La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XVI

Libro primo
Capitolo XVI

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Un giorno occorse che, essendo appoggiato alla bottega di uno di questi, chiamato da lui, e parte mi riprendeva e parte mi bravava: al cui io risposi, che se loro avessin fatto il dovere a me, io arei detto di loro quel che si dice degli uomini buoni e da bene: cosí, avendo fatto il contrario, dolessinsi di loro e non di me. In mentre che io stavo ragionando, un di loro, che si domanda Gherardo Guasconti, lor cugine, ordinato forse da costoro insieme, appostò che passassi una soma. Questa fu una soma di mattoni. Quando detta soma fu al rincontro mio, questo Gherardo me la pinse talmente addosso che la mi fece gran male. Voltomi subito e veduto che lui se ne rise, gli menai sí grande il pugno in una tempia, che svenuto cadde come morto; di poi voltomi ai sua cugini, dissi: - Cosí si trattano i ladri poltroni vostri pari -: e volendo lor fare alcuna dimostrazione, perché assai erano, io, che mi trovavo infiammato, messi mano a un piccol coltello che io avevo, dicendo cosí: - Chi di voi esca della sua bottega, l’altro corra per il confessoro, perché il medico non ci arà che fare -. Furno le parole a loro di tanto spavento, che nessuno si mosse a l’aiuto del cugino. Subito che partito io mi fui, corsono i padri e i figliuoli agli Otto, e quivi dissono che io con armata mano gli avevo assaliti in su le botteghe loro, cosa che mai piú in Firenze s’era usata tale. E’ signori Otto mi fecion chiamare; onde io comparsi; e dandomi una grande riprensione e sgridato, sí per vedermi in cappa e quelli in mantello e cappuccio alla civile; ancora perché li avversari mia erano stati a parlare a casa a quei Signori a tutti in disparte, e io, come non pratico, a nessun di quelli Signori non avevo parlato, fidandomi della mia gran ragione che io tenevo; e dissi, che a quella grande offesa e ingiuria che Gherardo mi aveva fatta, mosso da còllora grandissima, e non gli dato altro che una ceffata, non mi pareva dovere di meritare tanta gagliarda riprensione. Appena che Prinzivalle della Stufa, il quale era degli Otto, mi lasciassi finir di dire ceffata, che disse: - Un pugno e non ceffata gli desti -. Sonato il campanuzzo e mandatici tutti fuora, in mia difesa disse Prinzivalle agli compagni: - Considerate, signori, la semplicità di questo povero giovane, il quale si accusa di aver dato ceffata, pensando che sia manco errore che dare un pugno; perché d’una ceffata in Mercato Nuovo la pena si è venticinque scudi, e d’un pugno poco o nonnulla. Questo è giovane molto virtuoso, e mantiene la povera casa sua con le fatiche sua, molto abundante; e volessi Idio che la città nostra di questa sorta ne avessi abundanzia, sí come la n’ha mancamento.