La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XCVIII

Libro primo
Capitolo XCVIII

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Riposatomi in Parigi alquanto, me ne andai a trovare il Rosso dipintore, il quale stava al servizio del Re. Questo Rosso io pensava che lui fossi il maggiore amico che io avessi al mondo, perché io gli avevo fatto in Roma i maggior piaceri che possa fare un uomo a un altro uomo; e perché questi cotai piaceri si posson dire con brieve parole, io non voglio mancare di non gli dire, mostrando quant’è sfacciata la ingratitudine. Per la sua mala lingua, essendo lui in Roma, gli aveva detto tanto male de l’opere di Raffaello da Urbino, che i discepoli suoi lo volevano ammazzare a ogni modo: da questo lo campai, guardandolo dí e notte con grandissime fatiche. Ancora per aver detto male di maestro Antonio da San Gallo, molto eccellente architettore, gli fece torre un’opera che lui gli aveva fatto avere da messer Agnol de Cesi; dipoi cominciò tanto a far contro a di lui, che egli l’aveva condotto a morirsi di fame; per la qual cosa io gli prestai di molte decine di scudi per vivere. E non gli avendo ancora riauti, sapendo che gli era al servizio del Re, lo andai, come ho detto, a visitare: non tanto pensavo che lui mi rendessi li mia dinari, ma pensavo che mi dessi aiuto e favore per mettermi al servizio di quel gran Re. Quando costui mi vedde, subito si turbò e mi disse: - Benvenuto, tu se venuto con troppa spesa innun cosí gran viaggio, massimo di questo tempo, che s’attende alla guerra e non a baiuccole di nostre opere -. Allora io dissi, che io avevo portato tanti dinari da potermene tornare a Roma in quel modo che io ero venuto a Parigi; e che questo non era il cambio delle fatiche che io avevo durate per lui; e che io cominciavo a credere quel che mi aveva detto di lui maestro Antonio da San Gallo. Volendosi metter tal cosa in burla, essendosi avveduto della sua sciagurataggine, io gli mostrai una lettera di cambio di cinquecento scudi a Ricciardo del Bene. Questo sciagurato pur si vergognava, e volendomi tenere quasi per forza, io mi risi di lui, e me ne andai insieme con un pittore, che era quivi alla presenza. Questo si domandava lo Sguazzella: ancora lui era fiorentino; anda’mene a stare in casa sua con tre cavalli e tre servitori a tanto la settimana. Lui benissimo mi trattava, e io meglio lo pagavo. Di poi cercai di parlare al Re, al quale m’introdusse un certo messer Giuliano Buonaccorsi suo tesauriere. A questo io soprastetti assai, perché io non sapevo che il Rosso operava ogni diligenza, che io non parlassi al Re. Poiché il ditto messer Giuliano se ne fu avveduto, subito mi menò a Fontana Biliò e messemi drento inanzi al Re, da il quale io ebbi un’ora intera di gratissima audienza. E perché il Re era in assetto per andare alla volta di Lione, disse al ditto messer Giuliano che seco mi menassi, e che per la strada si ragionerebbe di alcune belle opere, che Sua Maestà aveva in animo di fare. Cosí me ne andavo insieme a presso al traino della Corte; e per la strada feci grandissima servitú col cardinale di Ferrara, il quale non aveva ancora il cappello. E perché ogni sera io avevo grandissimi ragionamenti con il ditto Cardinale, e Sua Signoria diceva che io mi dovessi restare in Lione a una sua badia, e quivi potrei godere in fine a tanto che il Re tornassi dalla guerra, che se ne andava alla volta di Granopoli, e alla sua badia in Lione io arei tutte le comodità. Giunti che noi fummo a Lione, io mi ero ammalato, e quel mio giovane Ascanio aveva preso la quartana; di sorte che m’era venuto a noia i franciosi e la lor Corte, e mi parea mill’anni di ritornarmene a Roma. Vedutomi disposto il Cardinale a ritornare a Roma, mi dette tanti dinari, che io gli facessi in Roma un bacino e un boccale d’ariento. Cosí ce ne ritornammo alla volta di Roma in su bonissimi cavalli, e venendo per le montagne del Sanpione; e essendomi accompagnato con certi franzesi, con li quali venimmo un pezzo, Ascanio con la sua quartana, e io con una febbretta sorda, la quale pareva che non mi lasciassi punto; e avevo sdegnato lo stomaco di modo, che io non credo che mi toccassi a mangiare un pane intero la settimana, e molto desideravo di arrivare in Italia, desideroso di morire in Italia e non in Francia.