La zecca di Bologna/Capitolo IV

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CAPITOLO IV.


Leone X — Il "motu proprio„ 3 giugno 1519 sulle monete — L’incisore dei conii Antonio Macchiavelli — Clemente VII e la coniazione del 1526 — Le monete coniate per soccorrere i poveri nel 1529 e quelle gettate al popolo per l’ingresso a Bologna di Carlo V nel 1530 — Paolo III e la coniazione del 1538 — Gl’incisori dei conii A. e F. Balzani, detti "Gavardino„ — Giulio III — Marcello II — Paolo IV — I Canonici, incisori dei conii — Pio IV — Pio V e le battiture del 1567, 1570, e 1572 — Il corso delle monete a Bologna nella prima metà del sec. XVI.


Dei primi anni del nuovo regime non ci rimangono che alcune gride del 1513, 1514, 1515, 1518, 1519 sul corso delle monete a Bologna e che fanno parte, come tutte le carte di zecca che seguono, dell’Assunteria di zecca, ufficio che incominciò appunto allora a funzionare. Quanto manca a questa serie di carte troveremo in abbondanza in altre che verremo via via citando. In quelle gride (accenniamo di sfuggita perchè non tocca che indirettamente il nostro argomento) si ordinava di non spendere nè accettare il ducato d’oro largo per più di 70 bolognini, cioè L. 3 s. IO, il ducato stretto per L. 3 s. 9, gli scudi dal sole per L. 3 s. 8 " et le altre monete d’oro secondo il corso suo et valuta usitata „: si bandirono da prima i quattrini forestieri che avevano invaso il mercato bolognese facendo crescere il valore dell’oro; poco dopo si decretò di tollerarli, ma con minor valore (otto di essi per sei bolognesi)1.

Sotto Leone X fu tentato un riordinamento della zecca bolognese che però non fu attuato.

[p. 82 modifica]Con motu proprio 3 giugno 1519, diretto a tutte le città soggette alla Chiesa, il papa stabiliva molti capitoli da seguirsi per l’avvenire nel batter moneta, fissati per la zecca di Roma e da imitarsi dalle altre città dello stato. I capitoli stabilivano, che si potessero battere:

1.° Fiorini d’oro puro del peso di una libbra ogni cento, e ognuno di grani 69 con 1/8 di altro grano: questi fiorini eran detti di Camera per distinguerli da altri pure d’oro, "larghi di perfecto et puro oro„ tali che 96 "con 1/3 de un altro fiorino facciano una libra de oro et ciascheduno di peso pigli 71 grano„ senza rimedio di peso o lega;

2.° Leoni d’argento dei quali 10 facessero un fiorino d’oro di Camera "et lo argento sie de undici onzie cum uno denaro, de modo che ottantanove leoni e mezo facciano una libra di simile argento et ciascheduno pesi tre denari e cinque grani e un quarto.... per rimedio denarj duj in ciaschuna libra zoe nel peso et nella lega: uno zoe nello excesso; et l’altro nel defecto„;

3.° Mezzi leoni dei quali 20 facessero un fiorino: della stessa bontà e lega dei leoni e ne andavano 179 alla libbra e con 4 denari di rimedio.

4.° Quarti di leoni quaranta dei quali facevano un fiorino d’oro: della stessa bontà e lega dei leoni: ne andavano 358 alla libbra con denari 7 di rimedio.

5.° Bolognini o baiocchi, cento dei quali valessero un fiorino d’oro "de lighe 9 e 3/4 de una altra ligha„ con rimedio di denari 6: "ottocentosei de li quali e un quarto de uno altro bolognino rendano una libra de argento et habbiano di rimedio nel peso octo danari„:

6.° Mezzi bolognini, duecento dei quali valevano un fiorino di Camera, della stessa lega e bontà del bolognino: "di quali dui con la mita de uno altro leone sopra Mille e seicento e trentadui e mezzo facciano una libbra de argento de peso„:

7. Monete di rame detti piccoli, senza lega; 400 di essi facevano una libbra e 16 valevano un baiocco2.

[p. 83 modifica]Per ottemperare al motu proprio pontificio i quaranta consiglieri dello Stato di libertà di Bologna il 28 giugno 1520 ordinavano che si fabbricassero i nuovi coni e l’incarico fu dato ad Antonio Macchiavelli che ne ricevette in compenso 25 ducati3: ma la coniazione non ebbe luogo: e non ci è noto chi allora tenesse in appalto l’officina. Il 3 settembre 1523, (l’anno in cui saliva al soglio pontificio Clemente VII di casa de’ Medici, dopo il breve periodo di Adriano VI) la zecca era ceduta ad Antonio Maria Campeggi per dieci anni mettendo per la prima volta un termine così lungo alla locazione, fors’anche per adescare all’importante ufficio che diveniva sempre più lucroso4. Contemporaneamente il numero dei saggiatori fu portato da due a tre e quella volta furono Pietro del Gambaro (o in sua vece suo figlio Bartolomeo), Lodovico Baroni e Oriente Canonici, tutti orefici5.

Di tutte le monete battute allora riportiamo le descrizioni in appendice: qui avvertiamo solamente che a caratteristica principale delle loro monete i Bolognesi seguitarono a porre il motto Bononia docet, che in quel secolo di splendore e di umanesimo era il più adatto a ricordare anche alle città lontane la loro gloria più fulgida, lo Studio.

È inutile aggiungere che non eran cessate, dopo queste coniazioni, le invasioni sempre crescenti di monete basse di tutti i paesi, di svariatissimi valori e le relative gride che le une bandivano, le altre tolleravano, alle altre fissavano il valore. Vi eran monete che fluttuavano in tutti i mercati d’Italia, cacciate [p. 84 modifica]da un governo all’altro e chi ne andava di mezzo era il privato, oppresso dal duplice timore di non poter trovare moneta buona e di incorrere nelle pene comminate dai bandi. Fu per provvedere la città di moneta minuta che i sovrastanti decisero di far coniare nuove monete da quattrini sei l’una " de le infrascripte qualità, zoe che tale monete tenga onze tre de argento fino con il rimedio de danari tri per ciascuna libra di peso, che almeno si trovino a onze doe e danari ventuno d’argento fino per Hbra le quale onze tre vagliono lir nove e soldi tri a ragione de lir tre e soldi uno per oncia, la manifatura de la zecca monta soldi tredici la libra di peso che in tutto assende a la somma de lir nove soldi sedici: et che di tal moneta ne habia a andare a la libra di peso centonovantasei zoe 196, per insino a cento novantotto al più batuti et stampati „6. Fu fatta un’istanza coi sudetti termini, il 3 novembre 1526 al Legato per ottenere il permesso della battitura: il consenso fu dato e si incominciò tosto la coniazione delle nuove monete delle quali un bando stabilì il valore di un bolognino l’una7.

Sono prodotti di questa battitura i bolognini riportati dal Giordani, dallo Schiassi, dal Cinagli, (113) del peso di gr. 1.400, col leone e il motto BONONIA MATER da un lato, e la parola STVDIORVM colle chiavi decussate e la tiara dall’altro.

Vedemmo che il papa col mezzo del Legato si riserbava una indiretta sorveglianza sull’andamento della zecca bolognese. Tale sorveglianza divenne più diretta per l’avvenire e da Roma incominciarono a mandarsi i capitoli di quella zecca come esempio (come aveva fatto Leon X per una volta) e le nomine [p. 85 modifica]dei sovrastanti scelti tra i più devoti alla Santa Sede e degli altri addetti alla zecca, spesso nominati a vita.

L’anno 1529 rimase tristamente noto nella storia cittadina bolognese pel cumulo di flagelli d’ogni genere che afflissero la popolazione. Una carestia violentissima e la peste erano stati non ultimi danni delle guerre e specialmente di quella generale che funestò l’Italia, dopo il trattato di Madrid, resa più terribile dalle stragi e dai saccheggi delle truppe imperiali. La miseria nel popolo era estrema. Ad attenuarla tutti i ricchi contribuirono e per molti giorni si videro privati, confraternite, autorità civili ed ecclesiastiche accorrere in S. Petronio a portarvi denaro, gioie, vasi d’oro e d’argento, oggetti preziosi, viveri, grani per esser distribuiti ai bisognosi. Era vice-legato a Bologna monsignor Uberto dal Gambaro che offrì cinquanta scudi d’oro. Alcuni conventi, quello dei Domenicani primo di tutti, offersero gli arredi delle loro chiese e cogli oggetti d’oro e d’argento si coniarono in zecca monete da esser distribuite e gettate al popolo8.

Queste monete, di cui rimangono esemplari, sono d’oro e d’argento. Le prime, equivalenti a 3 zecchini, portano da un lato la mezza figura di S. Petronio collo scudo bolognese e il motto commemorativo: COGENTE · INOPIA REI · — · FRVMENTARIAE; dall’altro lato un cane con torcia in bocca (impresa dei Padri Domenicani che tanto si distinsero allora, come vedemmo) e le parole EX COLLATO — AERE · DE · REBVS · — SACRIS · ET · PRO · — PHANIS · IN · EGENO — RVM · SVBSIDIVM M · D · XXIX — BONONIA · Quelle d’argento (da mezzo scudo, [p. 86 modifica]da uno scudo di quattro giulii e dà due giulii) portano le stesse impronte, meno lievissime varianti.

Dal partito 8 giugno 1529, col quale i Quaranta ordinavano ai sovrastanti alla zecca la coniazione di dette monete, rileviamo che ne furon fabbricate per la somma di mille ducati d’oro: vi segue la descrizione che noi abbiamo riportato9. L’incisore di queste monete fu certamente Antonio Macchiavelli, addetto a quell’ufficio, come vedemmo.

La pace generale in Italia, desiderata ormai da ogni parte, dopo il trattato di Cambrai (pace delle dame) e l’accordo tra Clemente VII e Carlo V a Barcellona, fu suggellata, com’è noto, a Bologna, nel 1530; quivi l’imperatore si fece incoronare dal papa.

Le feste per l’arrivo dell’imperatore in questa città incominciarono ai primi di febbraio. Nella seduta del giorno 11 di questo mese i quaranta consiglieri ordinavano di far coniare in zecca monete d’oro e d’argento, fino alla somma di 3000 ducati, da gettare al popolo il giorno dell’incoronazione.

Si stabilì di lasciare all’imperatore la scelta delle impronte da fare incidere sui due lati delle monete e quella della lega10. L’ingresso di Carlo V in città avvenne con gran pompa il 24 febbraio. Il lungo corteo di cavalieri e magistrati era chiuso dal maggiordomo Conte Adriano De Asfordio, da un araldo e da un tesoriere a cavallo: gli ultimi due gettavano alla folla le monete coniate, cioè doppioni di quattro scudi e da due, da uno, da mezzo doblone e altre monete d’argento11.

Queste monete, che debbonsi anch’esse ascrivere [p. 87 modifica]al Macchiavelli, portano da un lato la testa dell’imperatore (e il busto alcune) col motto CAROLVS · V · IMPERATOR: dall’altro due colonne sorgenti dal mare (impresa di Carlo V allusiva alla sua potenza12) chiuse in ghirlanda d’alloro, e la data MD-XXX in due righe.

La prima ingerenza del nuovo pontefice Paolo III (1534-1549) sull’amministrazione della nostra zecca è la nomina di G. B. e fratelli Malvezzi e Astorre della Volta a soprastanti coll’assegno di 20 ducati al mese, cui seguì una battitura di scudi d’oro, ordinata dal papa col tramite del cardinal camerlengo il 5 settembre 153513.

Convien credere che le garanzie di cui il Comune si era circondato presso i maestri di zecca fino allora non fossero state sufficenti e che le frodi crescessero, a giudicare dal preambolo dei capitoli con cui si volle riformare la locazione. Gli Assunti di zecca presentarono al consiglio i nuovi patti il 1.° febbraio 1538 che noi ci affrettiamo a riassumere, avvertendo che il nuovo appaltatore fu Gaspare Armi:

Il maestro di zecca avrebbe per l’avvenire dato una cauzione di scudi 2000: nel caso che privati portassero oro o argento in zecca, la cauzione sarebbe salita a scudi 6000; sarebbe tenuto a porre ogni anno in zecca del suo proprio non meno di libbre 100 di peso d’oro della bontà di denari 22 per oncia, libbra 2000 d’argento della bontà di oncie 9 e denari 22 per libbra, e libbre 1200 di materia prima per far quattrini e denari, della bontà di oncia i e den. 6 per libbra: avrebbe pagato alla Camera di Bologna 15 soldi per ogni libbra d’oro battuta, 3 soldi e 6 [p. 88 modifica]denari per ogni libbra d’argento, e di quattrini: si obbligava a mantenere le masserizie e pagare gli operai di zecca. Seguivano altre disposizioni per tutelare i privati che portavano metalli preziosi in zecca da far coniare. D’altra parte il Comune concedeva al zecchiere " per sua utilità „ il luogo dell’officina senza spesa d’affitto, e tutti gli istrumenti di zecca, garantiva che il valore dello scudo d’oro non avrebbe passato i 75 soldi, lo dispensava dall’ufficio in caso di guerra o morìe, però dietro domanda agli Assunti due mesi prima; il suo salario continuava ad essere, come pel passato, di io lire mensili; altre disposizioni garantivano il guadagno del maestro di zecca verso i privati che ricorrevano all’opera sua. I capitoli finiscono con questa lista che riportiamo integralmente:


" Bontà et numero d'oro et d'argento et valuta co' suoi remedij.
Li scudi che si caverano di Cecca, doverano tenere di fino, den. 22, o almeno den. 21 15/16, serano per libra 107.
Valerà l'uno
L. 3.15.—
Li mezzi scudi di bontà soprascritta scranno a numero 204.
Valera l'uno
L. 1.17. 6
Li Doppij Pauli cavati di Cecca seranno a fino di onze 9, den, 20, et a numero 32 et 4/6.
Valerà l'uno
L. 1.—.—
Li Pauli cavati di Cecca teneranno di fino come di sopra, seranno a numero 65 1/3.
Valerà l'uno
L. 0.10.—
Li dui Terzi di Pauli cavati di Cecca teneranno di fino come di sopra, et scranno a numero 98.
Valera l'uno
L. 0. 6. 8
Li mezzi Pauli tratti di Cecca teneranno di fino come di sopra. Saranno a numero 130 2/3.
Valera l'uno
L. 0. 5.—
Li Terzi Pauii scranno a numero 176, et teneranno di fino come di sopra, et valeranno L. 0. 3. 4
Li Quarti Pauli teneranno di fino tratti di Cecca
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come di sopra, et scranno a numero 261 1/3. Valeranno L. 0. 2. 6
Li quattrini tratti di Cecca teneranno di fino onza una den. 4. Seranno a numero soldi 98 in 99 la libbra. „14.


        Un ordine del 19 luglio 1540 del Cardinal Legato di chiusura della zecca, come delle altre dello stato pontificio15, dovette non aver luogo o essere revocato poco dopo perchè troviamo che l’officina, allo scadere del contratto precedente, veniva ceduta per un quinquennio ad Alessandro Raibolini alias Francia, nipote del grande pittore, il 22 marzo 154216. Una conferma della pratica difficoltà dell’incisione dei coni l’abbiamo nel fatto di trovare che a quest’ufficio fu nominato Antonio Balzani detto Gavardino17 e morto questi, nel 1545, il figlio Francesco che in tale arte era eccellente, come avverte il partito di nomina18: e ciò sebbene il Raibolini fosse orefice valente, come ce lo ricordano le notizie del tempo. Anche questi tenne per poco tempo l’officina e il contratto, ignoriamo per qual ragione, fu rotto: prese il suo posto, pure per un quinquennio, Cornelio Malvasia, di nobile famiglia bolognese19. Questo incominciò con far battere cento pesi di quattrini: e poco dopo dovette aggiungere ad ogni libbra d’argento " quantum est medietas illius monete bon. valoris soldorum decem quae vulgo Paulo nuncupatur, quae quidem additio facit pro qualibet Paulo denariorum unum et etiam minus20. „

[p. 90 modifica]Non ci rimangono notizie di altre importanti coniazioni prima del 1550. Nel frattempo l’officina era stata tenuta per due anni da Oriente Canonici e Alberto Angeli orefici che l’avevano ceduta l’8 novembre 155021 ad Alessandro Balli bolognese e per lui a Giuseppe Canobio suo cessionario che l’avrebbe tenuto per un triennio. Questi s’impegnò a battere nel primo anno mille libbre di peso di quattrini e monete d’oro per 25 soldi per libbra di peso d’oro coniato e 7 per ognuna d’argento e di quattrini.

Del tempo di Giulio III (1550-1554) abbiam notizia di una coniazione ordinata da due mercanti, di monete d’argento da 20 e da 40 quattrini fino a 1000 libbre di peso e poco dopo di una seconda coniazione ordinata da un tedesco, certo Girolamo Craster, per 4000 libre di peso di nuova moneta coi metalli da lui portati in zecca22. Ci rimangono però col nome di questo papa scudi e mezzi scudi d’oro, oltre testoni, bianchi, gabelle e monete minori.

Del periodo successivo (Marcello IIPaolo IV - [1555]) ci rimangono due ordini del legato: il primo appena assunto al soglio pontificio Marcello II (Cervini) con cui dispone perchè nelle monete d’argento in luogo della effigie di Giulio III si ponga l’arma del nuovo papa23. Non rimangono monete bolognesi col ritratto di questi, che fu pochi mesi sul seggio. Succedutogli Paolo IV (Caraffa), analogo ordine del Legato24.

I coni delle monete bolognesi di questo periodo e del successivo di Paolo IV (1555-1559) furono eseguiti da due artisti, i Canonici, che appartengono a una gerarchia di orefici, inscritti di padre in figlio [p. 91 modifica]nelle matricole di quella società. Il loro stipendio era di ottanta lire annue25, mentre l’officina era appaltata ad un Filippo di Vincenzo Cecchi26. Alcune monete d’argento del tempo di Paolo IV ne riproducono il ritratto: oltre le muraiole (termine volgare che finì coll’essere accettato anche nel linguaggio amministrativo come vedremo) da 2 baiocchi, di cui si troverà la descrizione in seguito.

Pio IV (De Medici, 1559-1566). I prodotti di questo periodo appartengono a Girolamo Faccioli, riconfermato poi nell’ufficio di maestro dei coni il 19 gennaio 156627, e contemporaneamente fu nominato assaggiatore Giacomo Stella che ne aveva fatto istanza. Lo Stella, riconfermato volta a volta, rimase nella carica fino alla sua morte, nel 1580.

Non abbiamo notizie importanti del tempo della nuova locazione con Paolo di Oriente Canonici, in cui si coniarono i noti scudi d’oro detti del sole28 (dal sole, riprodotto prima del motto Bononia docet del rovescio).

Pio V (Ghisilieri 1566-1571). Di questo breve periodo riassumeremo i capitoli tra l’assunteria e Paolo Canonici, dall’istrumento 18 agosto 1567. Il Canonici vi si obbliga a fabbricare scudi d’oro della solita bontà (che da 30 anni era tuttora in vigore) e che ne andassero 109 alla libbra, mezzi scudi a 218 alla libbra, bianchi da soldi io a oncie 9 den. 22 o almeno 20 per libbra con 2 den. di rimedio, a 73 alla libbra; così doppi e mezzi bianchi alla stessa ragione; gabelle a 168 1/2 la libbra e mezze gabelle a 337 per libbra; pagando alla Camera di Bologna 18 soldi [p. 92 modifica]per ciascuna libbra di peso d’oro battuto, 6 soldi per ogni libbra d’argento. Il luogo della zecca era in via Clavature, presso la piazza e ne riscuoteva l’affitto la Camera di Bologna29.

L’ufficio fu riconfermato al Canonici nel 1572, ma la morte lo colse poco dopo e l’ufficio fu affidato per un triennio a G. Battista Gambaro "in cecca ipsa plurimum experto.„ Il Gambaro lasciò perciò l’ufficio di saggiatore, che copriva, e in suo luogo fu posto un Carlo Mangini o Manzini30.

Sul corso delle monete in Bologna in quella prima metà di secolo ci rimangono poche notizie.

Nei primi anni vi correvano oltre le monete di Milano, le cui relazioni con Bologna dovettero esser continue, anche i grossi, grandi e mezzani di Lucca che una grida ridusse, i primi al valore di bolognini e denari otto e i secondi a quello di un bolognino e otto denari nonchè i grassetti piccoli per denari dieci al massimo (grida 12 ottobre 1501).

Crescendo le relazioni politiche e commerciali cogli altri stati grandi e piccoli, Bologna fu invasa da monete d’ogni sorta, sicchè lo studioso oggi, colla serie assai povera di bandi bolognesi che rimane, difficilmente può farsi un’idea esatta sui vari valori nella piazza. La prima grida, dopo la citata, che mise un po’ d’ordine in quella confusione fu quella del 2 maggio 1523, che stabilì che solo le monete buone e non tosate corressero, che il ducato della Mirandola valesse quanto lo scudo dal sole (lir. 3, soldi 8), che le monete d’argento di quel luogo che pel passato si accettavano pel valore di un giulio, per l’avvenire non si spendessero e accettassero per più di quattrini 35 l’una: e che si bandissero tutti i quattrini [p. 93 modifica]forestieri, meno i fiorentini, senesi e lucchesi; poco dopo furon bandite le parpagliole di Savoia (4 giugno 1524) e, nonostante la grida ricordata, anche i ducati di Mirandola, per imitare l’esempio di Roma, (20 ottobre 1524)31.

Al periodo di Pio V appartengono pure alcune tessere che servirono per la distribuzione delle farine ai poveri.






Note

  1. Arch.° di Stato di Bologna — Arch.° Pontificio — Assunteria di zecca — Miscellanea. Busta 23. Questa assunteria (o ministero con termine moderno) manca di molte serie, sopratutto del XVI secolo. Abbondantissimi invece di notizie sulla zecca sono i partiti, i mandati, ecc.
  2. Assunteria di zecca. Miscell. b.a 23. Abbiamo seguito nelle esatte citazioni del motu proprio la versione italiana di quel tempo che è unita al testo latino.
  3. Partiti, 16, c. 21, v.° - Mandati, 25, c. 276, r.
  4. Partiti, 16, c. 115, v.°
  5. id. · 16, e. 173, v.°
  6. Assunteria di zecca, busta 23. Miscellanea.
  7. Ibid.
  8. G. Giordani, Della venuta e dimora in Bologna del sommo pontefice Clemente VII per la coronazione di Carlo V imperatore. Tip. alla Volpe. MDCCCXXXXII.
  9. Partiti, 18, c. 81, r. e Mandati 26, c. 170, r.
  10. Partiti, 17, c. 102, r.
  11. Giordani, Op. cit. e tavole.
  12. Palazzi, Discorsi sopra le imprese, ecc. Bologna, Bernacci, 1572, p. 36.
  13. Istrumenti e scritture.
  14. V. doc. XI.
  15. Istrumenti e scritture.
  16. Partiti, 18, c. 194, v.
  17. Partiti, 19, c. 6, r.
  18. id. id. c. 57, r.
  19. id. id. c. 34, V. 43, r. ecc. Riportiamo in appendice (doc. XII) una relazione di quel tempo che è interessante per conoscere le ragioni che militavano in favore della lega bolognese e che fu stesa probabilmente per scongiurare un pericolo di mutamento.
  20. Partiti, 1.° aprile 1547, 19, c. 126, v.
  21. Partiti.
  22. id. 20, c. 127, v. e 133, r.
  23. Istrumenti e scritture 1555, 29 aprile.
  24. id. 1555, 7 luglio.
  25. Partiti, 21, c. 93, r.
  26. Istrumenti e scritture 1554, 31 ottobre. V. anche doc. XIII.
  27. Partiti, 21, c. 130, v.
  28. Istrumenti e scritture 1560, 17 gennaio.
  29. Assunteria di zecca. Miscellanea, b.ª 23.
  30. Partiti, 1573, 26 febbraio, e Istr. e scritt. 1573, 27 febbr.
  31. Assunteria di zecca. Miscellanea, busta 23.