La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XXXIX

Libro primo
Capitolo XXXIX

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Fonduto che io ebbi l’oro, io lo portai al Papa, il quale molto mi ringraziò di quello che io fatto avevo, e commesse al Cavalierino che mi donasse venticinque scudi, scusandosi meco che non aveva piú da potermi dare. Ivi a pochi giorni si fece l’accordo. Io me ne andai col signor Orazio Baglioni insieme con trecento compagni alla volta di Perugia; e quivi il signor Orazio mi voleva consegnare la compagnia, la quale io per allora non volsi, dicendo che volevo andare a vedere mio padre in prima, e ricomperare il bando che io avevo di Firenze. Il detto signore mi disse, che era fatto capitano de’ Fiorentini; e quivi era ser Pier Maria di Lotto, mandato dai detti Fiorentini, a il quale il detto signor Orazio molto mi raccomandò come suo uomo. Cosí me ne venni a Firenze con parecchi altri compagni. Era la peste inistimabile, grande. Giunti a Firenze, trovai il mio buon padre, il quale pensava o che io fussi morto in quel Sacco, o che allui ignudo io tornassi. La qual cosa avenne tutto il contrario: ero vivo, e con di molti danari, con un servitore, e bene a cavallo. Giunto al mio vecchio, fu tanto l’allegrezza che io gli viddi, che certo pensai, mentre che mi abbracciava e baciava, che per quella e’ morissi subito. Raccòntogli tutte quelle diavolerie del Sacco, e datogli una buona quantità di scudi in mano, li quali soldatescamente io me avevo guadagnati, apresso fattoci le carezze, il buon padre e io, subito se ne andò agli Otto a ricomperarmi il bando; e s’abbatté per sorte a esser degli Otto un di quegli che me l’avevan dato, ed era quello che indiscretamente aveva detto quella volt’a mio padre, che mi voleva mandare in villa co’ lanciotti; per la qual cosa mio padre usò alcune accorte parole in atto di vendetta, causate dai favori che mi aveva fatto il signor Orazio Baglioni. Stando cosí, io dissi a mio padre come il signor Orazio mi aveva eletto per capitano, e che e’ mi conveniva cominciare a pensare di fare la compagnia. A queste parole sturbatosi subito il povero padre, mi pregò per l’amor di Dio, che io non dovessi attendere a tale impresa, con tutto che lui cognoscessi che io saria atto a quella e a maggior cosa; dicendomi apresso, che aveva l’altro figliuolo, e mio fratello, tanto valorosissimo alla guerra, e che io dovessi attendere a quella maravigliosa arte, innella quale tanti anni e con sí grandi studi io mi ero affaticato di poi. Se bene io gli promessi ubidirlo, pensò come persona savia, che se veniva il signor Orazio, sí per avergli io promesso e per altre cause, io non potrei mai mancare di non seguitare le cose della guerra; cosí con un bel modo pensò levarmi di Firenze, dicendo cosí: - O caro mio figliuolo, qui è la peste inistimabile, grande, e mi par tuttavia di vederti tornare a casa con essa; io mi ricordo, essendo giovane, che io me ne andai a Mantova, nella qual patria io fui molto carezzato, e ivi stetti parecchi anni. Io ti priego e comando, che per amor mio, piú presto oggi che domani, di qui ti lievi e là te ne vada.