Le Laude (1915)/LXII. De san Francesco e de le battaglie del Nemico contra lui

LXII. De san Francesco e de le battaglie del Nemico contra lui

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LXII. De san Francesco e de le battaglie del Nemico contra lui
LXI. De san Francesco e de sette apparizione de croce a lui e de lui fatte LXIII. Epistola consolatoria a frate Ioanni da Fermo

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LXII

De san Francesco
e de le bataglie del Nemico contra lui

     O Francesco, da Dio amato, — Cristo en te s’ène mostrato.
     Lo Nemico engannatore, — aversier de lo Signore,
creato l’omo, ave dolore — che possedesse lo suo stato.
     Giendo a lui con fraudolenza — e cascollo d’obedenza,
fèlli far grande perdenza, — del paradiso fo cacciato.
     Puoi che l’uomo fo caduto — e lo Nemico fo saluto,
ed en superbia raputo, — ch’era signor deventato;
     Dio, vedendo questo fatto, — fecese om e dieglie ’l tratto,
e tolseli tutto l’acatto — che sopre l’om avi’ acquistato.
     Con la sua umilitate — tolseli prosperitate,
e con la santa povertade — sí li die’ scacco giocato.
     Per gran tempo fo sconfitto — lo Nemico maleditto,
relevosse e fece gitto — e lo mondo ha rapicciato.
     Vedendo l’alta Signoria — che lo Nemico sí vencía,
mandar ce vuol cavallaria — con guidator ben amastrato.
     San Francesco ce fo elesso, — per gonfalonier è messo,
ma nullo ne vol con esso — che non sia al mondo desprezato.
Non vol nullo cavalliere — che non serva a tre destriere:
povertate ed obedere, — en castitá sia enfrenato.
     Ármase lo guidatore — de l’arme del Signore,
ségnalo per grand’amore — de soi segni l’ha ’dornato.
     Tanto era l’amore acuto — che nel cuor avea tenuto,
che nel corpo si è apparuto — de cinque margarite ornato.
     De la fico ave figura, — che è grassa per natura,
rompe la sua vestitura — en bocca rieca melato.

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     Poi gl’insegna de schirmire, — de dar colpi e sofferire,
enségnali co degia dire: — pace en bocca gli è trovato.
     Lo Nemico s’atremío, — vedendo lui s’empaurío,
parvegli Cristo de Dio — che en croce avea spogliato.
     — S’egli è Cristo, non me giova, — ch’esso vencerá la prova;
non so guerra che me mova, — sí par dotto ed amastrato.
     Lasso me, da cui so vento! — ancora non me sgomento,
voglioce gire, e mo el tento, — ch’io possa far con lui mercato.
     O Francesco, que farai? — te medesmo occiderai
del digiunio che fai,— sí l’hai duro comenzato.
     — Facciol con discrezione, — ch’agio ’l corpo per fantone,
tengolo en mia pregione, — sí l’ho corretto e castigato.
     — Veramente fai co santo, — el tuo nom è en omne canto;
móstrate co stai ad alto, — ché ’l Signor ne sia laudato.
     — Celar voglio lo migliore — e mostrarme peccatore;
lo mio cor agio al Signore, — tenendo el capo umiliato.
     — Quegna vita vorrai fare? — non vorrai tu lavorare
che ne possi guadagnare — e darne a chi non è adagiato?
     — Metteròmme a gir pezente — per lo pane ad onne gente,
l’amor de l’Onnipotente — me fa gir co ’nebriato.
     — Frate, tu non fai niente, — periscerai malamente,
gli sequaci fai dolente, — c’hai niente conservato.
     — Tener voglio la via vera, — né sacco voglio né pera,
en pecunia posto èra — che non sia dagl miei toccato.
     — Or te ne va en foresta — con tutta questa tua gesta,
piacerá a l’alta Maièsta — e l’om ne sirá edificato.
     — Non so messo per mucciare: — ’nante, vengo per cacciare,
ché te voglio assediare — ed a le terre agio attendato.
     — Molta gente me torrai — con questo ordene che fai,
le femene me lasserai, — che non è buon misticato.
     — Ed io te voglio dir novelle — le qual non te paròn belle:
fatto ho orden de sorelle, — da le qual sie guerregiato.
     — Qual serà la scortegiante — che se voglia trare enante
contra le mie forze tante, — che tutto ’l mondo ho conquistato?
     — Nella valle Spoletana — una vergen c’è soprana:
Clara, de donna Ortulana, — tempio de Dio consecrato.

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     — Quilli che son coniugati — non siron da star coi frati,
siron da te allecerati, — averògl so mio guidato.
     — Ed io te vogl far afflitto. — Uno ordine agio elitto:
penitenti, orden deritto, — en matrimonio dirizato.
     — Or non me toccar la resía, — che è contra la tua via:
questo non comportaría, — troppo ne siría turbato.
     — Farne voglio inquisizione — a destruger tua magione,
metteraiolo en pregione — chi ne troverò toccato.
     — Oimè lasso, me tapino, — ché me s’è rotto l’oncino,
haime messo en canna un frino — che me fa molto arafrenato,
     O Francesco, co m’hai strutto! — el mondo te arprendi
tutto, ed haime messo en tal corrotto, — che m’hai morto e subissato.
     Non voglio piú suffrire, — per anticristo voglio gire;
e vogliolo far venire, — ché tanto è profetizato.
     — Con lui te darò el tratto, — el mondo t’artorrò affatto,
enfra li tuoi troverò patto — che i vestirò del mio vergato.
     — La profezia non me talenta, — a la fin sí me sgomenta,
che te de’ armaner la venta, — alora siraio enabissato. —
     La battaglia dura e forte, — molti siròn feriti a morte,
chi vincerá averá le scorte, — e d’onne ben sirá ditato.