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Terzo stasimo

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Giunge Taltibio con guerrieri che recano il cadavere d’Astianatte.
coro
Ahimè, ahimè!
S’avvicenda novella sciagura
a novella sciagura, sul suolo
di Troia. Mirate, o consorti
dei Troiani infelici, il cadavere
d’Astïanatte.
Lo scagliarono giú dalle mura
con impeto amaro;
e lo recano quei che l’uccisero.
taltibio
Ecuba, immoti d’una sola nave
restano i legni, e quanto del bottino
riman del figlio del Pelíde, a Ftía
trasporteranno: in mare Neottòlemo
s’è messo già, ché di Pelèo novelle
ricevé tristi: ché scacciato Acasto,
figlio di Pelia, l’ha dalla sua patria.

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Brama perciò di rimaner non ebbe,
e partí senza indugio, e seco Andromaca,
che a versar mi costrinse amare lagrime,
quando la terra abbandonò, la sua
patria, gemendo, salutando il tumulo
d’Ettore, e al nuovo suo signore chiese
di dar sepolcro a questa salma, al figlio
d’Ettore tuo, che giú piombò dai muri,
e l’anima spirò: chiese che questo
scudo di bronzo, che portar soleva,
schermo al suo fianco, il padre suo, di Pèleo
non lo recasse al focolare, né
al suo talamo, dove essa, la madre
del pargoletto, Andromaca, andrà sposa,
a contristar gli occhi di lei; ma in quello
si seppellisca il pargolo, e non già
in recinto di pietra, e non in tavole
di cedro: chiese che alle mani tue
s’affidasse il cadavere, perché
tu di bende l’ornassi e di corone,
quanto la forza te ne basta, quanto
il tuo stato consente, or ch’è partita
la madre sua: ché del signor la fretta
le proibí di dar sepolcro al figlio.
Quando la salma ornata avrai, di terra
la copriremo noi; poi salperemo.
L’opera tua tu dunque affretta. lo t’ho
risparmïata una fatica. Quando
traversai lo Scamandro, ho nei suoi gorghi
lavato il corpo e terse le ferite.
Ora la terra a fender vo’, la fossa
scavo, sicché l’opera mia, la tua,
congiunte a un tempo, la partenza affrettino.

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ecuba
Al suol ponete dello scudo d’Ettore
l’orbe: lugubre vista agli occhi miei,
e men che grata. O Achei, per l’armi insigni
piú che pel senno, e che mai temevate,
che con novello scempio avete ucciso
questo fanciullo? Ch’ei Troia abbattuta
risollevasse un dí? Nulla eravate,
dunque, allorché pugnava Ettore, e seco
mille e mille altre schiere, ed anche noi
sopraffatti eravamo? E adesso, che
Troia è caduta, e sterminati i Frigi,
d’un fanciullo temete? Il terror, quando
invade i cuor senza ragione, io biasimo. —
Deh, quanto sciagurata, o dilettissimo,
fu la tua morte! Se caduto fossi
per la patria pugnando, o già godute
la gioventú, le nozze avessi, o il regno
che l’uom pari agli Dei rende, felice
ti chiamerei, se pur felicità
in tali cose esiste. Or tu, nessuna
di queste cose sai, né di scienza,
figlio mio, né di prova: il bene in casa
avevi, e nulla pur tu ne godesti.
Come, infelice, le paterne mura,
opra di Febo, dal tuo capo i riccioli
hanno estirpati! Li educò la madre,
di baci li copriva: adesso ride
dall’ossa infrante il sangue: io dir non voglio
parole orrende! O mani, in cui soave
delle mani paterne è ancor l’impronta,
come dinanzi a me giace la vostra
compagine distrutta! O caro labbro,

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che tanti e tanti puerili canti
pronunciavi, or sei spento! E tu mentivi
quando, saltando sul mio letto: «O madre —
dicevi un lungo ricciolo per te
reciderò delle mie chiome, e schiere
guiderò di compagni al tuo sepolcro,
dolci saluti a te rivolgerò».
Ed or, non a me tu, ma io, vegliarda
senza patria né figli, a te fanciullo
darò sepolcro, al tuo misero corpo.
Ahi son finiti i tanti baci, e i giorni
ch’io ti nutrivo, i tuoi sonni vegliavo.
Un poeta che mai scriver potrebbe
sulla tua tomba? «Uccisero gli Argivi
questo fanciullo, per temerlo». O epigrafe
vituperosa per gli Ellèni! Or tu
non fosti erede dei paterni beni,
ma pure avesti il suo scudo di bronzo,
dove sepolcro avrai. — Scudo, che il braccio
d’Ettore bello un dí schermivi, hai perso
l’ottimo tuo custode. Oh, come dolce
l’impronta del suo braccio è nell’anello,
e nel tornito orbe il sudor, che spesso
Ettore stanco, al viso avvicinandolo,
dalla fronte stillava. Ora da quanto
abbiam, prendete ciò che servir possa
a ornare il morto. Non consente il Dèmone
pompe d’esequie: avrai quanto posseggo.
{{Vc|Alcune donne entrano nella tenda.}
Oh, dissennato l’uom che salda reputa
la buona sorte, e se n’allegra. Simili
ha fortuna i costumi all’uom volubile,

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e balza ora da un lato, ora da un altro,
né sempre resta presso l’uom medesimo.
Escono le donne recando ornamenti funebri.
corifea
Vedi, che frigie spoglie in su le braccia,
a ornar la salma, queste donne recano.
ecuba
I giovani tuoi pari, o figlio, vinti
non hai dell’arco, o nelle gare equestri,
che nei frigi costumi han pregio, senza
peccar d’eccesso; eppur, questi ornamenti
su te del padre tuo la madre pone,
dei beni che un dí tuoi furono, avanzi.
Elena adesso, odio dei Numi, a te
tutto ha rapito, e l’anima per giunta
ti tolse, e strusse la tua casa tutta.
coro
Ahi, ahi!
Tocchi il mio cuore, tocchi il mio cuore,
tu che supremo
esser dovevi d’Ilio signore.
ecuba
L’ornamento che tu cinger dovevi
di frigie vesti, il dí di nozze, quando

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sposata avessi la piú nobil figlia
d’Asia, ecco, adatto alle tue membra. E tu,
che madre bella un dí fosti d’innumere
vittorie, o targa d’Ettore diletta,
il serto accogli: insiem con questa salma
tu muori, ancor che tu non muoia. Degna
d’onore sei molto piú tu, che l’armi
del frodolento, del ribaldo Ulisse.
Ahimè, ahimè!
coro
La terra, o amaro spasimo,
o figliuolo, t’accoglie.
Gemi tu, madre.....
ecuba
                                        Ahimè!
coro
                                                            l’inno dei morti.
ecuba
Ahimè, ahimè!
coro
Intollerabili son le tue doglie.

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ecuba
Le piaghe tue di bende io cuopro: misero
medico, sol di nome, e non già d’opere!
Tuo padre al resto penserà, fra i morti.
coro
Colpisci la fronte,
la mano vi lasci l’impronte.
Ahimè, ahimè!
ecuba
O donne carissime!
coro
Ecuba parli ad amiche. Tu gridi. Perché?
ecuba
Dunque, null’altro che la mia rovina
vollero i Numi. Piú d’ogni città
Troia odiosa ad essi fu: le vittime
su l’are vanamente arsero. Eppure,
se noi sepolti avesse il Dio, la terra
tutta di sotto in su capovolgendo,
noi saremmo scomparsi, e senza avere
canti largiti alle future genti,
privi d’inni saremmo. Orvia, la salma
seppellite nel suo povero tumulo.

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Quanto i defunti ornar deve, egli ottenne.
Ed agli estinti poco importa, immagino,
che ricca esequia in loro onor si celebri:
di chi vive son queste inani pompe.
Dei soldati portano via la piccola salma.
coro
Ahimè, ahimè!
La tua povera madre, disperse
con te vide le grandi sue spemi.
Assai fosti creduto felice
pei nobili padri
onde tu discendevi; ma ora
soccombi ad orribile morte!
Da lungi si vedono brillare i fuochi dell’incendio di Troia.
Ahimè, ahi!
Quali mai sulle vette di Troia
vedo mani che vanno ondeggiando
ardenti di fiaccole? Ad Ilio
sovrasta novella sciagura!


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Entra Taltibio.
taltibio
Ai capitani a cui fu ingiunto ch’ardano
di Priamo la città, l’ordine reco
che pigra in man la fiamma piú non serbino,
anzi appicchino il fuoco, onde rovini
la città d’Ilio, e noi lieti partire
possiam da Troia. E voi, fanciulle d’Ilio
— poi che deve due volti avere il mònito —
allor che i duci delle schiere facciano
della tromba suonar chiaro lo squillo,
movete ai legni degli Achei, sicché
dalla terra partiate. Infelicissima
vecchia, e tu segui. Ecco, i ministri giungono
d’Ulisse: a lui, come la sorte volle,
schiava esser devi, e abbandonar la patria.
ecuba
Oh me tapina! Delle mie sciagure
è questo il punto estremo, è questo il termine:

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dalla patria io mi stacco, è la città
preda alle fiamme. Orsú, mio piede antico,
affretta, anche a fatica, ond’io la misera
città saluti. O Troia, che fra i barbari
grandezza un dí spiravi, il tuo gran nome
perderai presto. Arsa tu cadi, e noi
strappano schiave dalla patria. O Numi!.....
Ma perché dunque i Numi invoco? Furono
anche prima invocati, e non udirono.
Su, corriam verso il rogo: a me dolcissimo
sarà con questa patria arsa soccombere.
Si lancia verso il fondo, dove vede ardere le fiamme.
taltibio
Le tue sciagure, in te, misera, accendono
furïoso delirio. Orsú, prendetela,
non abbiate riguardo. In man d’Ulisse
consegnarla bisogna. Essa è il suo premio.
{{Vc|{{Smaller|I soldati achei afferrano Ecuba, e la riconducono sul davanti della scena.
ecuba
Ahimè, ahi!
Figlio di Crono, Signore di Frigia,
padre di nostra progenie,
l’iniquo strazio non vedi che soffrono
i figli di Dàrdano?

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coro
Vede; eppur Troia disparve: la celebre
città piú non è.
ecuba
Ahimè, ahimè, ahimè!
Ilio fiammeggia, di Pergamo
ardono i tetti, brucia
la città, bruciano dei muri i vertici.
coro
Come fumo si dissipa,
con eterea piuma,
per le cuspidi infeste, pel fuoco che l’investe,
tutta Ilio si consuma.
ecuba
Oh dei figliuoli miei terra nutrice!
coro
Ahimè, ahimè!
ecuba
La voce della madre udite, o figli!

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coro
La nenia intoni che ai morti s’addice.
ecuba
A terra prostro la mia vecchia salma,
percòto il suol con l’una e l’altra palma.
coro
lo t’imito: al suolo prosterno
il ginocchio, ed invoco lo sposo
mio tapino, che giace in Averno.
ecuba
Mi traggono, mi strappano...
coro
                                                      Oh doloroso grido!
ecuba
ad altrui casa, schiava...
coro
                                                  lungi dal patrio lido.

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ecuba
Ahimè, Priamo, Priamo,
che avesti morte
senza amici, senza tumulo,
tu non vedi la mia sorte!
coro
Con la sua negra veste copria
l’empio tuo strazio la morte pia.
ecuba
Oh templi di Numi, diletta città!
coro
Ahimè, ahimè!
ecuba
La fiamma, la strage, la lancia è su te!
coro
Senza gloria su questo
suol piangerete presto.
ecuba
Fumo che in alto quasi polve ondeggia
agli occhi miei nasconde la mia reggia.

[p. 177 modifica]

coro
Tutto sparisce in vario modo: misera
Troia, già piú non è:
diverrà della patria il nome ignoto.
ecuba
Udite, udite?
ecuba
                              Il fragore di Pergamo!
coro
È tremuoto, è tremuoto!
coro
E struggerà tutta Ilio!
ecuba
Tremule, tremule membra,
guidate i piedi miei dove in esilio
servil trascorra i cadenti anni miei.
coro
O misera città! Ma pure, volgere
devi il tuo passo ai legni degli Achei.
Partono tutti.