Le Fenicie (Euripide - Romagnoli)/Secondo episodio

Secondo episodio

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Euripide - Le Fenicie (410 a.C. / 409 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1928)
Secondo episodio
Primo stasimo Secondo stasimo
Questo testo fa parte della raccolta i poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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Entra Eteocle, accompagnato da servi.

eteocle

Va’ tu, fa’ qui venir Creonte, il figlio
di Menecèo, fratello di mia madre
Giocasta, e digli ch’io bramo con lui
sovra i pubblici affari e sui domestici
tener consulto, prima che si schierino
le genti a pugna. No, rimani, affranca
da fatica i tuoi piedi: egli medesimo
verso le case mie vedo che avanza.

creonte

Per molti luoghi mossi, Etèocle re,
ché d’uopo ho di vederti; e delle mura,
delle scolte, a cercarti, il giro feci.

eteocle

E anch’io, Creonte, di parlarti ho d’uopo;
ch’io m’abboccai con Polinice, e vidi
quanto venire a patti era impossibile.

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creonte

Udito ho ch’ei Tebe disprezza, e fida
nel suo nuovo parente e nell’esercito.
Ma si lasci di ciò la cura ai Superi.
Ciò che piú preme a dirti adesso io giungo.

eteocle

E che mai? Ciò che dici io non intendo.

creonte

È fra noi giunto un prigioniero argivo.....

eteocle

E che novelle dei nemici reca?

creonte

Che la città di Cadmo e le sue torri
fra poco assalirà l’argivo esercito.

eteocle

Le schiere dei Cadmèi dunque uscir devono.

creonte

Dove? La foga giovanil t’acceca?

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eteocle

Oltre le fosse, presto, per combattere.

creonte

Poca è la nostra gente, e quei moltissimi.

eteocle

Ma so ben che a parole ei sono arditi.

creonte

Eppure Argo gran vanto ha fra gli Ellèni!

eteocle

Stragi al piano farò, presto: fa’ cuore.

creonte

Ben lo vorrei; ma impresa ardua mi sembra.

eteocle

Dentro le mura non terrò l’esercito.

creonte

Pur, di prudenza la vittoria è frutto.

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eteocle

Vuoi tu che un altro piano io dunque tenti?

creonte

Qual sia, pria d’arrischiar tutto in un colpo.

eteocle

Se di notte, d’agguato, li assalissimo?

creonte

Sí; ma tornar potrai, se il colpo falla?

eteocle

Tutti assiste la notte, e piú gli audaci.

creonte

Nemico agli sconfitti orrido è il buio.

eteocle

Se li assalissi mentre a desco siedono?

creonte

Puoi scompigliarli; e la vittoria occorre.

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eteocle

Dirce è profonda, a ritentarne il guado.

creonte

Nessun partito il ben guardarsi uguaglia.

eteocle

Se coi cavalli sopra lor piombassi?

creonte

Son le schiere, anche lí, cinte dai carri.

eteocle

Dunque, che far? Dare ai nemici Tebe?

creonte

Ma no! Seppure senno hai tu, consígliati.

eteocle

Qual d’ogni altro sarà migliore avviso?

creonte

Sette loro guerrieri, udii, s’apprestano.....

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eteocle

A far che cosa? È sette un piccol numero.

creonte

Schiere a guidar contro le sette porte.

eteocle

Che si farà? Non aspettiam la stretta.

creonte

Scegli anche tu per ogni porta un uomo.

eteocle

Che schiere guidi, o che stia solo in campo?

creonte

Che guidi schiere, quanti son piú prodi.

eteocle

Intendo, che l’assalto indi respingano.

creonte

E compagni abbia: un uom tutto non vede.

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eteocle

E al senno od al valor dovrò badare?

creonte

A entrambi: l’uno senza l’altro è nulla.

eteocle

Come dici sarà fatto: alle sette
torri della città muovo, e alle porte
i capitani schiero, uguali forze
contrapponendo agli avversarî. Lungo
sarebbe dire di ciascuno il nome,
mentre i nemici già le mura investono.
Or vo’, ché piú non si poltrisca. E, deh,
faccia a faccia scontrar possa il fratello,
e pugnare con lui, vincerlo, uccidere
quei che la patria mia venne a distruggere.
Delle nozze di mia sorella Antigone,
e di tuo figlio Emòne, ove io morissi,
abbine cura tu. La dote ch’io
le promisi, confermo, ora che a zuffa
muovo. Fratello di sua madre sei:
che giova far lunghi discorsi? Curala
per amor mio, come a te pur s’addice.
Il padre, taccia merita di stolto,
ché della vista sé privò: lodarlo
non potrei: se i suoi voti esito avranno,
egli uccisi ne avrà. Sola una cosa
da far ci resta: se Tiresia, il vate

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qualche responso abbia da dirci: occorre
da lui saperlo. E manderò, Creonte,
tuo figlio Menecèo, ch’ebbe a tuo padre
simile il nome, che l’adduca a noi.
Di buon grado con te favellerà;
ma io vituperai già l’arte sua
profetica: sí ch’ei rancor ne serba.
E alla città, Creonte un tale ufficio
affido, e a te: se la vittoria è nostra,
mai non si deve in questo suol tebano
sepolcro dar di Polinice al corpo;
e chi lo seppellisse, a morte andrà,
fosse pur degli amici. A te ciò dico;
e dico ai servi miei: «L’armi portatemi
di difesa e d’offesa, ond’io m’avvii
a questo agone che si appresta, e meco
son Giustizia e Vittoria». A Previggenza,
ottima fra le Dee, preci si levino,
perché voglia salvar questa città.
Escono tutti.