La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XXXVI

Libro primo
Capitolo XXXVI

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In mentre che io mi stavo su a quel mio diabolico esercizio, mi veniva a vedere alcuni di quelli cardinali che erano in Castello, ma piú ispesso il cardinale Ravenna e il cardinal de’ Gaddi, ai quali io piú volte dissi ch’ei non mi capitassino innanzi, perché quelle lor berrettuccie rosse si scorgevano discosto; il che da que’ palazzi vicini, com’era la Torre de’ Bini, loro e io portavomo pericolo grandissimo; di modo che per utimo io gli feci serrare, e ne acquistai con loro assai nimicizia. Ancora mi capitava spesso intorno il signor Orazio Baglioni, il quale mi voleva molto bene. Essendo un giorno in fra gli altri ragionando meco, lui vidde certa dimostrazione in una certa osteria, la quale era fuor della porta di Castello, luogo chiamato Baccanello. Questa osteria aveva per insegna un sole dipinto immezzo dua finestre, di color rosso. Essendo chiuse le finestre, giudicò il detto signor Orazio, che al dirimpetto drento di quel sole in fra quelle due finestre fussi una tavolata di soldati a far gozzoviglia; il perché mi disse: - Benvenuto, s’e’ ti dessi il cuore di dar vicino a quel sole un braccio con questo tuo mezzo cannone, io credo che tu faresti una buona opera, perché colà si sente un gran romore, dove debb’essere uomini di molta importanza -. Al qual signor io dissi: - A me basta la vista di dare in mezzo a quel sole - ma sí bene una botte piena di sassi, ch’era quivi vicina alla bocca di detto cannone, el furore del fuoco e di quel vento che faceva il cannone, l’arebbe mandata atterra. Alla qual cosa il detto signore mi rispose: - Non mettere tempo in mezzo, Benvenuto: imprima non è possibile che, innel modo che la sta, il vento de il cannone la faccia cadere; ma se pure ella cadessi e vi fussi sotto il Papa, saria manco male che tu non pensi, sicché tira, tira -. Io, non pensando piú là, detti in mezzo al sole, come io avevo promesso a punto. Cascò la botte, come io dissi, la qual dette a punto in mezzo in fra il cardinal Farnese e misser Iacopo Salviati, che bene gli arebbe stiacciati tutti a dui: che di questo fu causa che il ditto cardinal Farnese a punto aveva rimproverato, che il ditto misser Iacopo era causa del sacco di Roma; dove dicendosi ingiuria l’un l’altro, per dar campo alle ingiuriose parole, fu la causa che la mia botte non gli stiacciò tutt’a dua. Sentito il gran rimore che in quella bassa corte si faceva, il buon signor Orazio con gran prestezza se ne andò giú; onde io fattomi fuora, dove era caduta la botte, senti’ alcuni che dicevano: - E’ sarebbe bene ammazzare quel bonbardieri -; per la qual cosa io volsi dua falconetti alla scala che montava su, con animo risoluto, che il primo che montava, dar fuoco a un de’ falconetti. Dovetton que’ servitori del cardinal Farnese aver commessione dal cardinale di venirmi a fare dispiacere; per la qual cosa io mi feci innanzi, e avevo il fuoco in mano. Conosciuto certi di loro, dissi: - O scannapane, se voi non vi levate di costí, e se gli è nessuno che ardisca entrar drento a queste scale, io ho qui dua falconetti parati, con e’ quali io farò polvere di voi; e andate a dire al cardinale, che io ho fatto quello che dai mia maggiori mi è stato commesso, le qual cose si sono fatte e fannosi per difension di lor preti, e non per offenderli -. Levatisi e’ detti, veniva su correndo il ditto signor Orazio Baglioni, al quale io dissi che stessi indrieto, se non che io l’ammazzerei, perché io sapevo benissimo chi egli era. Questo signore non sanza paura si fermò alquanto, e mi disse: - Benvenuto, io son tuo amico -. Al quale io dissi: - Signore, montate pur solo, e venite poi in tutti i modi che voi volete -. Questo signore, ch’era superbissimo, si fermò alquanto, e con istizza mi disse: - Io ho voglia di non venire piú su e di far tutto il contrario che io avevo pensato di far per te -. A questo io gli risposi, che sí bene come io ero messo in quello uffizio per difendere altrui, che cosí ero atto a difendere ancora me medesimo. Mi disse che veniva solo; e montato ch’e’ fu, essendo lui cambiato piú che ’l dovere nel viso, fu causa che io tenevo la mana in su la spada, e stavo in cagnesco seco. A questo lui cominciò a ridere, e ritornatogli il colore nel viso, piacevolissimamente mi disse: - Benvenuto mio, io ti voglio quanto bene io ho, e quando sarà tempo che a Dio piaccia, io te lo mostretrò. Volessi Idio che tu gli avessi ammazzati que’ dua ribaldi, ché uno è causa di sí gran male, e l’altro talvolta è per esser causa di peggio -. Cosí mi disse, che se io fussi domandato che io non dicessi che lui fussi quivi da me quando io detti fuoco a tale artiglieria; e del restante che io non dubitassi. I romori furno grandissimi, e la cosa durò un gran pezzo. In questo io non mi voglio allungare piú inanzi: basta che io fu’ per fare le vendette di mio padre con misser Iacopo Salviati, il quale gli aveva fatto mille assassinamenti (secondo che detto mio padre se ne doleva). Pure disavedutamente gli feci una gran paura. Del Farnese non vo’ dir nulla, perché si sentirà al suo luogo quanto gli era bene che io l’avessi ammazzato.