Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Bernardino Pinturicchio

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Luca Signorelli da Cortona Iacopo detto l'Indaco

BERNARDINO PUNTURICCHIO

Pittore

Molti sono aiutati dalla fortuna, che non hanno virtute in loro, et infiniti que’ virtuosi che la mala sorte sempre perseguita, dimostrando apertissimamente conoscere per suo figliuolo chi depende tutto da lei senza aiuto alcuno di virtú, e che sommamente le piace di inalzare la dappocaggine di certi che senza il favore di lei non sarebbono pure conosciuti; come avvenne de ’l Pinturicchio, il quale ancora che facesse molti lavori aiutato da diversi, ebbe certo piú nome assai, che per le opere sue non aveva meritato. Tuttavolta egli era persona che ne’ lavori grandi aveva molta pratica, e che teneva di continovo molti lavoranti nelle sue opere. Fece in giovanezza molti lavori in compagnia di Pietro suo maestro, da ’l quale tirava per sua mercede il terzo del guadagno. In Siena lavorò in San Francesco al Cardinale Piccoluomini nipote di Papa Pio III, una tavola da altare, dentrovi un Parto di Nostra Donna; et in Roma alcune stanze per il sopra detto pontefice; e mandato a Siena, prese a dipignere la libreria edificata da Papa Pio II nel duomo di quella città. Era in quel tempo, ancor giovanetto, Raffaello da Urbino pittore, che in compagnia erano stati con Pietro; onde egli lo condusse in Siena, dove di tutti gli schizzi delle storie della libreria, fece i cartoni Raffaello, che benissimo aveva appresa la maniera di Piero; e di questi se ne vede oggi ancora uno in Siena. In questo lavoro tenne Pinturicchio in opera molti lavoranti, tutti della scuola di Pietro. E fu la fama sua tenuta dalla plebe in gran venerazione, di maniera che chiamato a Roma da Papa Alessandro VI, gli dipinse in palazzo tutte le stanze dove detto papa abitò, e tutta la Torre Borgia; nella quale fece storie delle arti liberali in una stanza, e di stucchi di gessi mise d’oro le volte di rilievo, e con infinita spesa le condusse a l’ultima perfezzione. Ritrasse sopra la porta d’una camera la signora Giulia Farnese per il volto d’una Nostra Donna, e nel medesimo quadro la testa di Papa Alessandro; usò molto fare alle figure dipinte ornamenti di rilievo messi d’oro, per contentare le persone che poco di quella arte intendevano, acciò avesse maggior lustro e veduta, cosa goffissima nella pittura. Perché avendo fatto in dette stanze una storia di Santa Caterina, figurò gli archi di Roma di rilievo, e le figure dipinte; di modo che essendo innanzi le figure e dietro i casamenti, vengono piú inanzi le cose che diminuiscono, che quelle che secondo l’occhio crescono, eresia grandissima nella nostra arte. In Castello Santo Angelo fece infinite stanze a grottesche, ma nel torrione da basso nel giardino, di storie di Papa Alessandro. Mandò a Napoli a Monte Oliveto a Paolo Tolosa una tavola d’una Assunta. Fece infinite opere per tutta Italia, che per non essere molto eccellenti, ma di pratica, le porrò in silenzio. Visse onoratamente, e perché era morso di non faticarsi nell’arte, diceva che il maggior rilievo che desse un pittore alle figure, era lo avere da sé, senza saperne grado né a principi né a gli altri. Lavorò ancora a Perugia; et in Araceli dipinse la cappella di San Bernardino; a Santa Maria del Popolo fece due cappelle e la volta della cappella maggiore.

Avvenne che, essendo egli già condotto a la età d’anni LIX, gli fu allogata una opera in San Francesco di Siena, dove gli assegnarono i frati una camera per suo abitare, e gliela diedero come e’ volle, espedita e vacua de ’l tutto, salvo che d’un cassonaccio grande et antico che rincresceva loro a levarlo. Ma Pinturicchio, come strano e fantastico, ne fece tanto romore e tante volte, che i frati finalmente per disperati si misero a levarlo via; e fu tanta la loro ventura, che nel cavarlo fuori si ruppe una asse, nella quale erano cinquecento ducati d’oro di camera. De la qual cosa prese Pinturicchio tanto dispiacere, e tanto ebbe a male il bene di que’ frati, che mentre fece quella opera s’accorò di dolore, tuttavia non pensando in altro, e di quel si morí.

Furono le pitture sue circa l’anno MDXIII. Fu suo compagno et amico Benedetto Buonfiglio pittore Perugino, il quale molte cose lavorò a Roma in palazzo del papa per que’ maestri, et a Perugia sua patria fece la cappella della Signoria. Fu compagno e suo domestico amico ancora e seco lavorò Gerino Pistolese, il quale ancor egli fu discepolo di Piero Perugino, e fu tenuto diligente coloritore et imitatore della maniera di Pietro suo maestro, con il quale lavorò fino presso alla morte, e col Pinturicchio insieme operò molte cose. In Pistoia sua patria fece opere, ma non molte, perché al Borgo a San Sepolcro si condusse a fare un tavola a olio a una Confraternita del buon Giesú in detta città, dentrovi la Circoncisione, dove molto amore e molta diligenza mise. Alla pieve nel medesimo luogo dipinse una cappella in fresco, e sul Tevere per la strada che va ad Anghiari, fece un’altra cappella in fresco per la comunità, et in quel medesimo luogo nella badia de’ monaci di Camaldoli intitolata San Lorenzo, un’altra cappella. Quivi dimorò egli tanto, che quasi per sua patria la elesse. Fu persona molto nelle cose dell’arte meschina, e che durava grandissime fatiche nell’opere et aveva un costume, ch’e’ penava tanto su’ lavori a condurli, che di stento sé e loro in fine conduceva. Fecero le pitture loro circa nel MDVIII.