La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XIX

Libro primo
Capitolo XIX

../Capitolo XVIII ../Capitolo XX IncludiIntestazione 24 giugno 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo XVIII Libro primo - Capitolo XX

Essendo a Siena, aspettai il procaccia di Roma, e con esso mi accompagnai. Quando fummo passati la Paglia scontrammo il corriere che portava le nuove del papa nuovo, che fu papa Clemente. Giunto a Roma mi missi a lavorare in bottega di maestro Santi orefice: se bene il detto era morto, teneva la bottega un suo figliuolo. Questo non lavorava, ma faceva fare le faccende di bottega tutte a uno giovane che si domandava Luca Agnolo da Iesi. Questo era contadino, e da piccol fanciulletto era venuto a lavorare con maestro Santi. Era piccolo di statura, ma ben proporzionato. Questo giovane lavorava meglio che uomo che io vedessi mai insino a quel tempo, con grandissima facilità e con molto disegno: lavorava solamente di grosseria, cioè vasi bellissimi, e bacini, e cose tali. Mettendomi io a lavorar in tal bottega presi a fare certi candellieri per il vescovo Salamanca spagnuolo. Questi tali candellieri furno riccamente lavorati, per quanto si appartiene a tal opera. Un descepol di Raffaello da Urbino, chiamato Gianfrancesco, per sopranome il Fattore, era pittore molto valente; e perché egli era amico del detto vescovo, me gli misse molto in grazia, a tale che io ebbi moltissime opere da questo vescovo, e guadagnavo molto bene. In questo tempo io andavo quando a disegnare in Capella di Michelagnolo, e quando alla casa di Agostino Chigi sanese, nella qual casa era molte opere bellissime di pittura di mano dello eccellentissimo Raffaello da Urbino; e questo si era il giorno della festa, perché in detta casa abitava misser Gismondo Chigi, fratello del detto misser Agostino. Avevano molta boria quando vedevano delli giovani miei pari che andavano a ’mparare drento alle case loro. La moglie del detto misser Gismondo, vedutomi sovente in questa sua casa - questa donna era gentile al possibile e oltramodo bella - accostandosi un giorno a me, guardando li mia disegni, mi domandò se io ero scultore o pittore: alla cui donna io dissi, che ero orefice. Disse lei, che troppo ben disegnavo per orefice; e fattosi portare da una sua cameriera un giglio di bellissimi diamanti legati in oro, mostrandomegli, volse che io gli stimassi. Io gli stimai ottocento scudi. Allora lei disse che benissimo gli avevo stimati. A presso mi domandò se mi bastava l’animo di legargli bene: io dissi che molto volentieri, e alla presenza di lei ne feci un pochetto di disegno; e tanto meglio lo feci, quanto io pigliavo piacere di trattenermi con questa tale bellissima e piacevolissima gentildonna. Finito il disegno, sopragiunse un’altra bellissima gentildonna romana, la quale era di sopra, e scesa a basso dimandò la detta madonna Porzia quel che lei quivi faceva: la quale sorridendo disse: - Io mi piglio piacere il vedere disegnare questo giovane da bene, il quale è buono e bello -. Io, venuto in un poco di baldanza, pur mescolato un poco di onesta vergogna, divenni rosso e dissi: - Quale io mi sia, sempre, madonna, io sarò paratissimo a servirvi -. La gentildonna, anche lei arrossita alquanto, disse: - Ben sai che io voglio che tu mi serva - e pòrtomi il giglio, disse che io me ne lo portassi; e di piú mi diede venti scudi d’oro, che l’aveva nella tasca, e disse: - Legamelo in questo modo che disegnato me l’hai, e salvami questo oro vechio in che legato egli è ora -. La gentildonna romana allora disse: - Se io fussi in quel giovane, volentieri io m’andrei con Dio -. Madonna Porzia agiunse che le virtú rare volte stanno con i vizii e che, se tal cosa io facessi, forte ingannerei quel bello aspetto che io dimostravo di uomo da bene - e voltasi, preso per mano la gentildonna romana, con piacevolissimo riso mi disse: - A Dio, Benvenuto -. Soprastetti alquanto intorno al mio disegno che facevo, ritraendo certa figura di Iove di man di Raffaello da Urbino detto. Finita che l’ebbi, partitomi, mi messi a fare un picolo modellino di cera, mostrando per esso come doveva da poi tornar fatta l’opera; e portatolo a vedere a madonna Porzia detta, essendo alla presenza quella gentildonna romana, che prima dissi, l’una e l’altra grandemente satisfatte delle fatiche mie, mi feceno tanto favore, che mosso da qualche poco di baldanza, io promissi loro, che l’opera sarebbe meglio ancora la metà che il modello. Cosí messi mano, e in dodici giorni fini’ il detto gioiello in forma di giglio, come ho detto di sopra, adorno con mascherini, puttini, animali e benissimo smaltato; in modo che li diamanti, di che era il giglio, erono migliorati piú della metà.