono anco pittori molto chiari, e Stratonico Scinno, il quale dissono che fu discepolo di Critia. Fu questa arte di far di bronzo anticamente molto in uso in Italia, e lo mostrava quello Ercole il quale dicono essere stato da Evandro consagrato a Roma nella piazza del Mercato de<’> Buoi. Il quale si chiamava l’Er<cole> trionfale pero che quando alcuno Cittadino Romano entrava in Roma trionfando<,> si adornava anco l’Ercole di abito trionfale. Medesimamente lo dimostrava quel IANO che fu consagrato da Numa Pompilio<,> il tempio del quale, o aperto o chiuso<,> dava segno di guerra o di pace. Le dita del quale erano talmente figurate che elle significavano trecento sessanta cinque, [p. lxxxvi modifica]mostrando che era Dio dello anno e della età; mostravalo ancora molte altre statue pur di bronzo di maniera Toscana sparse per tutta quanta l’Italia. E pare che sia cosa degna di maraviglia, che essendo questa arte tanto antica in Italia i Romani di quel tempo amassero piu li Iddei, che essi adoravano<,> ritratti di terra, o di legno intagliati, che di bronzo avendone l’arte; percioche insino al tempo nel quale fu da<’> Romani vinta l’Asia<,> cotali imagini di Dei ancora si adoravano, ma poi quella semplicità e povertà Romana, cosi nelle publiche come nelle private cose<,> divenne ricca e pomposa e si mutò in tutto il costume e fu cosa da non lo creder’agevolmente in quanto poco di tempo ella crebbe, che al tempo che M. Scauro fu Edile e che egli fece per le feste publiche lo apparato della piazza<,> che era ufizio di quel magistrato<,> si videro<,> in uno teatro solo fatto per quella festa e in una scena<,> tremila statue di bronzo provedutevi e accattatevi come allora era usanza di fare di piu luoghi. Mummio<,> quel che vinse la Grecia<,> ne empiè Roma, molte ve ne portò Lucullo e in poco tempo ne fu spogliata l’Asia e la Grecia in gran parte; e con tutto cio fu chi lasciò scritto che a Rodi in questo tempo n’erano ancora tre migliaia, ne minor numero in Atene<,> ne minore ad Olimpia e molto maggiore a Delfo, delle quali le piu nobili e li maestri d’esse noi di sopra abbiamo in qualche parte raccontato. Ne solo le imagini degli Dei e le figure degli uomini rassembrarono, ma ancora d’altri animali, in fra i quali nel Campidoglio<,> nel tempio piu secreto di Giunone<,> si vedeva un cane ferito che si leccava la piaga<,> di si eccessiva simiglianza che apena pare che si possa credere; la bellezza della qual figura quanto i Romani stimassero si può giudicare dal luogo dove essi la guardavano, e molto piu che coloro ai quali si aspettava la guardia del tempio con cio che drento vi era, non si stimando somma alcuna di denari pari alla perdita di quella figura se ella fusse stata involata<,> la devevano guardare a pena della testa. Ne bastò alli nobili artefici imitare e rassembrare le cose secondo che elle sono da natura, ma fecero ancora statue altissime e bellissime molto sopra il naturale, come fu l’Apollo in Campidoglio alto trenta braccia, la qual figura Lucullo fece portare a Roma delle terre d’oltre il Mar Maggiore, e qual fu quella di Giove nel Campo Martio, la quale Claudio Agusto vi consagrò, che dalla vicinanza del teatro di Pompeo fu chiamato il Giove pompeiano, e quale ne fu anco una in Taranto fattavi da Lysippo alta ben trenta braccia, la quale con la grandezza sua da Fabio Massimo si difese allora, quando la seconda volta prese quella città, non si potendo quindi se non con gran fatica levare, che come ne portò l’Ercole che era in Campidoglio, cosi anco ne arebbe seco quella a Roma portata. Ma tutte l’altre maraviglie di cosi fatte cose avanzò di gran lunga quel colosso che a<’> Rodiani in onor del Sole, <in cui guardia era quella isola>, fece Carete da Lindo discepolo di Lisippo, il quale dicono che era alto 70 braccia, la qual mole dopo 56 anni che ella era stata piantata, fu da un grandissimo tremuoto abattuta e in terra distesa e tutta rotta, la quale si mirava poi con infinito stupore de<’> riguardanti, che il dito maggiore del piede apena che un ben giusto uomo avesse potuto abracciare, e le altre dita a proportione della figura fatte<,> erano maggiori che le statue comunali. [p. lxxxvii modifica]Vedevansi per le membra vote caverne grandissime e sassi entrovi di smisurato peso con li quali quello artefice aveva opera cosi grande contrapesata e ferma; dicesi che ben 12 anni faticò intorno a questa opera e che 300 talenti entro vi si spesero, i quali si trassero dello apparecchio dello oste che vi aveva lasciato Demetrio Re quando lungo tempo vi tenne l’assedio; ne solo questa figura si grande era in Rodi, ma cento ancora<,> maggiori delle comunali<,> di maravigliosa bellezza, di ciascuna delle quali ogni città e luogo si sarebbe potuto onorare e abellire. Ne fu solamente proprio de’ Greci il far colossi, ma se ne vide alcuno anco in Italia, come fu quello che si vedeva nel Monte Palatino alla libreria di Agusto<,> d’opera e di maniera toscana<,> dal capo al piè di cinquanta cubiti, maraviglioso non si sa se piu per l’opere o per la temperatura e lega del metallo, che l’una cosa e l’altra aveva molto rara. Spurio Carvilio fece fare anco anticamente un Giove delle celate e pettorali e stinieri e altre armadure di rame di Sanniti, quando combattendo con essi scongiuratisi a morte li vinse, e lo consagrò al Campidoglio; la qual figura era tanto alta che di molti luoghi di Roma si poteva vedere; e si dice che della limatura di questa statua fece anco ritrarre l’imagine sua la quale era posta a piè di quella grande. Davano anco nel medesimo Campidoglio maraviglia due teste grandissime, l’una fatta da quel Carete medesimo di cui sopra dicemo e l’altra da un Decio a pruova, nella quale Decio rimase tanto da meno<,> che l’opera sua posta al paragone di quell’altra pareva opera di artefice meno che ragionevole. Ma di tutte cotali statue fu molto maggiore una che al tempo di Nerone fece in Francia <Zenodoro>, la quale era alta 400 piedi in forma di Mercurio<,> intorno alla quale egli aveva faticato dieci anni; ma pero che egli era per questo in gran nome mandò a chiamarlo a Roma Nerone e per lui si mise a fare una imagine in forma di colosso 120 piedi alta, la quale morto Nerone fu dedicata al Sole, non consentendo i Romani che di lui per le sue sceleratezze rimanesse memoria tanto onorata; nel qual tempo si conobbe che l’arte del ben legare e ben temperare il metallo era perduta, essendo disposto Nerone a non perdonare a somma alcuna di denari pur che quella statua avesse d’ogni parte la sua perfettione, nella quale quanto fu maggiore il magistero tanto piu<,> a rispetto degli antichi<,> vi parve il difetto nel metallo. Ora lo avere de gli infiniti che ritrassero in bronzo i piu nobili insino a qui raccontato vogliamo che al presente ci baste; passeremo a quelli i quali in marmo scolpirono e di questi anche sceglieremo le cime, secondo che noi abbiamo trovato scritto nelle memorie degli antichi<,> seguendo l’ordine incominciato. Dicesi adunque che i primi maestri di questa arte di cui ci sia memoria furono Dipeno e Scilo, i quali nacquero nella isola di Creti al tempo che i Persi regnarono, che secondo il conto degli anni de<’> Greci viene a essere intorno alla Olimpiade cinquantesima cioè dopo alla fondatione di Roma anni 137. Costoro se ne andarono in Sicione, la quale fu gran tempo madre e nutrice di tutte quante queste arti nobili e dove esse piu che altrove si esercitarono; e percioche essi erano tenuti buon maestri fu dato loro<,> dal Comune di quella città<,> a fare di marmo alcune figure de i loro Dei, ma innanzi che essi le [p. lxxxviii modifica]avessero compiute<,> per ingiurie che loro pareva ricevere da quel Comune quindi si partirono; onde a quella città sopravenne una gran fame e una gran carestia; laonde domandando quel popolo agli Dei misericordia fu loro dallo oracolo d’Apollo risposto che la troverrebbero ogni volta che quegli artefici fussero fatti tornare a finire le incominciate figure, la qual cosa i Sicionij con molto spendio e preghiere finalmente ottennero, e furono queste imagini Apollo, Diana, Ercole, e Minerva. Non molto dopo costoro<,> in Chio Isola dello Arcipelago furono medesimamente altri nobili artefici di ritrarre in marmo, uno chiamato Mala e un suo figliuolo Micciade e un nipote Antermo, i quali <fiorirono> al tempo di Ipponatte Poeta, che si sa chiaro essere stato nella Olimpiade sessantesima, e se si andasse cercando l’avolo e’l bisavolo di costoro si troverrebbe certo questa arte avere avuto origine con le Olimpiade <stesse. Fu> quello Ipponatte poeta<,> molto brutto uomo e molto contrafatto nel viso, onde questi artefici per beffarlo con l’arte loro lo ritrassero, e per far ridere il popolo lo misero in publico, di che egli sdegnandosi<,> che stizzosissimo era<,> con i suoi versi, i quali erano molto velenosi<,> gli trafisse nel vivo e in maniera gli abominò che si disse che alcuni di loro per dolore della ricevuta ingiuria se stessi impiccarono, il che non fu vero percioche poi per l’Isole vicine fecero molte figure e in Delo massimamente, sotto le quali scolpirono versi che dicevano che Delo fra l’Isole della Grecia era in buon nome non solo per la eccellenza del vino, ma ancora per le opere dei figliuoli di Antermo scultori. Mostravano i Lasij una Diana fatta di mano di costoro e in Chio Isola si diceva esserne un’altra posta in luogo molto rilevato di un tempio; la faccia della quale a coloro che entravano nel tempio pareva severa e adirata, e a coloro a che ne uscivano placata e piacevole. A Roma erano di mano di questi artefici nel tempio di Apollo Palatino alcune figure postevi e consagratevi da Agusto in luogo piu alto e piu raguardevole. Vedevonsene ancora in Delo molte altre, e in Lebedo, e delle opere del padre loro Ambracia, Argo e Cleone città nobili furono molto adorne. Lavorarono solamente in marmo bianco che si cavava nelle Isole di Paro, il quale<,> come anco scrisse Varrone<,> pero che delle cave a lume di lucerna si traheva fu chiamato marmo di lucerna, ma furono poi trovati altri marmi molto piu bianchi, ma forse non cosi fini<,> come è anco quel di Carrara. Avenne in quelle cave<,> come si dice<,> cosa che apena par da credere, che fendendosi con essi i conij un masso di questo marmo si scoperse nel mezzo una imagine d’una testa di Sileno; come ella vi fusse entro non si sa cosi bene e si crede che cio a caso avenisse. Dicono che quel Fidia di cui di sopra abbiamo detto<,> che si bene aveva lavorato in metallo e fatto d’avorio alcune nobilissime statue, fu anco buon maestro di ritrarre in marmo e che di sua mano fu quella bella Venere che si vedeva a Roma nella loggia di Ottavia, e che egli fu maestro di <Alcamene> Atheniese in questa arte molto pregiato, delle opere di cui molte gli Atheniesi ne<’> loro tempi consacrarono e fra le altre quella bellissima Venere la quale<,> per essere stata posta fuor delle mura<,> fu chiamata la Fuor di città; alla quale si diceva che Fidia aveva dato la perfettione e come è in proverbio avervi posto l’ultima mano. Fu discepolo del [p. lxxxix modifica]medesimo Fidia anco Agoracrito da Paro<,> a lui per il fiore della età molto caro, onde molti credettero che Fidia a questo giovane donasse molte delle sue opere; lavorarono questi duoi discepoli di Fidia a pruova ciascuno una Venere e fu giudicato vincitore l’Atheniese non gia per la bellezza della opera, ma percioche i Cittadini Atheniesi che ne devevano esser giudici piu favorarono l’artefice lor cittadino che il forestiero; di che sdegnato Agoracrito vendè quella sua figura con patto che mai la non si dovesse portare in Athene, e la chiamò lo Sdegno; la quale fu poi posta pur nella terra Attica in un Borgo che si chiamava Rannunte, la qual figura Marco Varrone usava dire che gli pareva che di bellezza avanzasse ogn’altra. Erano ancora di mano di questo medesimo Agoracrito nel tempio della madre degli Dei pure in Athene alcune altre opere molto eccellenti. Ma che quel Fidia maestro di questi due fusse di tutti gli artefici cotali eccellentissimo niuno fu<,> che io creda<,> che ne dubitasse gia mai, ne solo per quelle nobilissime figure grandi di Giove d’avorio ne per quella Minerva d’Athene pur d’avorio e d’oro di 26 cubiti d’altezza, ma non meno per le picciole e per le minime, delle quali in quella Minerva n’era un numero infinito, le quali non si debbono lasciare che le non si contino. Dicono adunche, che nello scudo della Dea e nella parte che rileva era scolpita la battaglia che gia anticamente fecero gli Atheniesi con le Amazone, e nel cavo di drento i giganti che combattevano con li Dei, e nelle pianelle il conflitto de<’> Centauri, e de<’> Lapithi, e cio con tanta maestria e sottigliezza che non vi rimaneva parte alcuna che non fusse maravigliosamente lavorata. Nella base erano ritratti i xii Dei che pareva che conoscessero la vittoria, di bellezza eccessiva; similmente faceva maraviglia il drago ritratto nello scudo, e sotto l’asta una sfinge di bronzo. Abbiamo voluto agiugnere anco questo di quel nobile artefice non mai a bastanza lodato, accio si sappi l’eccellenza di lui<,> non solo nelle grandi opere, ma nelle minori ancora e nelle minime e in ogni sorta di rilevo essere stata singolare. Fu di poi Prassitele il quale nelle figure di marmo<,> come che egli fusse anco eccellente nel metallo, fu maggiore di se stesso. Molte delle sue opere in Athene si vedevano nel Ceramico, ma fra le molte eccellenti e non solo di Prassitele, ma di qualunche altro maestro singolare in tutto il mondo, <è> piu chiara e piu famosa quella Venere la qual sol per vedere, e non per altra cagione alcuna<,> molti di lontano paese navigavano a Gnido. Fece questo artefice due figure di Venere, l’una ignuda e l’altra vestita, e le vendè un medesimo pregio; la ignuda comperarono quei di Gnido, la quale fu tenuta di gran lunga migliore e la quale Nicomede Re volle da loro comperare offerendo di pagare tutto il debito che aveva il lor Comune, che era grandissimo; i quali elessero innanzi di privarsi d’ogni altra sustanza e rimaner mendichi<,> che di spogliarsi di cosi bello ornamento: e fecero saviamente, percioche quanto aveva di buono quel luogo che per altro non era in pregio lo aveva da questa bella statua. La cappelletta dove ella si teneva chiusa si apriva d’ogn’intorno talmente che la bellezza della Dea, la quale non aveva parte alcuna che non movesse a maraviglia<,> si poteva per tutto vedere. Dicesi che fu chi innamorandosene si nascose nel tempio e che l’abbracciò, e che [p. xc modifica]del fatto ne rimase la macchia, la quale poi lungo spazio si parve. Erano in Gnido parimente alcune altre imagini pur di marmo d’altri nobili artefici come un Bacco di Briaxi, e un altro di Scopa, e una Minerva, le quali agiugnevano infinita lode a quella bella Venere percioche queste altre<,> avvenga che di buoni maestri<,> non erano in quel luogo tenute di pregio alcuno. Fu del medesimo artefice quel bel Cupido il quale Tullio rimproverò a Verre nelle sue accusationi, e quell’altro per il quale era solamente tenuta chiara la città di Tespia in Grecia, il quale fu poi a Roma grande ornamento della scuola di Ottavia; di mano del medesimo si vedeva un altro Cupido in Pario<,> Colonia della Propontide, al quale fu fatto la medesima ingiuria che a quella Venere da Gnido: percioche uno Alchida Rodiano se ne innamorò e dello amore vi lasciò il segnale. A Roma erano molte delle opere di questo Prassitele: una Flora<,> uno Triptolemo e una Cerere nel giardino di Servilio, e nel Campidoglio una figura della Buona ventura e alcune Baccanti, e al sepolcro di Pollione uno Sileno, uno Apollo e Nettunno; rimase di lui un figliuolo chiamato <Cefisodoto> erede del patrimonio e dell’arte insieme, del quale è lodata a maraviglia a Pergamo di Asia una figura le dita della quale parevano piu veracemente a carne che a marmo impresse; di costui mano erano anco in Roma una Latona al tempio d’Apollo Palatino, una Venere al sepolcro di Asinio Pollione e drento alla loggia di Ottavia al tempio di Giunone uno Esculapio e una Diana. Scopa ancora al medesimo tempo fu di chiarissimo nome e con i detti di sopra contese del primo onore; fece egli una Venere e un Cupido e un Phetonte, i quali con gran divozione e cirimonie erano a Samotracia adorati, e lo Apollo detto il Palatino dal luogo dove egli fu consacrato, e una Vesta che sedeva nel giardino di Servilio e due ministre della Dea apressoli, alle quali due altre simiglianti pur del medesimo maestro si vedevano fra le cose di Pollione, di cui ancora erano molto tenute in pregio nel tempio di Gneo Domitio nel Circo Flamminio un Nettunno, una Tetide con Achille e le sue ninfe a sedere sopra i Delfini, e altri mostri marini e Tritoni e Phorco e un coro d’altre Ninfe tutte opere di sua mano, le quali sole quando non avesse mai fatto altro in sua vita sarieno bastate ad onorarlo. Fuor di queste molte altre se ne vedevano in Roma, le quali si sapeva certo che erano opere di questo artefice e cio era un Marte a sedere, un colosso del medesimo al tempio di Bruto Callaico dal circo, che si vedeva da chi andava inverso la porta Labicana, e nel medesimo luogo una Venere tutta ignuda che si tiene che avanzi di bellezza quella famosa da Gnido di Prassitele. Ma in Roma<,> per il numero grande che da ogni parte ve n’era stato portato a pena che le si riconoscessero, che oltre alle narrate ve ne aveva molte altre bellissime, i nomi degli artefici che le avevano fatte s’erano in tutto perduti, si come advenne di quella Venere che Vespasiano Imperadore consagrò al tempio della Pace, la quale per la sua bellezza era degna d’essere di qualunche de<’> piu nominati artefici opera. Il simigliante advenne nel tempio di Apollo di una Niobe con i figliuoli, la quale dallo arco di Apollo era ferita e pareva che ne morisse, la quale non bene si sapeva se l’era opera di Prassitele o pure di Scopa. [p. xci modifica]Similmente mente si dubitava di uno Iano, il quale aveva condotto di Egitto Agusto, e nel suo tempio l’aveva consagrato. La medesima dubitanza rimaneva di quel Cupido che aveva in mano l’arme di Giove che si vedeva nella Curia di Ottavia, il quale si teneva per certo che fusse imagine<,> nella piu fiorita età<,> d’Alcibiade Atheniese, il quale fu di si rara bellezza che tutti gl’altri giovani della sua età trapassò. Parimente non si sa di cui fussero mano i quattro Satiri che erano nella scuola di Ottavia, de<’> quali uno mostrava a Venere Bacco bambino e un altro Libera pure bambina, il terzo voleva racchetarlo che piangeva, il quarto con una tazza gli porgeva da bere<,> le due Ninfe, le quali con un velo pareva che lo volessero coprire. Nel medesimo dubbio si rimasero Olimpo, Pane, Chirone e Achille non se ne sapendo il maestro vero. Ebbe Scopa al suo tempo molti concorrenti<:> Briaxi, Timoteo e Leochare, de<’> quali insieme ci convien ragionare percioche insieme lavorarono di scarpello a quel famoso sepolcro di Mausolo Re di Caria, il quale fu tenuto una delle sette maraviglie del mondo<,> fattoli dopo la morte d’esso da Artemisia sua moglie, il quale si dice essere morto l’anno secondo della centesima Olimpiade cioè l’anno 329 dalla fondatione di Roma. La forma di questo sipolcro si dice essere stata cotale: dalla parte di Tramontana e di mezzogiorno si allargava per ciascuno lato piedi 63<,> da Levante e Ponente fu alquanto piu stretto, l’altezza sua era 25 cubiti e intorno intorno era retto da 16 colonne; la parte da Levante lavorò Scopa, quella da Tramontana Briaxi, a mezzodì Timoteo, da Occidente Leochare; e innanzi che l’opera fusse compiuta morì Artemisia e nondimeno quei maestri condussero il lavoro a fine, il quale da ogni parte fu bellissimo, ne si seppe cosi bene chi di loro fosse piu da essere commendato essendo stata l’opera di ciascuno perfettissima. A questi quattro si aggiunse un quinto maestro, il quale sopra il sepolcro fece una piramide di pari altezza di quello, e sopra vi pose un carro con quattro cavagli d’opera singularissima. Serbavasi in Roma di mano di quel Timoteo una Diana nel tempio di Apollo Palatino alla qual figura<,> che venne senza, rifece la testa Evandro Aulanio; fu ancora di gran maraviglia uno Ercole di Menestrato, e una Ecate nel tempio di Diana di Efeso<,> di marmo talmente rilucente, che i sacerdoti del tempio solevano avvertire chi vi entrava che non mirassero troppo fiso quella imagine però che dal troppo splendore la vista resterebbe abbagliata. Furono anco nello antiporto di Atene poste le tre Gratie, le quali non si deveno ad alcuna delle altre figure posporre. Le quali si dice che furono opera di un Socrate non quel pittore, ma un altro, benche alcuno voglia che sia il medesimo che il dipintore. Di quel Mirone ancora, il qual nel far di metallo fu cotanto celebrato<,> si vedeva a Smirna una vecchia ebbra di marmo<,> fra le altre buone figure molto celebrata. Asinio Pollione<,> come nelle altre cose fu molto sollecito e isquisito<,> cosi anco si ingegnò che le cose da lui fatte a lunga memoria fussero singolari e ragguardevoli, e le adornò di molte figure d’ottimi artefici ragunandole da ciascuna parte, le quali chi volesse ad una ad una raccontare arebbe troppo che scrivere, ma infra le molto lodate vi si vedevano alcuni Centauri, i quali via se ne portavano Ninfe, e le Muse, e Bacco, e Giove, e [p. xcii modifica]l’Oceano, e Zete e Amphione, e molte altre opere di eccellentissimi maestri; medesimamente nella loggia di Ottavia<,> sorella di Agusto, era uno Apollo di mano di <Filisco> Rodiano e una Latona e una Diana e le nove Muse e un altro Apollo ignudo, l’uno de<’> quali<,> quello che sonava la lira<,> si credeva essere opera di Timarchide. Dentro alla loggia di Ottavia nel tempio di Iunone era la Iunone stessa di mano di Dionisio e di Policle, un’altra Venere<,> che era nel medesimo luogo<,> di Philisco, l’altre figure che vi si vedevano erano opera di Prassitele, e molte altre nobili statue di ottimi maestri. Fu<,> per il luogo dove ella era posta<,> stimata molto bella opera un carro con quattro cavagli e Apollo e Diana sopravi<,> d’una pietra sola, i quali Augusto<,> in onore di Ottavio padre suo<,> aveva consagrato nel colle Palatino sopra l’arco in un tempio adorno di molte colonne, e questo si diceva essere stato lavoro di Lysia. Nel giardino di Servilio furono molto lodati uno Apollo di quel Calamide chiaro maestro, e un Callisthene, quel che scrisse la storia di Alessandro Magno<,> di mano di Amfistrato. Di molti altri<,> che si conosceva per l’opere che erano stati nobili maestri, è smarrito il nome per il gran numero delle opere e degli artefici<,> che infinite e infiniti furono, come anco mancò poco che non si perderono coloro si buoni maestri li quali formarono quel Laocoonte di marmo il quale fu a Roma nel palazzo di Tito Imperadore<,> opera da aguagliarla a qualsivoglia celebrata di pittura o di scoltura o d’altro, dove d’un medesimo marmo sono ritratti il padre e duoi figliuoli con duoi serpenti, i quali gli legono e in molti modi gli stringono come prima gli aveva dipinti Vergilio Poeta; i quali oggi in Roma si veggono anco saldi in Belvedere e il ritratto d’essi in Firenze nel cortile della casa de Medici, il qual lavoro insieme fecero Agesandro, Polidoro e Atenodoro Rodiani<,> degni per questo lavoro solo d’essere a paro degli altri celebrati lodati. Furono i palazzi degli Imperadori Romani di figure molto buone adornati di Cratero, Pitodoro, Polidette, Ermolao e d’un altro Pitodoro e d’Artemone molto buoni maestri. E il Panteo di Agrippa oggi chiamato la Ritonda, fornirono di molte belle figure Diogene Atheniese e Carsatide; sopra le colonne del qual tempio e in luogo molto alto nel frontespizio<,> fra le molte erano celebrate molte opere di costoro, ma per l’altezza dove elle furono poste la bontà e bellezza d’esse non si poteva cosi bene discernere. In questo tempio era uno Ercole al quale i Carthaginesi anticamente sacrificavano umane vittime; innanzi che si entrasse nel tempio si vedevano da buoni maestri scolpiti tutti quegli che furono della schiatta di Agrippa. Fu grandemente celebrato da Varrone uno Archesilao del quale lasciò scritto che aveva veduta una liona con alcuni Amori intorno i quali con essa scherzavano, de<’> quali alcuni la tenevano legata, altri con un corno li volevano dar bere e altri la calzavano e tutti di un marmo medesimo. Non si vuole lasciare indietro uno Sauro e uno Batraco artefici cosi chiamati, i quali fecero i templi compresi nella loggia di Ottavia, e furono di Grecia e Spartani e come si diceva molto ricchi, e vi spesero assai del loro con intenzione di mettervi il lor nome, il quale aviso venendo lor fallito con nuovo modo lo significarono scolpendo ne<’> capitegli delle colonne ranocchi e [p. xciii modifica]lucertole, che questo viene a dire Batraco e quel Sauro. Oltre a questi nominati di sopra furono alcuni che studiarono in fare nella arte cose piccolissime, infra i quali Mirmecide<,> uno scultore cosi chiamato<,> fece un carro con quattro cavagli e con la guida d’essi si piccioli che una mosca con l’ale gli arebbe potuto coprire; e Callicrate, da cui le gambe delle scolpite formiche, e l’altre membra a pena che si potessero vedere. Potrebbesi<,> oltre a questi detti<,> ancora aggiugnere molti altri i quali ebbero alcuno nome, ma pero che ci pare averne raccolti tanti che bastino<,> finiremo in questi, massimamente essendo stato nostro intendimento raccontare i piu onorati, e famosi e l’opere d’essi piu perfette. E questi, come di sopra de<’> pittori si disse, furono per lo piu Greci<,> che avenga che i Toscani a<’> tempi molto antichi fussero di qualche nome in queste arti e di loro maestria si vedessero molte statue<,> nondimeno a giudizio di ciascuno i Greci ne ebbero il vanto per la bontà e virtù delle loro figure e per il numero grande d’esse e degli artefici, i quali studiosamente si sforzarono non solamente per il premio che essi ne traevano che era grandissimo (contendendo infra di loro i Comuni, e le Città con molta ambizione di avere a presso di loro le piu belle e le migliori opere che tali arti potessero fare) ma molto piu per gloria di tal nome, per cagione della quale essi talmente faticarono che dopo una infinità di secoli e dopo molte rovine della Grecia ancora ne dura il nome, avenga che l’opere d’essi o sieno in tutto perdute o piu non si riconoschino. Percioche le pitture<,> come cosa fatta in materia la quale agevolmente o da se si corrompe o daltronde riceve ogni ingiuria<,> sono in tutto disfatte, e le statue di bronzo o da chi non conosce la bontà d’esse o da chi non le stima hanno mutato forma, e i marmi oltre ad essere per le rovine che avvengano<,> mutandosi per il girar del cielo ogni cosa<,> la maggior parte rotti e sepolti<,> sono anche<,> ad arbitrio di chi piu può<,> stati sovente qua e là traportati e i nomi degli artefici che erano in essi perdutisi e mutatisi, come advenne ad infiniti i quali la potenza Romana daltronde in lungo tempo portò a Roma; onde partendosi poi Gostantino Imperadore e traportando l’imperio in Grecia<,> molte delle piu belle statue seguendo l’imperio e lasciando Italia<,> in Grecia là donde elle erano venute se ne tornarono, e Gostantino stesso e li altri Imperadori poscia<,> delle Isole e delle cittadi della Grecia scelsero le migliori e<,> come si truova scritto<,> il seggio imperiale ne adornarono; dove poi al tempo di Zenone Imperadore per un grandissimo incendio, il quale disfece la piu bella e la miglior parte di Gostantinopoli<,> molte ne furono guaste, infra le quali fu quella bella Venere da Gnido di Prassitele di cui di sopra facemo menzione, e quel maraviglioso Giove olimpico fatto per mano di Fidia, e molte altre nobili di marmo e di bronzo; e fra li altri danni ve ne fu uno grandissimo che vi abruciò una libreria nella quale si dice che eran ragunati 120 migliaia di volumi, e questo fu intorno agli anni della salute 466. E poi un’altra fiata<,> forse 70 anni dopo<,> della medesima città arse un’altra parte piu nobile, dove medesimamente s’era ridotto il fiore di cosi nobili arti. E cosi<,> a Roma da<’> barbari e in Gostantinopoli dal fuoco<,> fu spento il piu bello splendore che avessero cotali arti, laonde in quelle che sono rimase e che si veggiono in Roma e altrove riconoscervi il maestro credo che sia cosa malagevolissima essendo stato in arbitrio di ciascuno porvi il nome di questo o di quello. Avvenga [p. xciv modifica]che<,> per la bellezza d’alcune scampate e per la virtù loro si possa estimare che elle sieno state opere d’alcuni de<’> sopra da noi nominati. L’origine di far le statue si conosce appresso i Greci primieramente esser nata dalla religione, che le prime imagini che di bronzo o di marmo si facessero furono fatte a simiglianza degli Dei, e quali li uomini gli adoravano e secondo che pensavano che essi fossero; dagli Dei si scese agli uomini da li quali i Comuni e le Provincie estimavano aver ricevuto alcuno benifizio straordinario, e si dice che in Athene, la quale fu città civilissima e umanissima<,> il primo onore di questa sorte fu dato ad Armodio e Aristogitone, i quali avevano voluto con l’uccidere il tiranno liberare la patria dalla servitù; ma cio potette esser vero in Athene, percioche molto prima a coloro i quali ne<’> giuochi sacri di Grecia, e massimamente negli Olimpici<,> erano publicamente banditi vincitori<,> in quel luogo si facevano le statue; questa sorte di onore del quale i Greci furono liberalissimi trapassò a Roma, e forse<,> come io mi credo<,> ve la recarono i Toscani lor vicini e parte di loro accettati nel numero de<’> Cittadini, percioche si vedevano a Roma anticamente le statue dei primi Re Romani nel Campidoglio. E a quello Attio Navio, il quale per conservazione degli augurij tagliò col rasoio la pietra<,> vi fu posto anche la statua; ebbevela anco quel Ermodoro savio da Efeso, il quale a quei diece Cittadini Romani che compilavano le leggi, le Greche leggi interpretava, e quello Oratio Coclite, il quale solo sopra il ponte aveva l’impeto de<’> Toscani sostenuto; vedevansene inoltre molte altre antiche poste dal popolo o dal Senato ai lor Cittadini, e massimamente a coloro i quali essendo imbasciadori del lor Comune erano stati da<’> nimici uccisi. Era anco molto antica in Roma la statua di Pitagora e d’Alcibiade, l’uno riputato sapientissimo e l’altro fortissimo. Ne solo fu fatto questo onore di statue agli uomini da<’> Romani, ma ancora ad alcuna donna, pero che a Caia Suffecia vergine vestale fu diliberato che si facesse una statua percioche<,> come in alcuna cronaca de<’> Romani era scritto<,> ella al popolo romano aveva fatto dono del campo vicino al fiume. Questo medesimo onore fu fatto a Coclia, e forse maggiore, percioche costei fu ritratta a cavallo, che s’era fuggita del campo del Re Porsena, il quale era venuto con l’oste contro a<’> Romani. Molti oltre a questi se ne potrebbero contare, i quali per alcuno benefizio raro fatto al Comune loro meritarono la statua; e molto prima a Roma fu questo onore di statue di bronzo o di marmo dato agli uomini<,> che in cotal materia li Dei si ritraessero<,> contentandosi quegli antichi di avere le imagini dei loro Dei rozze<,> di legno intagliato e di terra cotta. E la prima imagine di bronzo che agli Dei in Roma si facesse, si dice essere stata di Cerere, la quale si trasse dello avere di quello Spurio Melio che nella carestia<,> col vendere a minor pregio il suo grano<,> s’ingegnava di allettare il popolo e di procacciarsi la signoria della patria, e che per questo conto fu ucciso. Avevano le Greche statue e le Romane differenza infra di loro assai chiara, che le Greche per lo piu erano<,> secondo l’usanza delle palestre<,> ignude, dove i giovani alla lotta e ad altri giuochi ignudi si esercitavano, che in quelli ponevano il sommo onore; le Romane si facevano vestite o d’armadura o di toga, abito spetialmente Romano; il [p. xcv modifica]quale onore<,> come noi dicemo poco fa<,> dava primieramente il Comune, poi cominciando l’ambizione a crescere fu dato anco da privati e da comuni forestieri a questo e a quel Cittadino, o per benefizio ricevuto o per averlo amico, e massimamente lo facevano gli umili e bassi amici in verso i piu potenti e maggiori. E andò tanto oltre la cosa che in brieve spazio le piazze<,> i templi e le logge ne furono tutte ripiene. E non solo fiorirono queste arti nel tempo che i Greci in mare e in terra molto poterono appresso a quella natione, ma poi<,> molti secoli dopo che ebbero perduto l’Imperio<,> al tempo degli Imperadori Romani alcune volte risorsero, che in Roma si vede ancora l’arco di Settimio ornato di molte belle figure e molte altre opere egregie, delle quali non si sanno i maestri essendosene perduta la memoria; ma non estimo gia che queste cotali sieno da aguagliare a quelle che<,> ne i tempi che i Greci cotanto ci studiarono<,> furono fatte. Apresso i quali furono inoltre alcuni, i quali ebbero gran nome nel lavorare in argento di scarpello, l’opere dei quali, <per la materia> la quale agevolmente muta forma e che l’uso in poco spazio logora<,> non si condussero molto oltre, e nondimeno ne sono chiari alcuni artefici, de<’> nomi de<’> quali brievemente faremo mentione per finire una volta quello che voi avete voluto che io facci. Nella quale arte fra i primi fu molto celebrato Mentore, il quale lavorava di sottilissimo lavoro vasi d’argento e tazze da bere e ogni altra sorte di vasellamento che si adoperava ne<’> sacrificij, et erano tenuti questi lavori e ne<’> templi e nelle case de<’> nobili uomini molto cari; dopo costui nella medesima arte ebbero gran nome uno Acragante, uno Boeto e un altro chiamato Mys, de i quali nella Isola di Rodi si vedevano per i templi in vasi sacri molto belle opere, e di quel Boeto spetialmente Centauri e Bacche fatti con lo scarpello in idrie e in altri vasi molto begli; e di quello ultimo un Cupido e uno Sileno di maravigliosa bellezza. Dopo costoro fu molto chiaro il nome d’uno Antipatro, il quale sopra una tazza fece un Satiro gravato dal sonno<,> tanto proprio<,> che ben si poteva dire che piu presto ve lo avesse su posto che ve lo avesse con lo scarpello scolpito. Furono anco di qualche nome uno Taurisco da Cizico, uno Aristone, uno Onico e uno Ecateo e alcuni altri, e poi a<’> tempi piu oltre di Pompeo il grande un Prassitele e un Ledo da Efeso, il quale ritraeva di minutissimo lavoro uomini armati e battaglie molto bene. Fu anco in gran nome un Zopiro, il quale aveva in due tazze ritratto il giudizio di Oreste nello Ariopago; fu anco chiaro un Pitea, il quale aveva commesso in un vaso due figurette<,> l’una di Ulisse e l’altra di Diomede quando in Troia insieme furarono la statua di Pallade; ma questi lavori erano di tanta sottigliezza, che in breve il bello d’essi se ne consumava, et erano poi in pregio piu per il nome degli artefici che li avevano fatti che per virtù o per eccellenza che si scorgesse nelle figure, delle quali poi apena se ne potesse ritrarre l’esemplo. Ma questa e l’altre arti nobili delle quali noi abbiamo di sopra piu che non pensavamo di dover fare ragionato<,> l’età presente e due o tre altre di sopra hanno talmente tornato in luce che io non credo che ci bisogni desiderare l’antiche per prenderne diletto e admirarle<,> però che sono stati tali i maestri di queste arti, e per lo piu i Toscani e [p. xcvi modifica]spezialmente i nostri Fiorentini<,> che hanno mostro l’ingegno e l’industria loro essere di poco vinta da quegli antichi<,> cotanto celebrati in arti cotali. Li quali da voi, Messer Giorgio<,> sono nelle lor vite in modo, e si sottilmente<,> descritti e lodati che io non trapasserò piu oltre con lo scrivere, godendo infinitamente che oltre agli altri beni di Toscana, che sono infiniti, li quali la virtù e la buona mente del Duca Cosimo de Medici nostro Signore ci fa parere molto migliori, abbiamo anco l’ornamento di cosi nobili arti; delle quali non solo la Toscana, ma tutta l’Europa se ne abbellisce, vedendosi quasi in ogni parte l’opere de<’> Toscani artefici e de<’> loro discepoli risplendere, e cio debbiamo sperare molto piu nel tempo avenire, poi che non solo i nobili maestri per l’opere loro <pregiate>, ma anco per le penne de<’> nobili scrittori si veggiono commendare, e molto piu per il favore e aiuto che continovamente lor danno i nostri Illustrissimi Prencipi e Signori, valendosi<,> con grande utile e onore d’essi artefici<,> dell’opere loro in adornare e abbellire la patria, e in publico ancora la loro Accademia favorendo e sollevando, e cio massimamente per opera vostra. Di che tutti<,> se grati e buoni uomini vogliono essere, ve ne debbono onorare e infinitamente ringratiare. Che Dio vi guardi. Di casa alli VIII. di Settembre 1567.



Vostro Giovambatista Adriani.